L.M., Panorama 11/12/2014, 11 dicembre 2014
DIMISSIONI IRREVOCABILI. ANZI, FINTE
Chiamatela «cortesia istituzionale». Oppure «omaggio a quella fallibilità umana da cui nasce la nostra libertà», per dirla in modo aulico col senatore Ncd Gaetano Quagliariello. Il concetto non cambia, le «buone tradizioni» (sempre Quagliariello) nemmeno: «Una prima votazione deve essere un segno di stima».
Poteva perciò stare tranquillo Walter Tocci, pd contrario al Jobs act, mentre annunciava: «Voterò la fiducia al governo, ma subito dopo mi dimetterò da senatore della Repubblica». Da vecchia volpe della politica (è alla quarta legislatura), sapeva che le prime dimissioni, in segno di stima, gli sarebbero state respinte. È solo l’ultimo di una lunga lista di furbi dimissionari. Infatti al Senato, nel 2013, i colleghi hanno detto no all’addio di Giovanna Mangili, eletta (e contestata) dai 5 stelle a Monza, due volte dimissionaria, e alla partenza nel 2014 di altre due grilline. Laura Bignami e Maria Mussini, che oggi al Gruppo misto rappresentano un loro ignoto Movimento X.
La cortesia è cortesia e vale per tutti. A parte il senatore pd Alberto Maritati, che evidentemente non stava simpaticissimo ai colleghi e che nel 2006 fu dimesso al primo voto, dal Parlamento riescono ad andarsene al primo tentativo solo gli eletti a cariche incompatibili (i sindaci, per esempio), o i catturandi come Nick Di Gerolamo e Totò Cuffaro. Per tutti gli altri le prime dimissioni sono ammuina. Per dirla con Marcello Pera, ex presidente del Senato: «Ci sono coloro che si sono dimessi e hanno mandato una lettera affinché questa venga accettata», e «coloro che si sono dimessi e hanno mandato una lettera affinché questa sia respinta». Con punte a volte esilaranti. Il 23 dicembre 2011 Lucia Codurelli, deputata pd, si è dimessa affranta dopo aver votato l’«iniqua manovra» di Mario Monti: dimissioni ritirate dopo la Befana. L’11 giugno 2014 è stato il turno del deputato forzista Alberto Giorgetti: ci ha ripensato dopo 15 giorni. E che dire dei parlamentari Pdl che dovevano dimettersi in massa il 4 ottobre 2013, giorno del voto sulla decadenza di Silvio g Berlusconi? Le famose dimissioni, consegnate ai capigruppo di Camera e Senato, non sono mai nemmeno arrivate ai presidenti delle due Camere.
Attenzione comunque a non tirare troppo la corda, perché la «cortesia istituzionale» non è per sempre: se uno volesse davvero dimettersi, basta che insista. Il senatore Nicola Rossi, due volte dimissionario e due volte respinto nel 2011, non ha infatti mai scritto la terza lettera di dimissioni, quella che, avrebbe potuto essergli fatale. Il senatore rifondarolo Luigi Malabarba, nel 2006, è riuscito ad andarsene proprio al terzo tentativo; idem i sottosegretari Roberto Pinza, Filippo Bubbico e Gianni Vernetti. Chi invece non ce l’ha mai fatta a lasciare il Palazzo è stato l’ex presidente Francesco Cossiga. Dimissioni respinte nel 2002, nel 2007 invocò pietà: «Legato a un mondo ormai tramontato, mi oriento a disagio e poco comprendo nell’attuale situazione ideologica e politica». Non trovò comprensione. E per quanto affaticato da una «ingravescente età che sempre più mi rende mentalmente e fisicamente non idoneo», gli toccò di restare in quella «Alta Camera» fino alla morte, nel 2010. Praticamente un ostaggio tra i senatori a vita.