Maria Silvia Sacchi, Corriere Economia 15/12/2014, 15 dicembre 2014
GUCCI. BIZZARRI, MI MANDA PINAULT
E adesso l’uomo forte di Kering, subito dopo François-Henri Pinault, l’azionista e amministratore delegato del gruppo francese, è Marco Bizzarri, il manager emiliano di 52 anni per il quale, con la nomina ad amministratore delegato di Gucci al posto di Patrizio di Marco ufficializzata venerdì, si apre una fase decisamente impegnativa.
Una sfida difficile. Perché Bizzarri non solo deve riportare l’ammiraglia del gruppo parigino agli antichi splendori, soprattutto ricollocandola sul podio dello stile mondiale che ha perso negli ultimi anni. Ma si trova a farlo in una fase di mercato estremamente difficile (articolo a pagina 10).
Uomo di gruppo, dal carattere più mediatore rispetto a Patrizio di Marco, Bizzarri era partito dalla consulenza per poi passare all’operatività, con marchi come Mandarina Duck, dov’era stato al fianco dei fondatori per un decennio, per poi entrare nel vero e proprio lusso con Stella McCartney, Bottega Veneta e infine, adesso, Gucci.
Che Pinault intendesse puntare su di lui era stato evidente lo scorso aprile quando Bizzarri era stato scelto come capo della nuova divisione Luxury - Couture & Leather Goods, sotto la quale Kering ha riunito tutti i marchi del lusso che ha in portafoglio. Tutti, escluso Gucci. Che è rimasto a parte, mentre diventavano sempre più forti le voci di un allontamento di Di Marco e di Frida Giannini. Rumor sempre smentiti, fino all’annuncio della rivoluzione al vertice di venerdì.
«Brand»
In una intervista a Corriere Economia dello scorso giugno, mentre si apprestava a prendere le redini della divisione Luxury, il manager aveva tratteggiato quelle che sono le proprie linee di pensiero. Ripercorrendo il successo di Bottega Veneta, il brand di Kering ad alto tasso di crescita (+12% anche nei primi nove mesi del 2014, mentre Gucci arretrava del 3,5%, ma va detto che Bottega si colloca sul miliardo di euro di ricavi annui e Gucci supera i 3,5) che lo ha messo definitivamente in luce, Bizzarri ricordava che «la chiave vincente è stata prendere Tomas Maier alla direzione creativa. Incarnava i valori della marca: il prodotto unico, il no logo anche se in quel momento il mercato andava in una direzione diversa. La grande forza è stata credere in quella visione e tener duro».
Va detto che a scegliere Maier per Bottega era stato Tom Ford, il designer che aveva riportato allo splendore Gucci affiancato dal manager Domenico De Sole. Poi il gruppo era passato sotto Kering (che allora si chiamava Ppr) e il duo Dom&Tom, com’erano soprannominati, prese altre strade.
«Che si sia multi-brand o mono-brand — spiegava Bizzarri — per avere successo è necessario seguire i valori della propria marca senza compromessi. Allora anche la dimensione diventa meno importante. Invece, se si cerca di prendere tutti i consumatori si perde di coerenza, perdendo così la chiave di successo del marchio». E, ancora, spiegando che «la bellezza dei poli multi-marchio è la possibilità di avere marchi con posizionamenti diversi e di capire quando un brand deve ridurre la sua corsa facendo una diversa allocazione degli investimenti, si può bilanciare la marginalità delle diverse società in virtù dell’esclusività. Ci sono livelli che a volte non devono essere superati, altrimenti i marchi cadono, abbiamo molti esempi davanti...»
Già allora era sembrato un richiamo a Gucci.
Profitti
Ed è proprio quando Pinault e Bizzarri sceglieranno il successore di Frida Giannini che si capirà che direzione prenderà Gucci. Che, va ricordato, è l’azienda che frutta la stragrande maggioranza degli utili del gruppo Kering, oltre il 60%. Tra i nomi girati nei giorni, e anche nei mesi scorsi, c’è quello molto gettonato di Riccardo Tisci, oggi in Givency; di Hedi Slimane, attuale direttore creativo di Yves Saint Laurent, brand della stessa scuderia Kering; di Marc Jacob, fino allo scorso anno direttore creativo di Louis Vuitton (gruppo Lvmh, che anche possiede il marchio dello stilista); per finire con il nome di Maria Grazia Chiuri , la designer che con PierPaolo Piccoli ha riportato al successo il marchio Valentino.
Intanto, Bizzarri si è costruito la sua squadra. Alla guida operativa di Bottega Veneta, nel posto che era stato suo per cinque anni, ha voluto un manager da lui conosciuto come Carlo Alberto Beretta, chiamato da Zegna dove era capo della pianificazione retail.
E in Brioni, il brand di abbigliamento maschile, ha scelto Gianluca Flore, che per sei anni aveva lavorato in Bottega Veneta.
Sui manager ha idee chiare. «Penso — ha detto — che dopo cinque-sei anni, che sono il tempo giusto per vedere i risultati del proprio operato, un presidente, un amministratore delegato o un direttore generale devono andarsene. Diverso è il direttore creativo che ha i codici stilistici in mano; ma un Ceo dà il massimo nei primi tre anni, poi subentra un certo autocompiacimento. È umano, ma per un’azienda è meglio che arrivino occhi nuovi».
Adesso su Gucci ci saranno i suoi. Insieme a quelli di François-Henri Pinault. Una centralizzazione che a molti ricorda quella dei tempi di Dom&Tom.