Anna Messia, MilanoFinanza 13/12/2014, 13 dicembre 2014
LA NOSTRA AFRICA
Nel 2000 venne definito dall’Economist il Continente senza speranza, in un servizio dominato da immagini di guerra e carestia. Proprio da allora l’Africa sub sahariana ha cominciato a registrare tassi di crescita inattesi, con un aumento medio del prodotto interno lordo del 5% annuo e da hopless continent non solo si è trasformata in un continente piene di speranze e ma anche di opportunità economica, anche per le aziende italiane. Certo i Paesi del Nordafrica, ripresi dallo scossone della primavera araba (tranne la Libia che sembra ancora in difficoltà), continuano a rappresentare la fetta più importante dell’export dell’Italia verso il continente africano. Nel 2013 dieci Paesi, rispetto ai 54 totali che compongono l’Africa, sono riusciti a intercettare il 90% delle esportazioni dell’Italia verso il continente, pari complessivamente a 20,4 miliardi di euro, e in cima a questa lista ci sono proprio l’Algeria, la Tunisia, la Libia, l’Egitto, seguite dal Sudafrica.
Sia per ragioni storiche sia per vicinanza geografica, è evidentemente più semplice, per gli italiani, fare affari con i Paesi dell’area mediterranea e tra i preferiti c’è ancora la prima della classe, quell’Algeria che continua a registrare tassi di crescita interessanti e che è rimasta relativamente isolata dall’ondata rivoluzione della Primavera araba del 2011, grazie a un governo presidenziale, guidato da Abdelaziz Bouteflika, che è riuscito a utilizzare la spesa pubblica per ridurre malessere e disagio sociale. «Finora il business prevalente con l’Italia è stata l’esportazione del petrolio grezzo per poi reimportarlo raffinato», dice Alessandro Terzulli, capo economista di Sace, l’assicurazione del credito controllata da Cdp, «ma questa attività sta scemando a vantaggio delle esportazioni nel settore della meccanica strumentale, dai grandi macchinari per lavorare il petrolio a quelli per lavorare il legno o per esempio i metalli». Gli italiani nel settore dei macchinari, del resto, sono particolarmente apprezzati per la qualità dei prodotti come anche per il servizio post vendita. Oltre alle esportazioni dell’Italia, l’interesse verso l’Algeria arriva anche da commesse ricevute nel Paese. Proprio la Sace nei mesi scorsi ha garantito parte di un finanziamento di 160 milioni a sostegno di un’importante commessa assegnata alla Rizzani de Eccher dalla società pubblica algerina Ana (Agence Nationale des Autoroutes) per l’esecuzione dei lavori di costruzione dell’autostrada di DjenDjen da parte di un consorzio partecipato al 48% dall’azienda friulana. Opera che servirà ad agevolare la comunicazione tra la costa mediterranea e l’interno del Paese. Non solo. L’azienda di Udine si è aggiudicata anche la progettazione, costruzione e gestione, in partnership con l’Ospedale San Raffaele per gli aspetti scientifici-sanitari, di un complesso da oltre 700 posti letto. La joint venture ha vinto in particolare la più importante commessa tra le quattro bandite dal ministero della Salute algerino per la costruzione e la gestione di grandi policlinici universitari. E sempre Rizzani de Eccher si è aggiudica la realizzazione del primo tronco della ferrovia Oued Tlelat-Tlemcen, mentre Sace recentemente ha garantito altri 50 milioni a sostengo dei lavori assegnati ad Astaldi per la realizzazione della linea ferroviaria. Insomma, le occasioni di business verso il Paese non mancano e anche la situazione politica appare stabile, anche se «ci si comincia a interrogare sulla successione a Bouteflika», non nasconde Terzulli.
Tra i Paesi del Nordafrica particolarmente interessanti spunta poi il Marocco che sta diventando attrattivo per gli investimenti nel settore tessile. «E non si tratta solo di delocalizzazione della produzione», sottolinea in capo economista della Sace, «ma anche della possibilità di presidiare da quel Paese l’intero mercato del Nordafrica».
La vera scommessa, come detto, è però l’Africa sub sahariana. L’Italia in queste aree sconta l’assenza di legami storici e culturali consolidati, di cui beneficiano per esempio Portogallo e Brasile, principali partner economici di Angola e Mozambico, e l’elevata competitività di colossi asiatici come Cina, India o Corea del Sud che si stanno affermando come i nuovi protagonisti di tutto il Continente. Non c’è tempo da perdere, quindi, e il governo italiano sembra averlo capito con una missione di sistema, a luglio scorso, quando il premier Renzi (vedere anche articolo a pagina 20) ha incontrato a Luanda, in Angola, il presidente José Manuel Dos Santos con l’obiettivo di rafforzare il dialogo politico e la cooperazione economica. Un tour che ha coinvolto anche Mozambico e Congo. Proprio allo scopo di sostenere la penetrazione delle aziende italiane in mercati «di frontiera», più rischiosi ma indubbiamente ad alto potenziale Sace ha dato vita al programma Frontier Markets. Un’iniziativa che mette a disposizione delle imprese italiane non solo la consulenza e i prodotti assicurativi finanziari del gruppo, ma anche l’assistenza degli uffici della rete internazionale della compagnia che ha aperto una sede a Johannesburg e ha anche un desk presso la sede di Nairobi dell’African Trade Insurance, in pratica la Sace africana, di cui la società guidata da Alessandro Castellano è anche azionista. In ballo non ci sono solo colossi come Eni, ma anche le piccole e medie imprese, ovvero il tessuto produttivo dell’Italia. In Angola, per esempio, Sace ha di recente garantito un finanziamento da 164 milioni a favore del ministero delle Finanze locale per il completamento dei lavori di costruzione dell’ultimo tratto dell’autostrada tra Luanda e Soyo, affidati alla Cmc di Ravenna. Ma a scoprire la nuova Africa sono anche le microimprese: come la Cab di Arezzo, che si occupa di prodotti e tecnologie per le pavimentazioni stradali e che in Ghana ha deciso di sfidare la concorrenza di imprese provenienti da Germania, Stati Uniti e Francia, scegliendo la formula della joint venture locale.
Anna Messia, MilanoFinanza 13/12/2014