Valeria Palumbo, SportWeek 13/12/2014, 13 dicembre 2014
NEMICO, GIOCHIAMO
Meno di 25 metri. A volte, molto meno: a Boyau de la Mort, una fortificazione oggi perfettamente restaurata a Dixmude, pochi chilometri a nord di Ypres, tra il bunker che termina le trincee tedesche e il muro che apre quelle alleate ci saranno al massimo dieci metri. In quella zona, umida, ventosa e freddissima, dopo l’invasione tedesca del Belgio, il fronte si fermò.
Era la metà di ottobre del 1914. Non si sarebbe mosso per quattro anni esatti. A dicembre, però, tra le truppe belghe sfinite dalla ritirata e quelle tedesche ancora stupite dell’improvvisa frenata della loro valanga, nessuno immaginava quanti uomini sarebbero stati inghiottiti da quel fango. E quanto a lungo sarebbero marciti in quello che i medici battezzarono “il morso dell’acqua”: a forza di stare nelle trincee invase dalla melma le gambe dei soldati letteralmente marcivano. E bisognava amputarle.
In quel dicembre, nonostante tutto, francesi, belgi e inglesi da una parte, e tedeschi e austriaci dall’altra credevano ancora di potersene tornare presto a casa. Parigi si era salvata per miracolo dopo che gli austro-tedeschi erano stati fermati sulla Marna. Qualcuno ancora pensava che le guerre si vincessero con gli assalti e i combattimenti. Quattro anni dopo, nella fascia larga pochi chilometri che in lunghezza si estende dalla costa di Ostenda fino a Belfort, vicino al confine svizzero, la terra sarebbe stata così devastata, bruciata e intrisa di veleni, frammenti metallici, rottami, rovine, mine, ordigni, crateri, che nulla vi sarebbe ricresciuto per decenni. Ancora oggi le voragini scavate dagli obici sono spesso coperte soltanto di erba. Un paesaggio disumano che per un giorno, per caso, per disperazione, per umanità, per spirito di sopravvivenza, i soldati di entrambi i fronti trasformarono in qualcos’altro.
All’alba del 25 dicembre 1914, i francesi, i belgi e i britannici incastrati nelle trincee attorno a Ypres furono risvegliati a sorpresa dal canto di Stille Nacht, una canzone austriaca del 1816. Messa cautamente la testa fuori dai sacchetti di sabbia e dai muri di fango, si accorsero che i tedeschi avevano piazzato sopra le trincee degli alberelli di Natale, illuminati da candele. Era Natale, che diamine. Dopo il canto, ancor più stupiti, gli alleati sentirono gridare: «Komm Tommy, jetzt bist Du dran», «Dai Tommy (come i tedeschi chiamavano i soldati britannici), adesso tocca a te». E gli scozzesi, con le loro cornamuse, risposero con due canzoni di Natale.
Poi toccò di nuovo ai tedeschi. Alla fine i tedeschi urlarono di nuovo: «Komm Tommy, steh auf», «Dai Tommy, vieni fuori». Nessuno osò farlo. Ma a quel punto i britannici notarono le sagome dei tedeschi che emergevano, disarmati, nel buio. Qualcuno ancora cantava Stille Nacht. Nel giro di poco tempo, dalle trincee uscirono intere colonne di soldati che si avviarono verso la stretta No man’s land che si stendeva, coperta di cadaveri e crivellata dai colpi degli obici, tra i due reticolati.
Era un trucco? All’inizio non si fidava nessuno. Valli a capire questi tedeschi, pensavano soprattutto belgi e francesi, ancora scioccati dalla violenza dell’invasione, con centinaia di migliaia di profughi in fuga verso Parigi, cittadine bruciate, migliaia di donne violentate, campi distrutti. Arrivati al centro, i tedeschi invitarono i britannici a unirsi a loro. Accettarono. I due schieramenti si scambiarono auguri e piccoli regali per tutto il giorno: cioccolata, vino caldo, candele. Poi, la mattina dopo, giocarono a calcio. Vinsero i tedeschi, si dice: 3 a 2.
Quell’episodio, in quell’assurdo Natale del 1914, non fu isolato. Lungo il fronte, che da Ypres scendeva verso le colline della Somme, dell’Oise, dell’Aisne e della Marna, da più trincee, gli uomini uscirono, incuranti dei richiami degli ufficiali e andarono incontro al nemico. I comandi la presero malissimo e, rivelando una stupidità che ha caratterizzato quasi tutti i vertici militari e politici nella Prima guerra mondiale, minacciarono drastiche misure per evitarne il ripetersi. Qualche episodio ci fu ancora negli anni successivi. Accadde anche da noi, nel Natale del 1917, dopo la disastrosa sconfitta di Caporetto, mentre gli italiani, a costi disumani, tentavano di riconquistare il terreno perduto. Furono gli austriaci a proporre la tregua, come ha ricordato nel suo diario il soldato semplice Antonio Rotunno, del 266° fanteria Brigata Lecce, che con i suoi compagni gelava nelle trincee che lambiscono il Piave nei pressi di Sant’Andrea di Barbarana. Allora, scrive Rotunno: «Come per incanto, su tutta l’estensione del fronte del Piave sembra che regni la calma e il silenzio, come se la guerra fosse cessata da lungo tempo o come se le trincee fossero vuotate o disertate dai due eserciti combattenti. Non si odono più quei soliti colpi del moschetto e del fucile che le sentinelle, di tratto in tratto, durante il proprio servizio, erano solite tirare a vuoto nel silenzio della notte, e neppure si ode più lo scoppio terribile delle granate e delle bombarde: le batterie nemiche e le nostre tacciono e tacciono sempre».
La tregua del Natale 1914 non fu però generalizzata. E quella del 1917 fu legata più agli ammutinamenti e alla stanchezza dei soldati che alla voglia di festeggiare il Natale. Né, tantomeno, ovunque si giocò a pallone. Ma forse è proprio dai campi di calcio fotografati da Jurgen Vantomme e presentati nella mostra londinese Crossing the Field: WWI, Football & the Christmas Truce che emerge, più che da ogni altro “segno di vita”, il senso profondo di quella tregua spontanea. Come ha ricordato anche Paul McCartney, nella canzone Pipes of Peace, dedicata a quell’evento e a quella improbabile partita di calcio, i soldati, almeno per qualche istante, prima che l’artiglieria riprendesse il fuoco, riuscirono a sorridere.
Oggi sorridono, nonostante il gelo e il vento immutato, i ragazzi che giocano sui campi di calcio. E passano il confine senza accorgersi che, in fondo, è ancora un confine.
Chi se la prende con l’Europa dovrebbe appunto fare un salto tra Ypres e Verdun (dove morirono 360 mila francesi e 335 mila austro-tedeschi): dove sorgevano le trincee, oggi si passa gettando uno sguardo distratto ai cartelli che segnano il confine tra Francia e Belgio, Belgio e Germania, Germania e Francia o Lussemburgo. Per questo varrebbe la pena, in omaggio a quei soldati che nella notte del 1914 anticiparono una pace che sarebbe costata ancora milioni di morti e un’altra guerra mondiale, fermarsi a Frelinghien, a sud di Ypres e sul confine francese, dove l’11 novembre 2008 chi ancora ricordava quella mitica partita ha posto una semplice pietra del ricordo.