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 2014  dicembre 17 Mercoledì calendario

PEPPINO DI CAPRI NON SMETTE DI FARE IL SOGNATORE: «SENZA EMOZIONI È FINITA»

A voglia e cantà e Dimme addo stà sono le due uniche canzoni napoletane – le altre sono tutte in italiano – che sono state inserite nel nuovo lavoro dal titolo L’acchiappasogni, di una grande icona della musica, Peppino di Capri. Il tema è quello di sempre: l’amore. Si tratta di un lavoro autoprodotto, pubblicato dalla Splash, la sua etichetta dal 1970. Continuando a scrivere musica, nonostante la crisi da cui nessuno è più immune. «Ho stretto un po’ la cinta per incidere questo album – spiega – sperando che sia all’altezza di quello che il pubblico attende da me. Questo è stato il frutto di una specie di folgorazione. Sono stato colpito dall’immagine di un oggetto dei Pellerossa che, durante la notte, filtra i sogni cattivi e consente soltanto ai buoni di entrare nella mente.

Poi quando arriva la mattina, i cattivi appunto scompaiono.

Le mie canzoni sono così: faccio sognare i miei fan da più di cinquant’anni. Alla fine credo che tutti noi ci identifichiamo in un sognatore. Il giorno che non si sentono più emozioni è finita. Ecco perché penso che sia giusto e bello poter sognare sempre». Così a settantacinque anni compiuti Peppino di Capri sente ancora su di sé l’entusiasmo degli anni d’oro. Prima di questo lavoro, in estate, ha scritto, con Mogol e Paolo Fiorillo, Capri Song, un brano allegro frizzante e divertente, un inno a Capri: «Nonostante la grande produzione di canzoni riferite all’isola azzurra, non ce n’è una che effettivamente sia stata riconosciuta come il suo inno».

Tornando a parlare di produzione, il cantautore ricorda: «All’inizio della carriera quando non avevo ancora una casa discografica, gli autori di Mbraccio a ’mme, vollero che il disco fosse inciso a Napoli e si rivolsero alla Phonotype: incisi una matrice di 78 giri (non c’erano ancora a 45, ndr), nella loro sede ma, poi, non fui più chiamato. Evidentemente la mia voce non piacque», perché Giuseppe Faiella (questo il suo nome vero) si presentava con uno stile innovativo, rifacendosi ai classici rocker americani. Il suo avvento, in effetti, fu una rivoluzione per la canzone partenopea: via la parte melodica, via i retaggi del vecchio romanticismo, ma la sua “napoletanità” si coniugò con il rock, prima e con il twist poi, mentre appunto la Phonotype era decisamente orientata al passato, tanto che il suo archivio, ancora oggi, contiene più di un secolo di musica tradizionale napoletana.

«Dal 1966 al 1970 ho avuto un momento di calo perché, dopo l’arrivo dei Beatles, qualcosa era cambiato. Ho lavoricchiato un po’, ma sostanzialmente ero fuori. Per un certo tempo mi sono sentito anche un po’ insicuro. A quel punto ho deciso di tentare un’avventura di credere in quello che sarei riuscito a combinare, sapendo di poter contare sulla delicatezza e la generosità tipica della napoletanità. Di qui la creazione della “mia” casa discografica. Quando è ritornato il successo è stato un momento molto bello ». E, quindi, sorridendo, confessa: «Tutte le canzoni hanno lasciato una traccia profonda, ma la cosa più bella per me è stata sempre quella di ascoltare l’applauso. Mi godo quel momento ma poi penso subito a domani». Del resto non va dimenticato che già al festival di Sanremo del 1987 presentò appunto una canzone, Il sognatore, scritto da lui, Toto Cutugno e Depsa.