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 2014  dicembre 13 Sabato calendario

“PER UN NERO È TUTTO PIÙ DIFFICILE CON LA SAMP MI RIPRENDO IL FUTURO”

[Intervista a Stefano Okaka] –
Genova.
Chi è Stefano Okaka? L’uomo nuovo del nostro calcio arriva dall’Umbria, ha papà e mamma nigeriani, era un fenomeno da adolescente (il più giovane italiano nelle coppe, esordio il 29 settembre 2005 con la Roma in Uefa a 16 anni e 1 mese) ma solo un decennio più tardi si sta prendendo il destino: la Nazionale, i complimenti (che stagione la Samp), le attenzioni di Milan e Inter.
Okaka, tocca a lei: sfidate la Juve, il campionato vi guarda. La Roma si aspetta un favore...
«Grande partita, grandissimo avversario. E che carica giocare allo Stadium, dove loro vincono da tantissimo tempo. Il favore però spero di farlo a me stesso».
Samp a -1 dalla Champions: il segreto?
«La fame: vogliamo stupire, non ci accontentiamo».
Sembra di ascoltare Mihajlovic.
«È un tecnico di carattere, ha grande energia e la trasmette: credo che in campo si veda».
Dopo i primi 45’ a Verona era imbestialito: ci racconta quei minuti terribili nello spogliatoio?
«Terribili? Mica tanto, era arrabbiato ma non è che abbia detto cose particolari».
Non vorremmo essere stati nei suoi panni il giorno dopo lo scherzo telefonico in cui annunciava al tecnico che avrebbe saltato un allenamento... Come è finita?
«Ci siamo fatti una risata».
Un omaggio al suo presidente, Ferrero: se la Samp fosse un film?
«Fuga per la vittoria».
Le piacerebbe giocare nella Juve?
«Sto bene alla Samp».
E ha scritto una lettera ai tifosi.
«Per chiarire che resto qui al cento per cento».
Perché solo ora si vede il vero Okaka?
«Mica sono vecchio... Se cominci a 14 anni non vuol dire che devi diventare campione del mondo a 16. Ho fatto un percorso normale, ho la carriera davanti».
È più difficile crescere come promessa del calcio o figlio di immigrati nella provincia umbra?
«Giocare comporta stress costante, ma è dura anche crescere in un contesto dove tante persone ti fanno pesare che sei diverso, penso a Cittadella, poi però riesci a integrarti. Nascere in Italia mi ha aiutato».
«Se fossi bianco sarei più considerato»: parole sue.
«Dicevo in generale: essere di colore, essere straniero e crescere in un altro Paese comporta che devi rimboccarti le maniche dieci volte tanto. La sera tardi io e mia sorella eravamo orgogliosi di aiutare mia madre che faceva la bidella e puliva piscine o scuole, i miei non ci hanno mai fatto mancare nulla».
C’è più razzismo nel calcio o fuori?
«Fuori».
Si sente il nuovo Balotelli?
«Me lo chiede perché sono nero?».
No, perché potrebbe sostituirlo in Nazionale.
«Non sono il nuovo Balotelli, sono Stefano Okaka. Siamo amici, a Mario auguro tutto il bene ma ciascuno fa il suo percorso. La Nazionale è il massimo, segnare con quella maglia è il sogno di tutti e io l’ho realizzato. Ho chiuso il cerchio ma sono sicuro che è solo l’inizio di tante altre esperienze».
Conte è un po’ come Mihajlovic?
«Parla con tutti, mi ha dato tanti consigli».
Nigeria o Italia: mai avuto dubbi?
«Nonostante le mie origini, con la Nigeria mi sarei sentito un po’ straniero. Ho detto no: non conosco la loro cultura, la lingua, nulla di quel Paese».
Neanche la lingua le hanno insegnato papà Austin e mamma Doris?
«No ma il rimpianto è l’inglese... L’avessero usato di più, io e i miei fratelli lo parleremmo meglio».
Perché sua sorella gemella, pallavolista ex azzurra ora in B1, si chiama come lei?
«Ha scelto il fratello maggiore, Carlo: Stefano e Stefania, non molto creativo...».
Ha amici nella Juve?
«Nessuno. Ho conosciuto Bonucci in azzurro».
Nel calcio?
«Ho più nemici, tantissimi. L’amico è Cassano. Ha fatto di tutto per farmi rientrare quando a Parma nessuno mi considerava, il momento più brutto della mia vita».
Perché non giocava?
«Non so: è un problema di Donadoni o chi per lui. Io mi sono sempre allenato».
I suoi idoli?
«Ronaldo, il brasiliano. Fuori dal calcio Kobe Bryant e LeBron James».
Che ha indossato una maglia («I can’t breathe», «non riesco a respirare») per protestare dopo la morte di un afroamericano soffocato da un poliziotto - assolto - negli Usa: lo farebbe anche lei?
«Visto? Certe cose accadono ovunque, anche in un Paese avanti anni luce ed è bello che atleti di livello mondiale abbiano questo senso di responsabilità. Lo farei anche io, certo».
Jacopo D’Orsi, La Stampa 13/12/2014