Marcello Bussi, MilanoFinanza 13/12/2014, 13 dicembre 2014
SE ATENE BRUCIA
«Penso che i greci, che hanno una vita molto difficile, sappiano molto bene che cosa significherebbe per la Grecia e per Eurolandia un risultato elettorale sbagliato». Parola del presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, che ormai ci ha preso gusto a lanciare la sua minaccia quotidiana. Il risultato «sbagliato» è una vittoria alle elezioni politiche di Syriza, il partito dell’opposizione di sinistra guidato da Alexis Tsipras, che vuole dire basta alle politiche di austerità e negoziare la cancellazione di gran parte del debito pubblico ellenico. Elezioni che dovrebbero tenersi il 25 gennaio o il 1° febbraio, ma potrebbero essere evitate se il 29 dicembre il candidato della coalizione di governo Stavros Dimas, ex commissario Ue all’Ambiente, otterrà i 180 voti necessari per essere eletto presidente della Repubblica. Per riuscirci, dovrebbe conquistare il voto di 25 parlamentari dell’opposizione, impresa quanto mai ostica. Con le prime due votazioni del 17 e del 22, che però richiedono una maggioranza dei due terzi, si capirà se Dimas ha delle possibilità. Al momento sembrano davvero ridotte al lumicino.
Intanto, da quando nella serata di lunedì 8 il premier Antonis Samaras ha deciso di anticipare di un paio di mesi l’elezione del presidente della Repubblica, la borsa di Atene ha perso il 20,3%, trascinando con sé anche le altre piazze europee (Milano ha lasciato sul terreno il 6,8%), mentre sul mercato obbligazionario si è verificata l’inversione della curva dei rendimenti, fenomeno che segnala un imminente pericolo di default: venerdì 12 il rendimento del titolo di Stato triennale (11,127%) era infatti più alto di quello del decennale (9,147%). Samaras lo ha fatto notare, sottolineando che i mercati temono la vittoria di Syriza, che ha a sua volta attaccato il premier dicendo che «non esita a chiedere in ginocchio ai mercati di attaccare il Paese». Ma perché Syriza fa così tanta paura? Il partito di Tsipras non vuole l’uscita della Grecia dall’euro e il ritorno alla dracma, ma chiede la fine delle politiche di austerità imposte dalla Troika, che dopo quattro anni di cura e prestiti per 240 miliardi di euro hanno portato la disoccupazione al 26%, lasciando però il Paese sull’orlo della bancarotta. E se è vero che nel terzo trimestre l’economia è cresciuto dello 0,7%, è altrettanto vero che in sette anni di recessione il pil è crollato del 25,9%. Soprattutto, Syriza vuole indire una Conferenza Europea con l’obiettivo di cancellare il 62% del debito pubblico greco, che ormai ha raggiunto il 177% del pil. Punto, quest’ultimo, che potrebbe lasciare a bocca aperta, ma in realtà è lo stesso trattamento riservato al debito pubblico della Germania nel 1952 (senza questo condono il miracolo tedesco non si sarebbe mai realizzato). Ma chi pagherebbe il conto? Dei 330 miliardi di euro complessivi del debito greco il 60% è nelle mani dell’Ue attraverso i suoi fondi Efsf e Esm, il 12% dell’Fmi, l’8% della Bce, mentre il restante 20% è in mano ai privati, che però Syriza non vuole coinvolgere nell’operazione. Quindi, se venisse accettata la proposta di Tsipras per evitare l’uscita di Atene dall’euro, a perderci sarebbero soprattutto l’Ue, attraverso l’Esm (il fondo salva-Stati) e i suoi Stati membri: in percentuale maggiore la Germania, che detiene una quota del 27% dell’Esm, seguita dalla Francia con il 20%, dall’Italia con poco meno del 18% e dalla Spagna con l’11,9%. Gira e rigira, il principale ufficiale pagatore è sempre la Germania. Difficile che la cancelliera tedesca Angela Merkel accetti una soluzione del genere, che scatenerebbe gli strali di Alternative fur Deutschland (Afd), il partito anti euro di cui teme la concorrenza. Da notare che pochi giorni prima delle elezioni in Grecia si terrà l’attesissimo Consiglio direttivo della Bce del 22 gennaio, che dovrebbe dare il via al Qe, ovvero all’acquisto di titoli di Stato. Qualcuno comincia già a pensare che il Qe potrebbe essere una barriera sufficientemente forte per impedire il contagio agli altri Paesi in caso di uscita della Grecia dall’euro. Improbabile, però, che questo ragionamento faccia breccia nel cuore del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. Ma la prospettiva di elezioni greche senza la rete di protezione del Qe è di quelle che fanno tremare i polsi.
Marcello Bussi, MilanoFinanza 13/12/2014