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 2014  dicembre 13 Sabato calendario

IL MINISTRO DELLA DIFESA PINOTTI ESCLUDE INTERVENTI INTERNAZIONALI «FINCHÉ LA SITUAZIONE È CONFUSA»

ROMA L’Italia «vuole essere protagonista nella soluzione della crisi libica». Ed è pronta a «fornire i suoi soldati a una forza di pace delle Nazioni Unite». Ma prima occorre far chiarezza negli equilibri interni. «In Libia non c’è un solo interlocutore e anche dal punto di vista della legittimità la situazione rimane confusa, dopo la decisione della Corte Suprema che ha messo in discussione il Parlamento di Tobruk. La riunione prevista col mediatore Bernardino Leon è stata rinviata, proprio per cercare di avere un minimo di accordo. Se ci fosse un interlocutore riconosciuto, allora si concretizzerebbe la possibilità per la comunità internazionale di intervenire».
Incontriamo il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, nel suo ufficio foderato di marmi e boiserie in Via XX Settembre. E’ il giorno dopo l’annuncio del Pentagono, che ha assegnato all’Italia la manutenzione e l’assistenza di tutti gli F35 che voleranno sul Continente, inclusi quelli americani stazionati da questa parte dell’Atlantico. Un risultato al quale Pinotti ha lavorato per mesi. Già sede prevista dell’assemblaggio delle ali di 800 esemplari del velivolo, lo stabilimento di Cameri, in Piemonte, diventa così l’hub europeo della sua piena efficienza operativa. «Vuol dire lavoro per i prossimi 30 anni almeno. Parliamo di 3 mesi di manutenzione ordinaria ogni 5 anni, più quella d’emergenza, per ogni aereo». Pinotti non azzarda numeri, ma le stime parlano di 10 mila posti di lavoro.
Torniamo alla Libia, signora ministro: perché abbiamo smesso di addestrare le forze locali?
«Siamo stati i primi e gli unici a farlo, a Cassino. Quando avevo parlato con al Thinni, il premier attuale, ci aveva chiesto di fare l’ addestramento in Libia. Io avevo dato la nostra disponibilità. Ma abbiamo smesso perché nessuno ci ha selezionato più i militari da formare. E’ la prova che tutto dipende da una normalizzazione sul campo. In ogni caso escludiamo l’invio di truppe, se non in forza di un mandato internazionale dell’Onu. Anche perché non mi sembra che il mandato possa venire dalla Nato:dopo l’intervento del 2011 non sarebbe accettato dalle fazioni».
Ma è vero che sulla Libia stiamo collaborando a livello di intelligence con Egitto ed Emirati Arabi?
«E’ vero che abbiamo con loro rapporti molto stretti, ma non solo con loro. Lo facciamo anche con il Qatar e la Turchia, o con l’Algeria, cioè con tutti gli attori regionali che in questi anni hanno avuto un ruolo in Libia anche da posizioni contrastanti. L’importante in questo momento è che tutti concordiamo sulla necessità di superare una fase che rischia di disgregare il Paese».
Perché rimaniamo fuori dalla partecipazione attiva alla coalizione anti-Isis in Iraq?
«L’azione aerea si sta diradando, anche per la difficoltà di individuare gli obiettivi. Noi attualmente contribuiamo alla ricognizione con due Predator e quattro Tornado. In ogni caso, per partecipare a operazioni di bombardamento, ci vorrebbe un voto del Parlamento. A oggi nessuno ce lo ha chiesto, mentre invece c’è una forte richiesta di fornire personale per la formazione. E abbiamo previsto l’invio di 200 istruttori più 80 persone di staff, per creare un centro nel Kurdistan, che probabilmente gestiremo con la Germania».
Signora ministro, parliamo della Nato. Al vertice di Cardiff c’è stata l’impressione di un’alleanza tutta concentrata sulla crisi ucraina, troppo sbilanciata a Est. E’ così?
«No. E’ vero che nei due vertici Nato precedenti, avevo percepito questo sbilanciamento. Ma a Cardiff la riflessione è stata più equilibrata. E com’è stato riconosciuto, anche grazie all’Italia, che aveva preso l’iniziativa di una riunione di quattro Paesi mediterranei prima del vertice gallese, proprio per mettere in agenda i problemi della sponda Sud. Non dimentichiamo che a Cardiff è nata la coalizione anti-Isis».
Come vive un ministro della Difesa il contrasto tra la pressione degli Usa ad aumentare le spese militari per far fronte alle crescenti minacce e il sentimento delle opinioni pubbliche, stremate dalla crisi, che chiedono di ridurre i bilanci militari?
«Da un lato bisogna evitare duplicazioni e sprechi, dall’altro bisogna parlare all’opinione pubblica della necessità della difesa e della sicurezza più di quanto non sia stato fatto finora. Soprattutto per noi e la Germania è un tema complicato e se n’è sempre discusso il meno possibile. E’ mancata una cultura della difesa. Io ho una strategia opposta, dobbiamo spiegare bene alla gente perché abbiamo bisogno di difenderci e quali sono i mezzi che lo Stato deve avere per garantire la propria integrità e sicurezza».
Il suo nome circola spesso come possibile candidata alla presidenza della Repubblica.
«Non ci ho mai pensato. Mi occupo di difesa da molti anni, se qualche anno fa mi avessero chiesto se mi sarebbe piaciuto fare il ministro della Difesa avrei detto di sì. Ma la presidenza della Repubblica è un orizzonte che non rientra nei miei pensieri».