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 2014  dicembre 13 Sabato calendario

SINCLAIR PIÙ FORTE DOPO STRAUSS KAHN


«Quel che conta non è la prima, ma la seconda domanda». Durante le sue leggendarie interviste, Anne Sinclair non si accontentava mai di una semplice risposta: incalzava gli interlocutori con richieste sempre più precise, fino a metterli all’angolo. Eppure i politici facevano la fila per venire nello studio di 7 sur 7, sottoponendosi al suo impietoso esame. «Ma vuole distruggerci?», le ha chiesto una volta François Mitterrand durante l’intervallo pubblicitario. «Monsieur le Président, sto facendo solo il mio mestiere», ha risposto lei a telecamere spente, prima di riprendere in diretta il terzo grado. Jacques Delors è andato nella sua trasmissione per annunciare che non si sarebbe candidato alla presidenza della Repubblica. Quella sera, ricorda, le strade erano vuote, milioni di francesi aspettavano di vedere cosa avrebbe detto il socialista.
Ora che Anne Sinclair è dall’altra parte, nel ruolo di intervistata, sa esattamente fin dov’è disposta ad andare. Sulla sua vita privata, in particolare, ha idee chiarissime. «Ci sono cose che non dirò mai. Considero la trasparenza come una forma di totalitarismo», racconta seduta nel bar dell’hotel Pavillon de la Reine, davanti al suo appartamento di place des Vosges. Da quando è separata da Dominique Strauss-Kahn, vorrebbe che il mondo dimenticasse le tante domande intorno all’immagine di una donna altera che entra nel tribunale di New York, a testa alta, fendendo le telecamere, per sostenere l’innocenza di suo marito accusato dello stupro di una cameriera d’albergo. Sono passati tre anni e mezzo ma molti ancora si chiedono come abbia fatto a sopportare le rivelazioni, talvolta gli insulti, le insinuazioni, i riflettori del processo, e poi il buio della clausura, lunghissimi giorni in cui Sinclair e DSK hanno vissuto agli arresti in una casa di 600 metri quadrati a Tribeca, l’assedio dei media che è continuato anche dopo il ritorno in Francia. Ha calcolato: ci sono stati in quel periodo 150mila prime pagine di quotidiani sullo “scandalo DSK”, senza contare tv, radio, siti. Dopo mesi, anni, continuano ancora a uscire romanzi, pièce teatrali, film ispirati a quell’evento che racchiude in sé due delle tre “S” che s’insegnano a chi vuole fare articoli di cronaca: sesso, sangue, soldi.
Sorridente, piena di energia, da poco tornata dagli Stati Uniti, ordina una spremuta d’arancia perché «servono vitamine». «Come ho fatto? Mia nonna diceva: stringi i denti e i pugni, e se serve usa i pugni». Sinclair porta con sé il segreto della sua forza. «Conoscete molte altre donne che avrebbero saputo comportarsi come lei?», dice la filosofa Elisabeth Badinter, sua amica da tempo. Ovvero: con dignità ed eleganza. Una qualità sempre più rara nell’epoca del gossip dilagante. Non si stupisce che il libro di Valérie Trierweiler, che mette in mutande il Presidente e apre ai francesi i segreti della camera da letto dell’Eliseo, abbia successo. «È un colpo basso alla Francia, attraverso il suo Presidente. Trovo spiacevole esibire davanti al mondo intero il regolamento di conti interno a una coppia. La promozione all’estero del libro è stata scioccante e aggiunge indecenza a tutta l’operazione». Stop: anche su questa faccenda preferisce non dilungarsi.
Nonostante quello che molti hanno scritto, Sinclair non ha mai sognato di fare la première dame. «È la traduzione sbagliata di quello che esiste negli Stati Uniti. Da noi, in Europa, viene eletto un uomo o una donna, non una coppia». Una sola volta, Sinclair ha scelto di parlare di DSK, partecipando a una trasmissione di France 2 andata in onda la primavera scorsa. «Un comportamento stupido, infantile, non all’altezza né dell’uomo né del suo destino», ha detto. E poi ancora, sulle tante altre relazioni emerse dopo lo scandalo newyorchese: «Sapevo che era un seduttore ma non ho mai voluto credere alle voci o forse non volevo davvero sapere». Sinclair ha scoperto “a poco a poco”, sui giornali, chi era davvero suo marito. Ed è diventato sempre più difficile sopportare. «Ma non si lascia un uomo quando è a terra». E così il divorzio è avvenuto solo nell’agosto 2012, quando ormai c’era stata l’assoluzione nel procedimento penale e la transazione in quello civile.
È lei che ha finanziato la difesa di Dsk così come ha fatto in parte per la carriera politica di lui, grazie alla fortuna che ha ereditato. Il nonno di Sinclair, Paul Rosenberg, è stato uno dei più importanti mercanti d’arte d’Europa. Tra il 1918 e il 1940 ha promosso e sostenuto artisti contemporanei come Braque, Picasso, Matisse. È a lui che Sinclair ha dedicato un libro, 21 rue de la Boétie, sede della galleria di famiglia a Parigi occupata poi dalla Gestapo. Micheline Rosenberg, figlia del gallerista, e Robert Schwartz, al tempo membro della Resistenza, si conoscono a New York. Il 15 luglio 1948 nasce Anne Schwartz detta Sinclair, il cognome scelto dal padre qualche anno prima per sfuggire ai nazisti. Ed è a New York, 63 anni dopo, che la sua vita ha cambiato ancora direzione. In quei giorni del maggio 2011 si era rifugiata al MoMa, dove per fortuna non c’erano giornalisti, per riallacciarsi con le sue radici: il nonno ha donato alcune opere al museo americano. Sinclair è tornata negli Usa a settembre per la promozione del libro, accolta da molti elogi per questo affresco famigliare.

Figlia unica, è cresciuta nell’adorazione dei genitori che le fanno seguire le migliori scuole, le trasmettono convinzioni di sinistra e la spronano a essere indipendente, nonostante il lavoro non sia economicamente necessario. Ha deciso che avrebbe fatto la giornalista ascoltando la radio: in casa Sinclair niente tv. A 10 anni già chiamava per intervenire nelle trasmissioni del pomeriggio. È a Europe 1 che ha fatto i suoi debutti, a metà degli anni Settanta, dopo essersi diplomata nella prestigiosa Sciences Po. Sempre a Europe 1 ha conosciuto il suo primo marito, Ivan Levaï, noto giornalista dell’emittente, con cui ha avuto i due figli, David e Elie. Nel 1988 incontra Strauss-Kahn durante un dibattito tv. È brillante, efficace, con la battuta pronta. «Funziona», come si dice in gergo televisivo. Lei è una delle donne più ambite del Paese, i francesi sono ammaliati dai suoi occhi azzurri incorniciati da un casco moro. Nel 1991, a 43 anni, Sinclair si risposa. Sei anni dopo, quando suo marito viene nominato ministro dell’Economia, lascia la tv. «Una scelta di deontologia», ricorda.

Sono passati diciassette anni da allora. Durante questo lungo sabbatico, Sinclair ha accompagnato la traiettoria ascendente di Dsk - ministro, candidato all’Eliseo, direttore del Fmi - e l’ha salvato dal precipizio. Oggi si ritrova non solo libera (anche se i rotocalchi l’hanno fotografata insieme allo storico Pierre Nora), ma ha ripreso con successo il suo mestiere, proprio nella radio che l’ha tenuta a battesimo. Un cerchio che si chiude. Ogni sabato mattina, riceve un ospite: non vuole però intervistare politici. «È l’unica condizione che ho posto quando mi hanno offerto la trasmissione». La giornalista francese riceve scienziati, intellettuali, studiosi della religione, chiunque possa offrire un’analisi o uno spunto di riflessione su un’attualità che corre sempre più veloce e in cui il racconto, nota Sinclair, è stato sostituito dall’aneddoto. «A me interessa un tempo più lungo, un dibattito delle idee di più ampio respiro».
La politica di oggi ha poche novità da offrire. Molti degli attuali personaggi, da François Hollande a Nicolas Sarkozy, da Ségolène Royal a Martine Aubry, erano già in circolazione quando Sinclair faceva la tv. «Li ho intervistati diverse volte. Quel che poteva sembrarmi divertente negli anni Novanta, vent’anni dopo è meno appassionante». In Francia, spiega, c’è stato davvero poco ricambio politico contrariamente ad altri Paesi, Italia compresa. Barack Obama era sconosciuto due anni prima di essere eletto e se David Cameron perderà le prossime elezioni in Gran Bretagna dovrà farsi da parte. «Solo da noi, perdere un’elezione diventa quasi un passaporto per ricandidarsi». Una sclerosi politica che alimenta il distacco e la delusione degli elettori.

Sul rifiuto di intervistare politici ha fatto qualche eccezione: è venuta a Roma per fare una trasmissione con Matteo Renzi, che paragona in parte a Manuel Valls. «Condividono il dinamismo, un certo realismo politico nella sinistra. Cercano di smuovere vecchi riflessi». Pochi giorni dopo l’intervista, Valls è stato a Bologna con Renzi e altri leader progressisti, nella famosa foto delle camicie bianche. «Sono uomini moderni, nell’azione, con una visione. Incidentalmente hanno anche un certo charme. Non è certo l’essenziale, ma credo che lo charme di Obama abbia giocato un po’ nella sua elezione». L’impopolarità di Hollande, spiega, è comprensibile. «Aveva davanti a lui un boulevard e ha perso molto tempo. Le sue decisioni sono state contraddittorie, lente, perché è un uomo che vuole la sintesi tra diverse posizioni, non dà mai un taglio netto. E in un momento di dubbio e crisi, i francesi avrebbero bisogno di sapere dove va il Paese. Ora finalmente ha preso la situazione di petto, ma le prime impressioni sono difficili da cancellare».

Nella sua lunga carriera, ora conta anche il giornalismo online. Due anni e mezzo fa ha lanciato l’edizione francese dell’Huffington Post. «Una scommessa vinta». La redazione è passata da otto a 19 giornalisti ed è il primo sito pure player per frequentazione. Se dovesse dare un consiglio a una giovane che vuole fare questo mestiere? «Serve curiosità e molto lavoro. Bisogna avere voglia di conoscere, capire e spiegare il mondo. Per me, almeno, è stato così». La prima volta che è entrata in una redazione, negli anni Settanta, le donne si occupavano di moda, salute, cultura, raramente di politica, esteri o economia. «Oggi abbiamo le inviate di guerra in Iraq o in Siria». Il suo essere femminista discende da Simone de Beauvoir. «Non sono mai stata in guerra contro gli uomini». Sinclair ormai è nonna e racconta con fierezza della nascita dell’ultimo nipotino, qualche giorno fa. «Noto che i papà ormai condividono molto di più l’accudimento dei figli, sanno fare una lavatrice. Ai miei tempi non era così».
Dopo l’affaire Dsk, è stata votata da un magazine femminile “Donna dell’anno”. Le capita ancora di essere fermata per strada, ricevere messaggi di ammirazione. «Mi fa piacere, ma non ho più voglia di soffermarmi sul mio passato. Sono proiettata nel futuro. Nelle prove della vita, ho dimostrato una buona salute mentale. Forse è grazie ai miei genitori, all’educazione che ho ricevuto. O forse è nella mia natura. Sono golosa, e non solo della torta al limone».