Massimo Recalcati, la Repubblica 16/12/2014, 16 dicembre 2014
QUANDO LA MECCANICA DELL’AMORE NON CI RESTITUISCE IL DESIDERIO PERDUTO
IL NOSTRO tempo vive sotto il peso dell’egemonia del “principio di prestazione” che un filosofo come Herbert Marcuse, che fu un grande interprete della stagione del ‘68 e del movimento della cosiddetta “liberazione sessuale”, aveva preconizzato come un nuovo e subdolo padrone della nostra vita collettiva. Questo principio porta con sé una mutazione antropologica: l’uomo si trasforma in una macchina che in tutti i livelli di manifestazione della sua vita deve garantire la prestazione più efficace.
Questo nuovo principio vorrebbe mettere in soffitta come dei vecchi arnesi del Novecento il pensiero lungo della filosofia, la fatica del lavoro, i labirinti tortuosi della vita psichica, il mistero enigmatico dell’amore per celebrare il profitto immediato, la via breve al successo personale, la consumazione senza limiti del presente. Il principio di prestazione ordina, infatti, l’efficienza della macchina pulsionale come prioritaria rispetto a qualunque altro principio (etico, politico, religioso, artistico). È su questo terreno che dobbiamo situare l’attuale successo della farmacologia (specie quella “psico”) e della sessuologia in particolare. Se il corpo è una macchina che punta a realizzare il suo massimo godimento, bisogna saper oliare bene tutti i suoi ingranaggi. Si può allora salutare come un fattore di progresso e di Civiltà il fatto che per molti rivolgersi al sessuologo non costituisca più un tabù e che anche molte donne adesso abbiano finalmente superato ataviche inibizioni e si siano finalmente autorizzate ad offrire alle cure sessuologiche i loro corpi. Con l’ausilio di qualche pillola e in qualche seduta, in tempi brevi, se non brevissimi, si garantisce il ripristino del corretto funzionamento della macchina.
Un noto sessuologo di Waterloo, al secolo Pascal de Setter, si era distinto per un indimenticabile articolo contenuto ne “Il libro nero della psicoanalisi”, a proposito delle sue indicazioni illuminate nella cura del sintomo della eiaculazione precoce. In quell’occasione spiegava dottamente come per risolvere questo sintomo mortificante non era ovviamente necessario spendersi in ricerche su se stessi o sul proprio legame amoroso (vedi psicoanalisi). La macchina difettosa ha come unico modello la macchina efficiente. Dunque era assai più utile, anziché disperdersi in frustranti ruminazioni su se stessi, dedicarsi ad opportuni esercizi di respirazione e di rilassamento finalizzati a preparare il corpo — come in un copione di un vecchio film di Woddy Allen — alla sua fatidica prestazione….
La sessuologia separata da una pratica della parola e dell’ascolto non può che sfociare in una pedagogia disciplinare del corpo, espressione di quel biopotere di cui Foucault ha fornito un ritratto insuperabile. La sessualità umana non può mai essere separata dai suoi fantasmi inconsci. Non può mai essere ricondotta ad una normalità che non esiste, non può mai essere né curata, né guarita. Essa resta bizzarramente ancorata alle vicissitudini del desiderio inconscio. Se la restituzione delle capacità performative degli organi (l’erezione nell’uomo, la lubrificazione vaginale nella donna, per esempio) può essere raggiunta attraverso la corretta prescrizione di farmaci, resta comunque certo che questa operazione di raddrizzamento del funzionamento storto della macchina del corpo sessuale, non sfiora il problema di cosa significa desiderare. Non è ancora stata inventata — ma magari sarò smentito da un collega del sessuologo di Waterloo — la pillola capace di accendere il desiderio. È il punto cieco della sessuologia che un mio vecchio paziente, dopo aver ottenuto il ripristino della capacità erettile del suo organo grazie a trattamenti farmacologici, mi descriveva smarrito: “e ora chi riuscirà a collegare l’organo ad un desiderio che non c’è?”.
Non è affatto casuale che anche i sessuologi più avvertiti confermino una tesi che avanzavo nel 2010 in un libro titolato L’uomo senza inconscio che “ispirò” — come riconobbe Giuseppe De Rita — l’allora rapporto del Censis sulla vita degli italiani: il desiderio si è eclissato, è morto, assente, svanito. Questo è il vero problema che anche la sessuologia constata. Ci si potrebbe anche chiedere se la liberazione sessuale e la caduta di ogni velo sul corpo sessuale, abbiano giovato al desiderio, il quale, non dobbiamo dimenticare, si nutre sempre della distanza, della differenza, del mistero, della presenza del velo. Bisognerebbe avere il coraggio di dire che gli entusiasmi per la cosiddetta liberazione sessuale hanno generato una nuova e forse più insidiosa gabbia rispetto a quella dei moralismi di ogni genere e specie. È quella del principio di prestazione che sembra colonizzare anche il mistero del corpo erotico.