Amedeo Balbi, Le Scienze 18/12/2014, 18 dicembre 2014
ALLA RICERCA DEI MONDI LONTANI
Solo qualche decina di anni fa, l’idea di trovare le prove dell’esistenza di pianeti attorno ad altre stelle sarebbe sembrata estremamente speculativa. I pianeti sono oggetti talmente piccoli e poco luminosi rispetto alla stella attorno a cui orbitano che le difficoltà da superare per osservarli sono formidabili. Oggi, però, viviamo in un’epoca in cui nuovi pianeti extrasolari, o «esopianeti», vengono scoperti a un ritmo impressionante. Al momento in cui scrivo queste righe siamo arrivati a 1849 esopianeti confermati, mentre i possibili candidati non confermati sono oltre 4000.
La ragione di questa esplosione è da cercare nei progressi degli strumenti e delle tecniche di osservazione. La presenza degli esopianeti è rivelata indirettamente, attraverso gli effetti che provocano sulla loro stella. I più importanti sono due: da un lato c’è la lievissima diminuzione nella luce della stella quando il pianeta le transita davanti; dall’altro c’è il moto periodico indotto nella stella dalla presenza del pianeta (o dei pianeti), che può essere misurato attraverso lo spostamento delle righe spettrali della stella stessa (per lo stesso effetto Doppler che provoca la variazione del tono della sirena di un’ambulanza in movimento).
Si tratta in entrambi i casi di effetti minuscoli, ma ormai alla portata degli strumenti più sensibili. I due metodi si completano, perché l’osservazione del transito permette la misura del raggio del pianeta, mentre il metodo basato sulla variazione dello spettro può dare informazioni sulla massa: se si conoscono sia massa sia raggio del pianeta se ne può stimare la densità, e quindi la composizione. Se il metodo spettroscopico ha portato alle prime scoperte di esopianeti all’inizio degli anni novanta, continuando a dominare fino al primo decennio del nuovo secolo, l’osservazione dei transiti si è affermata con forza negli ultimi anni, dopo il lancio da parte della NASA del satellite Kepler, che da solo è responsabile della scoperta di circa metà degli esopianeti noti.
Insomma, la scienza degli esopianeti è in forte attività, e mentre la fase di scoperta prosegue a pieno ritmo, si sta rapidamente passando al secondo passo, quello della caratterizzazione dei pianeti già noti. In entrambi gli ambiti sono stati messi in campo per i prossimi anni progetti ambiziosi che vedono anche un’attiva partecipazione italiana.
Tra quelli già in corso c’è HARPS-N, uno strumento del Telescopio Nazionale Galileo di 3,5 metri dell’Istituto nazionale di astrofisica (INAF), che con accurate misurazioni spettroscopiche può scoprire nuovi pianeti e misurare la massa di quelli già rivelati da Kepler. Questo tipo di approccio verrà in futuro spinto ancora oltre da strumenti addirittura più sensibili come ESPRESSO al Very Large Telescope o CODEX all’Extremely Large Telescope. Per l’osservazione dei transiti, l’Italia è presente in almeno due missioni spaziali dell’ESA, l’Agenzia spaziale europea: CHEOPS (il cui lancio è previsto per il 2017) e PLATO (prevista per il 2024).
Non va dimenticata poi la possibilità di sfruttare per la ricerca di esopianeti anche il satellite GAIA, che ha da poco iniziato il più accurato e ricco censimento delle posizioni delle stelle della nostra galassia. E quello che un tempo sarebbe sembrato un obiettivo impossibile, ovvero l’osservazione diretta di pianeti intorno ad altre stelle, sarà in futuro possibile grazie alle risoluzioni sempre maggiori raggiungibili dai grandi telescopi di nuova generazione.
Infine, c’è l’ambizioso obiettivo di studiare la composizione delle atmosfere degli esopianeti noti, che potrà spingersi fino a cercare i segni di un’eventuale attività biologica sulla loro superficie. Perché, in definitiva, una delle più forti motivazioni per esplorare altri pianeti è capire quanto siano comuni mondi come il nostro, adatti alla vita o addirittura abitati, nel resto dell’universo.