Rosario Sorrentino, Corriere della Sera 13/12/2014, 13 dicembre 2014
IN FUGA DALLA SCIENZA, VITTIME DEGLI SCIAMANI
Caro direttore, il nostro è un Paese con una lunga tradizione antiscientifica. Gli ingredienti sono vari e affondano le loro radici nell’integralismo cattolico, in quella filosofia ancora impregnata dal neoidealismo di Croce e Gentile e da un dogmatismo laico che mostra tutta la sua insofferenza nei confronti di una scienza che, ai vaniloqui di varia natura, esibisce ricerche e progressi su cui riflettere. Lo stesso termine «cultura» viene utilizzato spesso in senso restrittivo, quasi esclusivo, e c’è chi ancora oggi vagheggia una cultura «alta» di tipo umanistico da contrapporre a una cultura «minore» di tipo scientifico.
Gli scienziati poi vengono percepiti, con le loro scoperte, come persone che possono insidiare comode egemonie, privilegi o interessi consolidati. Sono guardati con sospetto e vengono confutati, nelle loro acquisizioni, spesso da persone di scarsa competenza e con modalità ideologiche, a volte pretestuose. I riflessi di tutto ciò rappresentano il vero «brodo di cultura» per quella che considero «l’onda lunga» di un sentimento antiscientifico ancora diffuso nella nostra società. Si percepisce, per esempio, un senso di fastidio nei confronti della scienza medica, oltre al tentativo di sminuire il rapporto tra medico e paziente, a favore del fiorire di una impressionante lista di pseudoscienze che nell’immaginario collettivo sono più rassicuranti e capaci di risolvere l’impossibile.
È evidente, di fronte a una diagnosi scomoda, la fuga dalla scienza ufficiale e l’approdo a discipline di varia natura, abili a trasformare una cosa in una non cosa, dai significati ambigui, che richiede «terapie» diverse, alternative. Ed è così che si afferma il «neosciamanesimo», e la ricerca mostra tutto il suo affanno e l’incolmabile ritardo. Siamo passati con disinvoltura, dal «metodo Di Bella» a «Stamina», alla più recente e pericolosa campagna mediatica contro la vaccinazione. Questo è paradossale, perché i vaccini rappresentano una delle più grandi conquiste della scienza che hanno contribuito a cambiare il destino dell’umanità e noi abbiamo il coraggio di metterli in discussione dimostrando il nostro autolesionismo e una scarsa propensione ad apprendere dall’esperienza, creando anche i presupposti per la fuga da un protocollo medico consolidato, basato sulla prevenzione, grazie al quale ogni anno si salvano migliaia di vite. La verità è che il nostro è un Paese che non ama la scienza e mostra, di fatto, una diffidenza di fondo pronta a scattare al minimo dubbio, espressione di una disinformazione diffusa e della mancanza di conoscenza dei fatti. Ed è l’assenza di cultura scientifica il nostro vero tallone d’Achille e purtroppo c’è la tendenza a ricordarsi della scienza solo nei momenti di disperazione o di emergenza, chiedendo ad essa risposte rapide e sicure. E questo dimenticando che spesso la scienza non dispone delle risorse necessarie per realizzare tutto ciò.
Penso che la scienza debba uscire una volta per tutte da una sorta di «sindrome di Cenerentola», ed esercitare, per il bene comune la sua leadership nel nostro Paese, affinché diventi, finalmente, cultura di massa e istituzione tra le istituzioni orientando così le scelte delle politiche sociali.