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 2014  dicembre 13 Sabato calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL TAX DAY


http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2014/12/13/cgia-con-il-tax-day-del-16-dicembre-il-fisco-incassera-44-miliardi-_467ed620-f6d0-4908-9b5f-7dde9bbd07a9.html

Entro martedì prossimo, 16 dicembre, gli italiani sono chiamati a versare al fisco ben 44 miliardi di euro. Lo indica, in vista del tax day di fine anno, l’ufficio studi della Cgia che ha stimato il gettito che ciascuna scadenza assicurerà al fisco o ai Comuni italiani. Il versamento dell’Iva garantirà l’importo più cospicuo, pari a 16 miliardi di euro; dalle ritenute Irpef dei lavoratori dipendenti l’Erario incasserà altri 12 miliardi, mentre l’ultima rata dell’Imu, che in grandissima parte affluirà nelle casse dei sindaci, costerà agli italiani ben 10,6 miliardi di euro. La Tasi, che in questa speciale graduatoria è presente per la prima volta solo da quest’anno, consentirà ai Comuni di incassare 2,3 miliardi. Dalla Tari, vale a dire il nuovo tributo sull’asporto rifiuti, l’ultima rata di quest’anno assicurerà un gettito di quasi 1,9 miliardi, mentre dal versamento dell’Irpef dei lavoratori autonomi arriverà 1 miliardo.

Infine, dall’imposta sostitutiva sulla rivalutazione del Tfr e dalle ritenute sui bonifici per le detrazioni Irpef, l’Erario incasserà rispettivamente 231 e 72 milioni di euro. "Il 16 dicembre - segnala il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi - è tradizionalmente una scadenza fiscale da far tremare i polsi: una pioggia di scadenze che potrebbe mettere in seria difficoltà molte famiglie e altrettante piccole imprese a causa della cronica mancanza di liquidità. E con il perdurare della crisi, questo impegno economico rischia di diventare per molti imprenditori un vero e proprio stress test".

Oltre a ciò, la Cgia ricorda che nel 2014 la pressione fiscale in Italia è prevista al 43,3%. Un livello tra i più elevati d’Europa. "Ma la pressione fiscale reale - conclude Bortolussi - vale a dire quella che grava sui contribuenti onesti, che si misura togliendo dal Pil nominale il ’peso’ dell’economia non osservata, si colloca appena sotto il 50% attestandosi, secondo una nostra stima, al 49,5%: oltre 6 punti percentuali in più del dato ufficiale".

La Cgia è giunta a questo risultato ricordando che il nostro Pil nazionale, include anche la cifra imputabile all’economia sommersa prodotta dalle attività irregolari che, non essendo conosciute al fisco, non pagano né tasse né contributi. Secondo l’Istat, l’economia non osservata - che ora include anche il valore aggiunto "prodotto" dal contrabbando di sigarette, dalla prostituzione e dal traffico di stupefacenti - si aggira attorno ai 200 miliardi di euro all’anno.

la pressione fiscale ufficiale è data dal rapporto tra le entrate fiscali/contributive ed il Pil prodotto in un anno,

«Tuttavia - prosegue la Cgia - se si ’storna’ dalla ricchezza prodotta la quota addebitabile al sommerso economico e alle attività illegali che non producono nessun gettito per l’Erario, il Pil diminuisce (quindi si »contrae« il denominatore) e, pertanto, aumenta il risultato che emerge dal rapporto. Quindi, la pressione fiscale ’realè che grava su coloro che pagano correttamente le tasse è molto superiore a quella ufficiale che viene calcolata dall’Istat che, è bene sottolinearlo, rispetta fedelmente le disposizioni metodologiche previste dall’Eurostat».

http://www.wired.it/economia/finanza/2014/12/11/arriva-tax-day-tutto-quel-ce-sapere-imu-tasi/
Ecco che si avvicina un nuovo, temibile Tax Day. Il 16 dicembre scade il termine entro il quale bisogna pagare il saldo dell’Imu (l’Imposta municipale unica sugli immobili) e della Tasi (la Tassa per i servizi indivisibili). Ma come funzionano le due imposte, e soprattutto come si pagano?

La Tasi è la Tassa sui servizi indivisibili, l’imposta comunale istituita dalla legge di Stabilità che rappresenta il vero dilemma del 16 ottobre. Si stima che coinvolgerà 15 milioni di italiani, tra proprietari e inquilini. E sta mandando in crisi molti contribuenti, alle prese con aliquote e calcoli estremamente complessi.

La Tasi si applica a tutti gli immobili situati sul territorio nazionale, incluse le prime e seconde case, gli uffici, i negozi, i capannoni, le pertinenze, e con l’unica eccezione dei terreni agricoli. Deve essere pagata da proprietari e inquilini, in diversa misura.

La scadenza non è arbitraria, ma dipende dalle tempistiche con cui i Comuni hanno deliberato le aliquote applicate agli immobili sul territorio di riferimento. Ci sono anche dei Comuni, circa 600, che non hanno emesso per tempo la delibera, costringendo i cittadini a pagare la tassa in un’unica soluzione entro il 16 di dicembre: in tal caso si applicherà l’aliquota di base dell’1 per mille. L’elenco delle delibere dei Comuni, con relative date e scadenze, è consultabile al sito del ministero delle Finanze.

Uno dei problemi principali della Tasi sta nel fatto che ciascun contribuente deve calcolarla per conto proprio: non saranno le amministrazioni locali a comunicare l’importo dovuto. E il procedimento per arrivare al totale è abbastanza complesso. La metodologia è questa: la rendita catastale dell’immobile deve essere rivalutata del 5% e moltiplicata per un coefficiente pari a 160 per case e abitazioni, a 80 per gli uffici, a 55 per i negozi, a 65 per gli immobili strutturali. Il risultato va quindi moltiplicato per le aliquote stabilite dai singoli Comuni italiani; al totale vanno sottratte eventuali detrazioni. Gli inquilini dovranno pagare una quota della Tasi compresa tra il 10 e il 30%, come stabilito dalle amministrazioni comunali. Insomma, forse per andare sul sicuro è meglio rivolgersi a un Caf (Centro di Assistenza Fiscale).

Per quanto riguarda l’Imu, il punto di partenza è la rendita catastale dell’immobile. Il dato può essere reperito dal rogito catastale o dalla dichiarazione dei redditi, e indica in pratica quanto renderebbe teoricamente l’immobile se fosse dato in affitto. Il valore va poi rivalutato del 5% e moltiplicato per un coefficiente fisso pari a 160(aumentato del 60% rispetto al coefficiente della vecchia Ici). Supponiamo ad esempio che la rendita catastale di un immobile sia pari a 1.000 euro. La rivalutazione è quindi di 1.000 euro più il 5% di 1.000 euro (vale a dire, 50 euro): fanno 1.050 euro in tutto. Moltiplicando per 160, il risultato finale è pari a 168mila euro.

Niente panico, ovviamente non è questo il valore dell’Imu. C’è un passaggio successivo da effettuare. L’importo ottenuto, infatti, è quello sul quale si applica l’aliquota fissata dal decreto Salva Italia e modificata dai singoli comuni. L’aliquota di base è dello 0,4% (il 4 per mille) per l’abitazione principale (quella in cui ogni cittadino ha la propria residenza fiscale e in cui dimora abitualmente) e dello 0,76% per la seconda casa. Le amministrazioni comunali possono modificare queste percentuali a livello locale, alzandole o abbassandole dello 0,2% (per le abitazioni principali) e dello 0,3% (per le seconde case). Poichè lo Stato si riserva la metà del gettito derivante dall’Imu, e vista la necessità dei Comuni di raggranellare risorse, è facile prevedere che la maggior parte degli enti locali si terrà comunque su valori di aliquota vicini ai massimi. Nell’esempio, quindi, un’aliquota dello 0,4% su 168mila euro (per una rendita catastale di 1.000 euro) implica un eborso di 672 euro. C’è però la possibilità di detrarre 200 euro sulla prima casa (il totale dell’esempio scenderebbe così a 472 euro) e altri 50 euro per ogni figlio. Per pagare è possibile utilizzare il modello F24, disponibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate, effettuando il versamento tramite la propria banca (anche via home banking) o tramite intermediari abilitati come i Centri di assistenza fiscali (Caf) dislocati sul territorio.