Giulia D’Agnolo Vallan, il manifesto 13/12/2014, 13 dicembre 2014
DUE STRANI GIORNALISTI NEL PAESE DEL LEADER SUPREMO
Non c’è stato un attacco terrorista nordcoreano sul tappeto rosso della prima di The Interview, tenutasi giovedì sera a Los Angeles e, contrariamente a quanto annunciato, le star hanno persino scambiato qualche battuta con i giornalisti. Presenti anche gli executive della Sony che avevano passato la giornata a scusarsi delle mail che – come quelle delle Dipartimento di stato Usa wikileakate da Julian Assange – offrivano commenti poco diplomatici nei confronti di leader del loro settore, più un detour che arrivava fino alla Casa Bianca.
Non importa cosa diranno le recensioni e quali saranno i risultati al box-office (il film arriva in sala a Natale, in Italia il 22 gennaio): l’atmosfera che si è creata intorno all’uscita delle nuova commedia di Seth Rogen e Evan Goldberg, con James Franco, è ormai pura fantapolitica demenziale alla 1941 – Allarme a Hollywood (1979, il capolavoro di Milius/Spielberg in cui Hollywood aspettava l’invasione nipponica).
Un po’ di «meta» (come chiamano qui la qualità metalinguistica di un testo) non ci sta male: insieme dietro alla macchina da presa (come sceneggiatori) a partire da Suxbad-Tre menti contro il pelo, Rogen e Goldberg sono due esponenti di punta della commedia demenziale postapatowiana. Il loro è un universo di toni deliranti e livelli altissimi di autoreferenzialità, in frenetica dialettica con se stesso e il fragoroso cicaleccio multimediale che lo circonda.
Poroso che più di così non si può, The Interview sembra disegnato apposta per finire nel cuore di una rapture che frulla il cinema, le news, l’intrigo hacker-Hollywood, Washington e Pyongyang. Dopo aver biblicamente condannato Los Angeles (e quindi la sua industria del cinema) a una vertiginosa fine del mondo in Facciamola finita, Goldberg e Rogen, con l’aiuto di James Franco più stilizzato che mai, si buttano sulle orme di Bob Hope e Bing Crosby, di John Landis di Spie come noi, del duo comico di South Park, Trey Parker e Matt Stone, di VICE e di Dennis Rodman. Destinazione la Corea del Nord. E se Facciamola finita metteva a nudo gli spocchiosi, superficiali, attori di commedia inghiottiti dall’apocalisse, The Interview è dedicato al produttore e al conduttore di un talk show sensazionalistico.
Non importa quanto serie siano le loro intenzioni, Aaron Rapaport (Rogen) e Dave Skylark (Franco) sono condannati a una vita professionale dove per «esclusiva» si intende rivelare che Rob Lowe indossa da sempre una parrucca e lo scoop dell’anno è la capra che ha un rapporto sessuale con Matthew McConaughey. Quando Eminem, durante un’intervista live, rivela con espressione impassibile di essere sempre stato gay, Skylark respira aria di Pulitzer.
Lo sfoggio entusiastico e zelante di tanta depravata decadenza che caratterizza il rituale dello show (insieme ai maglioncini fantasia molto attillati e alle giacche sgargianti del suo conduttore) attira l’attenzione di Kim Jung-un che decide di concedere un’intervista esclusiva a Skylark.
Precedente reale di questa trovata comica è la primavera del 2013, quando una troupe di VICE News entrò nella Corea del nord a seguito di Dennis Rodman per una missione di «pallacanestro diplomatica» al cospetto del Supremo leader.
Come Rodman al suo ritorno venne grigliato dalla Cia, anche in The Interview l’agenzia spionistica Usa non si lascia scappare l’occasione di questo inaspettato accesso a Pyongyang. Comandati da Lizzy Kaplan (geniale infermiera di Masters of Sex), gli agenti Cia ordinano a Skylark e Rapaport di assassinare Kim Jung-un, con l’aiuto di un potentissimo veleno nascosto in un cerotto a doppia adesione.
Trattandosi di due mercati fondamentali per Hollywood, la Russia e la Cina sono ufficialmente «fuori gioco» per i ruoli di super potenze nefaste governate da pazzi autoritari. Nessuno sa quanti biglietti Hollywood venda nella Corea del Nord (anche se il padre di Kim Jong-un passava per un avido cinefilo) ma probabilmente non sono molti. E così la Corea diventa il cattivo a cui ricorrere. Nel fortunatissimo Attacco al potere-Olympus Has Fallen (2013) di Antoine Fuqua, un commando nordcoreano prendeva ostaggio la Casa bianca con un blitz di nove minuti. Era piaciuto meno a Pyongyang (ma anche a Hollywood) Team America: World Police, la commedia demenzial/libertaria di Trey Parker e Matt Stone in cui Kim Jong Il era un nano sadico interpretato da una marionetta.
Volgare, giovanilistico, a tratti molto divertente, quasi sempre tagliato e pensato un po’ troppo con l’accetta, The Interview ricorda spesso il film animato degli autori di South Park. Il tour coreano dei due giornalisti include angelici bambini con la faccia dipinta che suonano chitarre più grosse di loro, la tipica, donna militare tutta curve, battute su penetrazioni di ogni tipo e un supremo leader vile e psicotico che però è anche un «magistrale manipolatore di media». Suo vero antagonista, non i telereporter pasticcioni ma l’altro cattivo da barzelletta del momento, e cioè la Cia, il cui rapporto sulla tortura rilasciato qualche giorno fa fornisce a The Interview un inaspettato livello extra di meta delirio. Anche con la Cia, come con la Corea del Nord, quando si tratta di «cattivi» non si sbaglia mai. Invenzioni come «la nutrizione rettale» sembrano scaturire dalle menti che hanno concepito The Interview. E invece….