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 2014  dicembre 17 Mercoledì calendario

DALLA GARBO A STRAVINSKJI, QUANDO TUTTA EUROPA ANDAVA AL GRAND HOTEL

Ci sono parole, come Grand Hotel, che evocano immediatamente un mondo, in qualche modo tramontato e quindi anche più fascinoso. Greta Garbo in un film del ‘32 che con questo titolo alimentò i sogni di varie generazioni; scandali ed eleganze, teste coronate e teste incoronabili come Wallis Simpson, l’americana che sposò Edoardo VII facendogli perdere la corona britannica; teste disperate come Francis Scott Fitzgerald e la moglie Zelda persi per la Costa Azzurra, penne avventurose come Stefan Zweig e le sue spie arrivate sullo schermo con Grand Budapest Hotel: il Grand Hotel, icona del liberty, era un mondo dorato e inarrivabile, misterioso e sublime.
Sogno collettivo
Era un sogno collettivo, un palcoscenico dove si recitava la commedia umana al suo massimo di spettacolarità, che includeva il segreto, l’allusione, il mistero, ladri gentiluomini, belle donne, industriali, aristocratici, artisti, spie indaffaratissime, amori, tragedie. Gli hotel di gran lusso esistono ancora, com’è ovvio, anzi rivaleggiano in prezzi e spettacolarità. Non mancano certo i ricchi (sempre più ricchi) e i mascalzoni, le star, i mitomani, i politici e i governanti, persino i killer, ma un’epoca storica è finita, morta e sepolta. Quello era il tempo di Joseph Roth, grande scrittore e allora giornalista di successo, che negli Anni Trenta proclamava: «Io sono un cittadino dell’hotel, un patriota dell’hotel». Questo è un tempo diverso. Sul sito dell’Excelsior di Firenze campeggia orgoglioso di sé uno slogan che promette, alla lettera, lo sciatto luogo comune dei «panorami mozzafiato», come si trattasse di un villaggio vacanza qualsiasi affollato di calciatori.
La storia, le storie
Proprio di qui, dall’Excelsior, si dipana tuttavia un filo che ci porta all’ultima, straordinaria testimonianza di anni lontani e mitologici: il libro di bordo d’un suo storico direttore, Boris Skerl, che dal 1908 al 1940 raccolse le immagini e le dediche di tutti i grandi personaggi passati per quelle hall, ai quali si guardò bene di mozzare alcunché. Comincia con una cartolina dedicata di Giacomo Puccini e finisce con una fotografia originale dove Hitler stringe la mano a Mussolini, durante la celebre visita in cui il Führer sancì iconicamente proprio a Firenze il suo dominio sull’alleato. Il volume è andato all’incanto nel week end per l’asta fiorentina della libreria antiquaria Gonnelli, insieme a molti altri lotti preziosi.
Ha però un significato non solo collezionistico. E’ l’album di famiglia di un’epoca, con Vittorio Emanuele di Savoia e la Regina Elena, l’allora imperatore del Giappone Akihito, naturalmente Edoardo di Windsor e Wallis, l’imperatrice dell’Indocina e un’infinita di ministri, presidenti e sovrani. Ma non è solo una parata di visite più o meno ufficiali. Ci sono musicisti come Franz Lehar, Richard Strauss (che nell’autografo scrive anche qualche nota) Toscanini, Stravinskij da solo (anche lui con un breve incipit musicale) e con De Chirico, un tenore come Tito Schipa, Stefan Zweig (lo scrittore: e come poteva mancare), Tyrone Power e Totò, persino un astrologo un tempo famosissimo come Achille D’Angelo detto il mago di Napoli. L’elenco è lungo, si tratta di un centinaio di immagini.
Il «commendatore»
Pochissimo sappiamo del suo autore, se non che diresse l’Excelsior e poi il Danieli a Venezia e l’Hotel des Iles Borromées a Stresa. Gli ospiti lo chiamano volentieri «commendatore», il cognome è sloveno, diffuso a Trieste. Possiamo immaginarlo felpato e rassicurante come da tradizione romanzesca e cinematografica. Non deve essere stato facile estorcere con discrezione (la virtù saliente in un Grand Hotel) tutte quelle foto. Va aggiunto però che dovette affrontare altre imprese, molto complicate: e infatti ha lasciato una traccia, labile, nei cablogrammi del comando germanico che gli inglesi intercettavano. Viene nominato più volte (ma come Boris Sterl) fra i personaggi con i quali i tedeschi intessevano rapporti riservati.
Una spia? Non è detto, risponde lo storico Mario Cereghino, che insieme con Giuseppe Casarrubea ha studiato la «guerra segreta» tra il ‘43 e il ‘47 («Lupara nera», Bompiani), trovando anche il nostro commendatore. Non c’è Grand Hotel senza spioni, e non c’è direttore che si possa permettere di non sorridere a tutti. Soprattutto se è un cacciatore di dediche.