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 2014  dicembre 18 Giovedì calendario

IL BUCO NERO AL PRINCIPIO DEL TEMPO


Nella sua allegoria della caverna Platone descrisse un gruppo di prigionieri che avevano trascorso l’intera vita incatenati alla parete di una grotta buia. Alle spalle dei prigionieri c’è una fiamma, e tra la fiamma e gli sventurati sfilano oggetti la cui ombra si proietta su una parete visibile ai prigionieri. Queste ombre bidimensionali sono le uniche cose che abbiano mai visto: la loro unica realtà. I ceppi impediscono loro di percepire il mondo reale, un universo che ha una dimensione in più rispetto a quello che conoscono, una dimensione ricca di complessità e, all’insaputa dei prigionieri, in grado di spiegare tutto quello che vedono. Platone aveva capito qualcosa.
Tutti noi potremmo vivere in una gigantesca caverna cosmica che si sarebbe formata nei primissimi istanti di esistenza. Di solito si dice che l’universo cominciò a esistere durante una grande esplosione, il big bang, che partì da un punto infinitamente denso. Ma secondo i calcoli che abbiamo effettuato di recente possiamo far risalire l’inizio dell’universo a un’epoca precedente il big bang, un’era con una dimensione spaziale in più. Questo protouniverso potrebbe aver lasciato tracce visibili che imminenti osservazioni astronomiche potranno svelare.
A noi sembra che l’universo esista in tre dimensioni spaziali e una temporale: una geometria che chiameremo «universo tridimensionale». Nel nostro scenario questo universo tridimensionale è solo l’ombra di un universo con quattro dimensioni spaziali. Per la precisione, il nostro intero universo avrebbe cominciato a esistere durante un’implosione stellare di questo sovrauniverso, un’implosione che creò un guscio tridimensionale attorno a un buco nero quadridimensionale. Il nostro universo è quel guscio.
Perché mai ipotizziamo qualcosa che suona così assurdo? Abbiamo due motivi. Primo, le nostre idee non sono pure speculazioni, ma sono saldamente radicate nella matematica che descrive lo spazio e il tempo.
Nel corso dell’ultima ventina d’anni i fisici hanno sviluppato una ricca teoria olografica, un insieme di strumenti matematici che permettono di tradurre descrizioni di eventi in una dimensione nella fisica di un’altra dimensione. Per esempio, è possibile risolvere equazioni di dinamica dei fluidi in due dimensioni e usare queste soluzioni per capire che cosa accade in un sistema molto più complesso, come la dinamica di un buco nero tridimensionale. Dal punto di vista matematico, le due descrizioni sono intercambiabili; il fluido è un analogo perfetto dello straordinario buco nero.
Il successo dell’olografia ha convinto molti scienziati che all’opera ci sia qualcosa in più rispetto a una semplice trasformazione matematica. Forse i confini tra le dimensioni sono meno stabili di quanto pensassimo; forse le regole del cosmo sono scritte in un altro insieme di dimensioni e poi tradotte nelle tre che percepiamo; forse, come i prigionieri di Platone, le circostanze ci hanno spinto a credere che il mondo sia tridimensionale quando in realtà otterremo una conoscenza più profonda di quello che percepiamo solo nel momento in cui cercheremo spiegazioni nella quarta dimensione.
Il secondo motivo per cui vale la pena riflettere sul nostro universo quadridimensionale è che studiare da vicino questo universo ci potrà aiutare a capire questioni profonde su origini e natura del cosmo. Pensiamo per esempio al big bang, il lampo primordiale che ha fatto nascere il nostro universo. Secondo la cosmologia attuale, il big bang fu immediatamente seguito dalla cosiddetta inflazione, un periodo di rapida espansione dello spazio in cui l’universo delle origini aumentò il proprio volume di un fattore 1078 (o più). Ma questa espansione non dice nulla sulle cause del big bang. Il nostro universo quadridimensionale, invece, dà una spiegazione del mistero fondamentale: da dove deriva il nostro universo?
Il cosmo noto e quello ignoto
Le nostre ricerche sull’universo quadridimensionale sono iniziate a causa dei problemi che avevamo nello studio di quello tridimensionale. Alla cosmologia attuale dobbiamo risultati fenomenali, ma i suoi successi celano misteri profondi e complessi che potrebbero avere una spiegazione in termini olografici.
I cosmologi possono descrivere la storia dell’intero – universo dal momento attuale, indietro nel tempo fino a una frazione di una frazione di secondo dopo il big bang – usando solo poche equazioni (in primis quelle che dobbiamo ad Albert Einstein) e cinque parametri, cioè numeri indipendenti. Questi parametri includono le densità di materia ordinaria, materia oscura ed energia oscura (fra poco ci torniamo su), insieme a forma delle fluttuazioni quantistiche dell’universo delle origini. Questo modello il paradigma cosmologico Lambda Cold Dark Matter (Λ-CDM) è coerente con centinaia (se non migliaia) di dati osservativi, che vanno dalla scala di 1 milione di anni luce a quella di 10 miliardi, fino alla periferia del nostro universo osservabile. Ma questi successi non significano che il problema sia risolto. La storia del nostro universo è costellata di lacune problematiche. Dobbiamo confrontarci con domande fondamentali sulla natura del cosmo: problemi che non siamo ancora in grado di risolvere.
Problema 1: Non capiamo i cinque parametri.
Consideriamo la densità di materia ed energia nell’universo. Appena pochi decenni fa gli astronomi credevano che la materia ordinaria – gli elementi che formano la tavola periodica – fosse la forma dominante di massa-energia. Le osservazioni cosmologiche hanno riformato radicalmente questo modo di vedere le cose (e strada facendo hanno portato a tre premi Nobel). Adesso sappiamo che la densità della materia ordinaria costituisce appena il 5 per cento della densità di energia totale dell’universo. Un altro 25 per cento è dato dalla materia oscura, una forma ignota di materia la cui esistenza è dedotta dalla sua attrazione gravitazionale. E il 70 per cento dell’universo è formato da energia oscura, la sostanza misteriosa che fa si che il tasso di espansione del nostro universo aumenti (invece di diminuire, come ci si aspettava inizialmente per via dell’attrazione gravitazionale). Che cosa sono materia oscura ed energia oscura, e perché formano rispettivamente il 25 e il 70 per cento dell’universo? Non lo sappiamo.
Forse avremmo delle risposte se capissimo meglio il big bang, l’origine improvvisa dello spazio e del tempo in un plasma caldo di radiazioni e particelle a una temperatura di più di 1027 gradi. È molto difficile immaginare come una situazione quale l’universo negli istanti successivi al big bang possa condurre a ciò che osserviamo oggi: un cosmo con una temperatura quasi uniforme e una curvatura spaziale che su larga scala è piatta (cioè la somma degli angoli dei triangoli è pari a 180 gradi).
L’inflazione cosmica potrebbe essere l’idea migliore che abbiamo per capire la struttura dell’universo su larga scala. L’inflazione tenderebbe ad «appiattire» l’universo, distendendo le regioni curve dello spazio-tempo e portandolo a una temperatura costante. Inoltre, come una lente d’ingrandimento cosmica, l’inflazione amplifica le minuscole fluttuazioni quantistiche della densità di energia fino a portarle a dimensioni cosmiche. Queste fluttuazioni, a loro volta, diventano i germi della crescita di strutture come galassie, stelle, pianeti e persino organismi viventi come noi stessi.
In genere l’inflazione è considerata un paradigma di grande successo. Da decenni i cosmologi verificano le previsioni di questa teoria osservando la radiazione cosmica di fondo a microonde (CMB), una registrazione cosmica delle fluttuazioni di densità dell’universo primordiale. Osservazioni recenti da parte del satellite Planck dell’Agenzia spaziale europea confermano che il nostro universo è piatto (o quasi) e che è uniforme fino ad almeno una parte su 60.000, due delle previsioni fondamentali dell’inflazione. Inoltre, ampiezza e forma osservate nelle fluttuazioni della materia primordiale sono complessivamente coerenti con quello che ci possiamo aspettare dal modo in cui l’inflazione ingrandirebbe il vuoto quantistico.
Problema 2: Non capiamo veramente l’inflazione.
Ci potremmo chiedere che cosa abbia alimentato questa inflazione, che ha richiesto una quantità enorme di energia. Ipotizziamo che, poco dopo il big bang, l’universo fosse pieno di energia sotto forma di una particella ipotetica chiamata inflatone. Il bosone di Higgs, scoperto di recente al Large Hadron Collider del CERN vicino a Ginevra, ha molte proprietà simili all’inflatone per come è stato ipotizzato, ed è quindi un possibile candidato. L’inflatone sarebbe responsabile sia dell’espansione accelerata iniziale sia della struttura del nostro universo, perché le uniche differenze significative di densità nell’universo delle origini sono provocate dalle minuscole fluttuazioni quantistiche dell’energia del campo dell’inflatone.
Tuttavia, l’inflatone non risolve i nostri problemi: si limita a spostarli indietro di un passo. Non conosciamo le proprietà dell’inflatone, né le sue origini, né come trovarlo. Non siamo neppure sicuri che esista davvero.
Inoltre i fisici non sanno come sia possibile porre fine in modo spontaneo all’inflazione, il cosiddetto problema della grateful exit. Se c’è un campo di energia che mette in moto un universo in espansione esponenziale, che cosa può spegnere improvvisamente il campo? Non abbiamo neanche una spiegazione soddisfacente per l’origine dei cinque parametri che compaiono nel modello Λ-CDM, alcuni dei quali devono essere calibrati con enorme precisione per essere in accordo con le osservazioni. E ci manca una descrizione utile della storia del nostro universo prima dell’epoca dell’inflazione, ovvero in quei primi miliardesimi di miliardesimi di miliardesimi di miliardesimi di miliardesimi di miliardesimi di secondo dopo il big bang.
Problema 3: Non capiamo come è cominciato tutto.
Il principale problema della cosmologia è la comprensione del big bang stesso, l’emergere improvviso e violento di tutto lo spazio, il tempo e la materia da un punto infinitamente denso detto singolarità. Una singolarità è una cosa incomprensibilmente bizzarra, un punto in cui lo spazio e il tempo si ripiegano su se stessi rendendo impossibile distinguere il futuro dal passato. Tutte le leggi della fisica vengono meno. Una singolarità è un universo senza ordine né regole. Da una singolarità non può venire fuori nulla che non violi la logica; non abbiamo motivi per pensare che una singolarità genererebbe un universo ordinato come quello che osserviamo.
Ci aspetteremmo che l’emergere di un universo da una singolarità sia caotico in modo inimmaginabile, contraddistinto da enormi fluttuazioni di temperatura da un punto all’altro. Inoltre l’effetto ingranditore dell’inflazione potrebbe non tendere a uniformare tutto; anzi, se queste fluttuazioni sono troppo ampie l’inflazione potrebbe non cominciare neppure. Il problema di una singolarità non si può risolvere semplicemente con l’inflazione.
Le singolarità sono strane, ma ci sono familiari. Formano anche il centro dei buchi neri, i resti collassati di stelle gigantesche. Tutte le stelle sono fornaci nucleari che fondono elementi leggeri (soprattutto idrogeno) e ne formano di più pesanti. Questa fusione nucleare alimenta la stella per quasi tutta la vita, ma alla fine la stella esaurisce il suo combustibile e la gravità prende il sopravvento. Una stella che abbia almeno dieci volte la massa del Sole collasserà su se stessa e poi esploderà in forma di supernova. Se la stella è addirittura più grande – da 15 a 20 masse solari o anche di più – la supernova si lascerà dietro un nucleo denso che subirà un collasso fuori controllo, fino a centrarsi in un punto privo di dimensioni, un buco nero. Possiamo pensare ai buchi neri come a regioni di spazio da cui non può sfuggire neppure la luce. Dato che la velocità della luce è la massima raggiungibile da qualsiasi forma di materia, il confine di un buco nero – una superficie bidimensionale detta orizzonte degli eventi – è un punto di non ritorno: una volta che la materia stellare (o qualsiasi altra cosa) cade all’interno di questo confine, rimane tagliata fuori dal resto dell’universo ed è attratta inesorabilmente verso la singolarità al centro.
Come nel caso del big bang, le leggi della fisica vengono meno anche in questa singolarità. A differenza del big bang, però, un buco nero è circondato da un orizzonte degli eventi, che si comporta un po’ come un involucro opaco: impedisce che qualsiasi informazione sulla singolarità passi all’esterno. L’orizzonte degli eventi del buco nero scherma gli osservatori esterni dagli effetti catastroficamente imprevedibili della singolarità (una situazione detta censura cosmica).
Nascosta dall’orizzonte degli eventi, la singolarità è resa impotente. I suoi effetti preoccupanti non possono sfuggire, il che rende possibile alle leggi della fisica descrivere e prevedere tutto ciò che osserviamo. Visto da lontano, un buco nero è una struttura molto semplice, liscia e uniforme, che si può descrivere semplicemente con la sua massa e il suo momento angolare (e la carica elettrica, se ne è dotato). I fisici dicono per scherzo che i buchi neri sono privi di capelli, cioè di qualsiasi tratto caratteristico al di là di massa, momento angolare e carica elettrica.
Al contrario, la singolarità del big bang (come è concepita usualmente) non è celata; non ha nessun orizzonte degli eventi. Ci piacerebbe avere un modo per proteggerci dalla singolarità del big bang e dalla sua catastrofica imprevedibilità, magari con qualcosa di simile a un orizzonte degli eventi.
Noi abbiamo proposto proprio uno scenario del genere, uno che trasformi il big bang in un miraggio cosmico. Il nostro scenario nasconderebbe la singolarità del big bang proprio come un orizzonte degli eventi nasconde la singolarità al centro di un buco nero. Tutto questo ci proteggerebbe dagli effetti volubili e dannosi della singolarità.
Collasso extradimensionale
Una schermatura del genere sarebbe diversa da un normale orizzonte degli eventi in un modo fondamentale. Dato che percepiamo il nostro universo come dotato di tre dimensioni spaziali, anche l’orizzonte degli eventi che scherma la singolarità nel cuore del big bang dovrebbe avere tre dimensioni spaziali, e non solo due. Se immaginiamo che questo orizzonte degli eventi sia a sua volta effetto di un collasso cosmico – così come quello bidimensionale di un buco nero deriva dal collasso di una stella tridimensionale – allora il collasso dovrebbe avvenire in un universo con quattro dimensioni spaziali.
Questo tipo di scenario extradimensionale, in cui il numero di dimensioni dello spazio è più grande delle solite tre, è un’idea vecchia quanto la relatività generale. Fu proposto originariamente da Theodor Kaluza nel 1919 e poi ampliato da Oskar Klein negli anni venti. La loro idea venne dimenticata per più di mezzo secolo, prima di essere ripresa negli anni ottanta dai fisici che studiavano la teoria delle stringhe. Più di recente è stata usata per costruire una cosmologia dei cosiddetti «mondi-brana».
L’idea base di un mondo-brana è che il nostro universo tridimensionale sia un sottouniverso immerso in uno spazio più grande, con quattro o più dimensioni spaziali. L’universo tridimensionale è detto «brana», mentre quello più grande è detto bulk. Tutte le forme note di materia ed energia aderiscono alla nostra brana tridimensionale come un film proiettato allo schermo (o la realtà fatta di ombre per i prigionieri nella caverna di Platone). L’eccezione è la gravita, che permea tutto il bulk di dimensione superiore.
Pensiamo a questo sovrauniverso bulk con quattro dimensioni spaziali che potrebbe essere esistito prima del big bang. Possiamo immaginare che fosse pieno di oggetti come stelle e galassie quadridimensionali; queste stelle di dimensione più elevata potevano a loro volta esaurire il combustibile, proprio come le nostre tridimensionali, e collassare formando buchi neri.
Che aspetto avrebbe un buco nero quadridimensionale? Avrebbe anch’esso un orizzonte degli eventi, una superficie da cui nulla torna indietro, compresa la luce. Ma invece di essere una superficie bidimensionale, come nei buchi neri abituali, un buco nero quadridimensionale genererebbe un orizzonte degli eventi con tre dimensioni spaziali.
Anzi, grazie a un modello che descrive la morte per collasso di una stella quadridimensionale abbiamo scoperto, in numerose circostanze, che il materiale espulso dal collasso stellare può formare una 3-brana in lenta espansione che circonda questo orizzonte degli eventi tridimensionale. Questa 3-brana è il nostro universo: si tratta di una specie di ologramma del collasso di una stella quadridimensionale che diventa un buco nero. In questo modo, la singolarità cosmica del big bang rimane nascosta ai nostri occhi, racchiusa per sempre dietro a un orizzonte degli eventi tridimensionale.
Le cose stanno così?
Il nostro modello ha molti elementi a suo favore, a partire dal fatto che elimina la singolarità nuda che avrebbe dato luogo all’universo. Ma che ne è degli altri classici problemi cosmologici, come il fatto che il cosmo è quasi piatto ed estremamente uniforme? Dato che l’universo bulk quadridimensionale potrebbe essere esistito nel passato per un tempo infinitamente lungo, qualsiasi punto più caldo o più freddo del bulk avrebbe avuto tutto il tempo per raggiungere l’equilibrio. L’universo bulk sarebbe omogeneo e il nostro universo 3-brana ne avrebbe ereditato l’omogeneità. In più, dato che anche il buco nero quadridimensionale apparirebbe quasi privo di caratteristiche ( «privo di capelli»), il nostro universo 3-brana emergente sarebbe analogamente omogeneo. Più grande è stata la massa della stella quadridimensionale, più piatta è la 3-brana, in modo che la piattezza del nostro universo è una conseguenza dell’essere un residuo del collasso di una stella pesante.
Così il nostro modello di big bang olografico non solo risolve i principali rompicapi dell’uniformità e della quasi piattezza della cosmologia standard senza fare ricorso all’inflazione, ma annulla anche gli effetti nocivi della singolarità iniziale.
L’idea può parere folle, ma ci sono vari modi per metterla alla prova. Uno consiste nello studio della radiazione cosmica di fondo a microonde, o CMB, da cosmic microwave background; fuori della nostra 3-brana dovrebbe esserci una quantità di materia aggiuntiva del bulk quadridimensionale, attratta dall’effetto gravitazionale del buco nero. È possibile mostrare che le fluttuazioni termiche di questa materia extra creano fluttuazioni sulla 3-brana che a loro volta distorcono la CMB in modo piccolo ma misurabile. I nostri calcoli differiscono di circa il 4 per cento dai dati più recenti del telescopio spaziale Planck dell’Agenzia spaziale europea. Ma questa differenza può essere dovuta a effetti secondari non ancora inseriti correttamente nel modello.
Inoltre, se il buco nero quadridimensionale ruota (il che è molto comune per i buchi neri), la nostra 3-brana può non avere lo stesso aspetto in tutte le direzioni. La struttura su larga scala del nostro universo avrebbe un aspetto lievemente diverso in direzioni diverse. Gli astronomi potrebbero rilevare questa direzionalità studiando variazioni sottili nella CMB in parti diverse del cielo.
Ovviamente, nel momento stesso in cui il big bang olografico risolve un problema gigantesco, l’origine del nostro universo, solleva una nuova serie di domande, la cui principale è: da dove viene l’universo genitore del nostro universo?
Per rispondere a questo problema, possiamo rivolgerci di nuovo a Platone. Quando i prigionieri uscirono dalla caverna, la luce del giorno li abbagliò; ci volle del tempo per abituarli alla luminosità. All’inizio riuscivano a distinguere solo ombre e riflessi. Ma presto riuscirono a vedere anche la Luna e le stelle. Infine conclusero correttamente che il Sole è «l’autore di tutto ciò che vediamo»: giorno, notte, stagioni e ombre. I prigionieri non capivano che cosa fosse all’opera dietro al Sole, proprio come noi non capiamo l’universo bulk quadridimensionale. Ma almeno sappiamo dove cercare le risposte.