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 2014  dicembre 15 Lunedì calendario

L’ORO DI BAKU

E in principio fu il fuoco, questa è la sua culla. All’ombra del Caucaso, su cui Zeus incatenò Prometeo che il fuoco l’aveva rubato per regalarlo agli uomini, dove l’Europa non è più Europa e l’Asia non ancora Asia, c’è un ricciolo di terra impregnato di gas e fiamme che si tuffa a precipizio nel mar Caspio, zolle brune e acqua si confondono e si inzaccherano felici, giusto un po’ puzzolenti, nel petrolio e nel metano. Azerbaigian vuol dire «guardiani del fuoco», dunque è giusto che l’intera nazione si specchi nella penisola bollente di Absheron, sua ultima propaggine, e nella collina di Yanar Dag, stupefacente luogo a 30 chilometri da Baku dove la terra erutta fiamme eterne, alte anche dieci metri, alimentate dai gas pompati su dalle viscere del globo. Uno spettacolo che a un geologo suggerisce i primordi del pianeta, a un religioso l’orrore degli inferi, mentre uno sportivo, con un po’ di immaginazione, pensa al sacro fuoco di Olimpia.
Di immaginazione ne ha molta, oltre a inesplorati forzieri, Ilham Aliyev, presidente della Repubblica dal 2003 eletto già due volte anche se con percentuali assai sospette, vicine al 90%. Figlio di Heydar Aliyev che avviò la rinascita azera dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica, Ilham è seduto su 15 potenziali miliardi di barili di petrolio e su quasi la metà del gas metano esistente al mondo, e al mondo vuole aprirsi. Avviando un gasdotto che nel 2019 arriverà fino al cuore dell’Europa e a noi, perché sfocerà a Lecce, infine puntando sullo sport, veicolo per eccellenza di chi vuol farsi conoscere. Calcio e Formula 1 per prima cosa, ma il progetto e la visione arrivano fino alle Olimpiadi. Baku ha provato a candidarsi per il 2016 e il 2020, senza passare la prima selezione. Vuole riprovarci, ma ancora non lo ammette, per il 2024, in concorrenza con Roma: le prove generali saranno gli European Games, ossia la bizzarria dei primi Giochi Olimpici europei nel giugno 2015 (20 sport rappresentati, 253 gare da medaglia che in alcuni casi faranno punteggio per Rio 2016).
In città spuntano decine di impianti pronti o in via di ultimazione per ospitare oltre 6000 atleti e relative delegazioni, un villaggio olimpico con 13 torri di alloggi e appartamenti da 190 metri quadri (mai visto niente di simile in un’Olimpiade), uno staff organizzativo da 1200 persone composto da azeri ma anche da australiani, greci e inglesi (gli ultimi, cinesi esclusi, ad aver organizzato i Giochi) che a giugno raddoppieranno e che fanno capo a Simon Clegg, inglese, 55 anni, alle spalle un’esperienza di 12 Olimpiadi. È lui che ci avverte: «Stanno spendendo molto denaro, ma non è uno sperpero: investono per la crescita del Paese, è una visione per il futuro. Costruiscono impianti sportivi che prima non c’erano, come la nuova piscina olimpica, e al tempo stesso cercano di far conoscere il Paese al mondo. Le risorse ci sono, manca solo la mentalità organizzativa e noi siamo qui per formarla. Hard job: temo che alla fine dei Giochi del 2015 mi cadranno tutti i capelli, ma ce la faremo».
Paese ricco e neonato - appena 23 anni di vita, età media 28 anni - che come trampolino per il mondo ha scelto l’Europa, di cui ha ammansito le diplomazie con la forza dei suoi argomenti: petrolio e soprattutto gas, prezioso perché alternativo a quello russo, ossia seduzioni che fanno dimenticare gli scheletri nell’armadio chiamati diritti umani (pare che giornalisti e blogger dissidenti qui se la passino maluccio) e la ventennale guerra con gli armeni nel Nagorno-Karabakh, un argomento tabù che fa abbassare lo sguardo e crea silenzi improvvisi, ma intanto le spese militari sono cresciute del 2500% negli ultimi anni. Eppure l’Europa chiude entrambi gli occhi, stregata da quella che i maligni o i disincantati chiamano «diplomazia al caviale».
Inizia tutto nel 1994, quando Aliyev padre conclude il «contratto del secolo» con un pool di 11 multinazionali (gli inglesi della BP in testa) per lo sfruttamento del sottosuolo: lo Stato azero trattiene il 30% dei profitti e inizia la trasformazione. Negli ultimi dieci anni la crescita è stata «cinese», il Pil è triplicato. Tutto chiaro vedendo Baku, la capitale, una doppia punta del ricciolo, affacciata a sud su un golfo che a qualche temerario ha suggerito paragoni con Napoli. Città a strati affiancati o sovrapposti come in un bocciolo di rosa, a testimoniare le tante età di un luogo fatale, e anche il disorientamento che deve colpire la gente nel vedere tutto trasformato, a vista d’occhio, fuori e dentro di sé. Nella città vecchia si respira l’antica Persia di Zarathustra, che alcuni vogliono nato nei dintorni, e il medioevo musulmano che la sostituì. Le trivelle all’opera fuori città ricordano i primi pozzi petroliferi del mondo, scavati qui a metà dell’Ottocento, e ci sono ormai piattaforme fin dentro il mar Caspio, che odora di petrolio e non di lago salato qual è, al punto che gli storioni del caviale Beluga si stanno estinguendo. Poi ecco i palazzoni spettrali e tetri, eredità dei 70 anni di Urss, e in mezzo, come giganteschi funghi preistorici, crescono ora dopo ora i grattacieli le cui vetrate di notte si illuminano per una skyline che ricorda Gotham City, ecco la modernità dei centri commerciali del lusso, ecco le opere di grandi architetti come il magnifico centro culturale progettato da Zaha Hadid, ma anche qua e là baraccopoli come favelas sudamericane, abitate da chi neppure nell’era post-sovietica è riuscito a ritagliarsi una vita al sole. Strati anche nel traffico, caotico come si conviene a una giovane nazione nonostante vie di scorrimento monumentali, larghe anche sessanta metri: dalle Zigulì, retaggio sovietico, alle berline lusso ed extralusso tedesche e italiane non manca proprio nulla, passando persino per la stranezza dei taxi cab uguali a quelli di Londra, ma riadattati con la guida a sinistra. Baku cambia ogni ora che passa, e per via delle forti influenze turche e arabe, compresa la religione di stato che è islamica ma moderata, somiglierà più a Dubai che a una capitale europea, ma intanto cam- bia. E si apre al grande sport internazionale, anche se qui sono appassionati soprattutto di lotta libera (4 ori olimpici) e le uniche vere glorie mondiali, per così dire, sono stati Garri Kasparov, lo scacchista nato a Baku, e Tofiq Bahramov, il guardalinee che convalidò il gol di Hurst nella finale mondiale 1966.
La Formula 1 arriverà nel 2016, con un circuito cittadino che non è certo difficile disegnare sulla promenade che costeggia il Mar Caspio, a otto corsie per senso di marcia. Poi il calcio, ovviamente. La grande Champions da queste parti è un piacere di mezzanotte (+3 ore sull’Europa Centrale) ma da un anno e mezzo l’Azerbaigian sponsorizza l’Atletico Madrid, con la scritta Land of Fire, terra del fuoco, per 12 milioni all’anno. Il Socar, l’ente statale petrolifero che tutto gestisce, sarà tra le griffe di Euro 2016 in Francia, mentre Baku ha ottenuto dall’Uefa di ospitare quattro partite dell’itinerante Euro 2020 (compreso un quarto di finale) nel nuovissimo National Stadium da 68000 posti, che sarà terminato a febbraio. Per adattarlo ai Giochi Europei di giugno 2015 hanno chiamato, tra gli altri, uno di quegli italiani che vivono (bene) e lavorano (benissimo) all’estero: Angelo Spampinato, 36 anni, una moglie lituana e una bimba in arrivo, architetto che lasciò Catania a 18 anni e non è più tornato, ma intanto tra Roma e Londra ha lavorato al progetto dello Juventus Stadium, del nuovo stadio di Singapore e ha progettato il parco olimpico di Rio 2016: «Qui fanno sul serio. E mi sembra sia quasi tutto pronto per ospitarla davvero, un’Olimpiade».
L’Aquatic Centre è ancora a metà e brulica di operai, ma già ricorda moltissimo l’impianto di Londra 2012: sarà la prima piscina olimpica in Azerbaigian. La National Gymnastics Arena è pronta, 9000 spettatori e un colpo d’occhio che innamora. La Crystal Hall per gli sport di squadra al coperto, costruita in 8 mesi per l’Eurovision song contest nel 2012, è un arsenale da 17000 spettatori, grande come due campi di calcio, ha ospitato concerti di Rihanna e Jennifer Lopez anche se qui vorrebbero tanto Celentano, ma sanno già che non verrà mai: «Purtroppo Adriano ha paura dell’aereo». Sopra l’arena, svetta il secondo pennone più alto al mondo (162 metri) con una bandiera azera gigantesca, che fluttua solenne nel vento. Sposti l’occhio verso nord ed ecco troneggiare sulla città tre grattacieli gemelli di vetro, dalle forme sinuose che ricordano le fiamme. Flame Towers, si chiamano infatti. Sovrastano Baku, la ammoniscono, la guidano. Perché qui il fuoco è l’alfa e l’omega. Guai a dimenticarlo.