Marco Valsania, Il Sole 24 Ore 13/12/2014, 13 dicembre 2014
IL CROLLO DEL PETROLIO SPAVENTA LE BORSE
NEW YORK
Finché la caduta dei prezzi del petrolio era giustificata soprattutto da impennate della produzione con l’America protagonista, le preoccupazioni dei mercati potevano essere esorcizzate e i vantaggi dell’energia a basso costo invocati. Ma quando sulla scena fanno ingresso nuove e brusche frenate della domanda, previste dall’Agenzia Internazionale per l’Energia, a dominare è la paura per la salute di un’espansione globale tuttora fragile. Ieri è stato questo doppio colpo - un taglio di oltre un quinto nella domanda sommato alla forte produzione - a mettere al tappeto le quotazioni del greggio, dal Mare del Nord al Texas: l’oro nero americano - il West Texas Intermediate per consegna a gennaio - ha ceduto il 3,8% a 57,6 dollari al barile, il minimo nel durante almeno dal maggio 2009. Il Brent, benchmark internazionale, è a sua volta scivolato del 3% a 61,8 dollari all’Ice Futures Europe. Per entrambi la ritirata settimanale è stata di oltre il 10 per cento.
La caduta libera dei prezzi a livelli che ricordano la grande recessione ha scosso i nervi delle piazze finanziarie, dalle borse alle valute. Wall Street - nonostante l’impatto di cali nell’energia aiuti nell’immediato la crescita di un Paese in espansione - ha sofferto la prima settimana negativa in due mesi. Piazza Affari ha guidato i ribassi in Europa, cedendo il 3,13 per cento. I timori di crisi e deflazione, alimentando la fuga dal rischio, hanno contemporaneamente gonfiato i beni rifugio, compresi i debiti sovrani europei.
L’Aie ha tagliato le previsioni di domanda per il 2015 sotto il milione di barili al giorno, ultima di cinque revisioni al ribasso in soli sei mesi. La stima è oggi ferma a 900.000 barili, 230.000 in meno di quanto ipotizzato. Non solo: l’Agenzia con sede a Parigi ha lanciato un allarme sui potenziali effetti positivi a livello mondiale di un petrolio a basso costo. «A volte è descritto come uno sgravio delle imposte e un vantaggio per l’economia, ma questa volta l’effetto di stimolo potrebbe essere modesto», ha avvertito. La ragione? Il clima di debole crescita globale, bassa inflazione e efficienza nei consumi di greggio. Una diagnosi confermata da economisti privati che vedono per gli stessi Stati Uniti un contributo ridotto fin di due terzi dal greggio a basso costo rispetto al passato. Mentre la preoccupazione per i sintomi di rovesci economici in agguato è stata accentuata da dati deludenti in arrivo ieri dalla seconda potenza mondiale per utilizzo di greggio: la produzione industriale in Cina è aumentata del 7,2% in novembre, meno delle attese.
Da giugno le quotazioni del greggio sono ormai crollate del 40%, una spirale ribassista scatenata, oltre che dalla modestia d’una domanda che adesso volge al peggio, dal successo al di là delle previsioni del boom della produzione domestica negli Stati Uniti. Un’esplosione dell’estrazione, a 9,12 milioni di barili al giorno la più alta dal 1983, grazie alla rivoluzione tecnologica dello shale oil, il petrolio di scisto estratto con fratturazione idraulica da formazioni rocciose in precedenza poco redditizie. Oggi i pozzi di miglior qualità, nel South Texas, sarebbero in attivo con prezzi scesi fino a 30 dollari, anche se altrove richiedono 50-60 dollari.
L’attuale terremoto lascia prevedere che il greggio possa presto mettere alla prova proprio la soglia dei 50 dollari. Un declino che minaccia di stringere sempre più d’assedio paesi produttori in difficoltà, dal Venezuela alla Russia, come l’intera Opec. Ma un circolo vizioso che veda protagoniste battute d’arresto della domanda può sollevare lo spettro di contagi più ampi. Anche per l’Europa e per gli Stati Uniti, che ieri hanno registrato un calo dello 0,2% nei prezzi alla produzione di novembre, e dove finora l’effetto è stato positivo seppur con danni a produzione e conti delle società del settore. Numerosi analisti hanno corretto di recente al rialzo le attese di crescita, affermando che i bassi costi energetici porteranno in dote mezzo punto percentuale per i consumi, oltre due terzi dell’economia, e genereranno una spinta equivalente a riduzioni delle imposte per cento miliardi. La maggior tendenza alla spesa - per il momento - è affiorata nella stagione dei consumi di fine anno, con le vendite al dettaglio lievitate dello 0,7% in novembre, l’incremento maggiore in otto mesi. Gli sconquassi provocati dal petrolio, però, non sono finiti.
Marco Valsania, Il Sole 24 Ore 13/12/2014