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 2014  dicembre 17 Mercoledì calendario

NEW YORK

"Da oggi cambiano i rapporti tra il popolo americano e quello cubano. Si apre un capitolo nuovo nella storia delle Americhe". Barack Obama dà lo storico annuncio dalla Casa Bianca a mezzogiorno in punto (le 18 italiane). E’ una svolta che chiude una crisi endemica durata ben 53 anni: l’America apre a Cuba, ristabilisce le relazioni diplomatiche, cancella un embargo rovinoso per entrambe le parti.

Il disgelo matura "in 45 minuti di colloquio tra Barack Obama e Raul Castro", rivela la Casa Bianca. Obama decide anche su questo terreno di lasciare un’eredità "pesante" nella storia. Annuncia il ristabilimento delle relazioni diplomatiche con L’Avana che erano state interrotte nel 1961 in seguito alla rivoluzione di Fidel Castro. "Negoziati rapidi, per una riapertura dell’ambasciata Usa in tempi stretti", è l’incarico che Obama affida al suo segretario di Stato John Kerry. Inizia anche a smantellare l’edificio delle sanzioni: più facilità per viaggi e turismo, affari e comunicazioni, carte di credito e Internet, rimesse degli emigrati. Con un occhio ai diritti umani, che sarà più facile sostenere abbattendo il muro dell’isolamento.
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Obama parte da una constatazione severa e al tempo stesso molto pragmatica: l’embargo ha fallito. Ha creato immensi disagi a Cuba, "ma mezzo secolo dopo i comunisti di Castro sono sempre al potere". Per contro ha ridotto la capacità d’influenza degli Stati Uniti, sia nei confronti di Cuba sia verso altri paesi d’America latina. "A tratti ci siamo isolati nell’emisfero occidentale". Ovvero: gli Stati Uniti si sono messi ai margini rispetto ad un ampio consenso delle nazioni latinoamericane che non avevano condiviso la politica dell’embargo. In un certo senso l’errore degli Usa ha regalato a Castro un podio per la sua propaganda. "Non si favoriscono i diritti umani cercando di far fallire gli Stati, ma dialogando". Tra le aperture, non a caso Obama mette in prima linea la liberalizzazione degli investimenti nelle telecom: per portare Internet su un’isola dove solo il 5% della popolazione naviga online. E’ proprio grazie alle concessioni dell’Avana che le aziende digitali americane potranno portarvi le proprie infrastrutture e tecnologie.

Il pretesto per questa clamorosa apertura, è la liberazione decisa all’Avana di un businessman americano, Alan Gross, che era detenuto dal 2009 e oggi è stato scambiato con tre cubani accusati di spionaggio negli Stati Uniti. Ma la svolta storica era nell’aria da tempo, Obama ci stava lavorando. Ed è come se la sua sconfitta alle elezioni di midterm avesse improvvisamente "liberato" il presidente, spingendolo a dare un senso e un contenuto più progressista all’ultimo biennio che gli rimane. La politica estera è uno dei pochi terreni sui quali il presidente ha un potere quasi esclusivo, e Obama è deciso a usarlo fino in fondo.

Su Cuba, Obama usa anche la sua autobiografia ("Sono nato pochi mesi dopo la fallita invasione della Baia dei Porci e pochi mesi prima della crisi dei missili") per segnalare il lungo tempo trascorso da quelle tensioni della guerra fredda, l’assurdità di restare aggrappati a un passato ormai remoto. Rivendica con orgoglio la battaglia per i diritti umani, la difesa della libertà di espressione e del dissenso. Ma il metodo era sbagliato, diceva, "ha dato un alibi al regime". Fa un paragone con Cina, Vietnam, altre nazioni dove i diritti umani sono calpestati ma tuttavia l’America sceglie di avere relazioni aperte. Evoca "le nuove generazioni di cubani-americani", che non condividono l’approccio dei genitori anti-castristi, roccaforte elettorale della destra e sostenitori dell’embargo. Obama fa anche un riferimento esplicito e riconoscente all’intervento di papa Francesco. "Da ora in avanti quando siamo in disaccordo, sulla democrazia e i diritti umani, lo diremo direttamente. Cuba non cambierà da oggi all’indomani. Ma diventa più facile per noi appoggiare il cambiamento". Un appuntamento dell’anno prossimo: Cuba e Stati Uniti parteciperanno insieme, per la prima volta, al Summit of the Americas a Panama, dove si discuterà anche di diritti umani. E a sottolineare l’importanza della svolta il capo della Casa Bianca chiude con una frase in spagnolo: "Todos somos americanos".