Elena Martelli, il Venerdì 12/12/2014, 12 dicembre 2014
MIO PADRE CI ROVINAVA LA FESTA
ROMA. «Mio padre odiava il Natale. Sostanzialmente, lo deprimeva, perché gli faceva venire in mente ricordi cui non era affezionato. Ci diceva sempre, fino allo sfinimento, che quando era piccolo e povero, quel che riceveva a Natale era solo un’arancia. Così succedeva che cercasse sempre di rovinarci la festa. Alla fine ci riuscì. Morì proprio la mattina di Natale».
Geraldine Chaplin, la prima figlia di Chaplin e di Oona O’Neill, racconta tutto questo con un certo brio, e poi condisce l’aneddoto con una risata. Anzi, lo ha raccontato: in un incontro al Festival Internazionale del Cinema di Roma dove ha portato a fine ottobre un film cui tiene molto: Dólares de Arena di Laura Amelia Guzmán e Israel Cárdenas. La Chaplin interpreta una old lady o, come dice lei con le parole di Philip Roth, un animale morente, che vive a Santo Domingo e si innamora di una giovane prostituta. Un film che riflette sul senso della vecchiaia e dell’amore. E sul desiderio che non scompare mai. «La vecchiaia non ha niente di attraente, è semplicemente brutta. È un Paese senza mappe, che arriva sempre in modo inaspettato» dice Geraldine, che a luglio ha compiuto 70 anni.
Giacca a vento gialla e scarpette comode, l’attrice è un essere buffo che ha il viso di suo padre, il corpo sottile, le ossa che spuntano un po’ dappertutto, gli occhi che frizzano e i capelli con le punte sembrano antenne, tipo Teletubbies. Ed è molto simpatica. Soprattutto quando parla del grande Chaplin, che in qualche modo sembra anche lei trattare come «il suo» Charlot. È evidente che adora alimentarne il mito, con immensa devozione.
E fu proprio un 25 di dicembre (del 1977) il giorno in cui Chaplin – l’uomo che a un certo punto era diventato più famoso di Gesù – se ne andò. Era ateo, non era mai stato battezzato e odiava il Natale. «In compenso c’era mia madre che faceva l’albero, addobbava casa, comprava i regali. Tantissimi. E quei giorni erano indimenticabilmente belli. Alla faccia di mio padre, che ha sempre rifiutato di celebrare questo aspetto commerciale delle feste».
Sarà destino che il ricordo più struggente di suo padre si componga nella scenografia di una scena natalizia, una sorta di presepe pagano. «La prima memoria che ho di lui risale a quando avevo 8 anni. Lui arrivò mentre stavo dormendo e mi portò fuori a vedere la neve. Mi disse: “Guarda, c’è la neve”. Eravamo in California. Ricordo il silenzio della neve e il profumo di mio padre. Le sue braccia che poi mi rimisero a letto. Il giorno dopo, quando m’alzai, la neve non c’era più. Mi sono chiesta a lungo se era stato solo un sogno. Ma ancora ne sento l’odore».
Le manca suo padre? viene immediatamente da chiederle, dopo la descrizione di questa scena incantata che lei racconta come se fosse una favola. «Non tantissimo. Mi manca di più mia madre. Ma perché lui c’è ovunque. Non come padre, ovviamente, ma come figura che continua a vivere. Vedo i suoi film, lui c’è. Mentre lei no, non la vedo più». La Chaplin dice che sua mamma, figlia di Eugene O’ Neill, aveva ancor più sense of humour del padre. «Lei aveva il potere di spegnere ogni tragedia con una risata. E questo è stato l’insegnamento più bello che mi ha dato. Ridere è sempre una buona cura. Mia madre e mio padre avevano un guru, quando vivevano in California, che curava con la risata. Diceva che è l’unico modo per non invecchiare. Non importa ciò di cui ridi, basta ridere, ma devi imparare a farlo, e poi ridere per mezz’ora al giorno. Questo per rimanere giovane». E funziona? «Non so. Ma mia madre appariva molto giovane». Suo padre all’inizio non avrebbe voluto che lei facesse l’attrice. «E io nemmeno lo volevo. Studiavo danza. Poi è accaduto che dovevo trovare un lavoro e avevo questo buon cognome. E ogni porta si è aperta». È sempre bizzarro quando un attore ammette con naturalezza di aver avuto vita facile per via del proprio cognome. E poi la Chaplin non sembra afflitta come alcuni dei suoi fratelli da quel senso di schiacciamento che deriva dall’aver avuto un padre-leggenda. Per esempio, sua sorella Jane, la sesta degli otto tigli, ha scritto persino 17 minuti con mio padre, un libro-sfogo (edito da Giulio Perrone) in cui fa sapere al mondo quanto la loro mamma fosse severa e quanto vivesse nel culto del marito, tanto da sacrificare l’amore per i figli.
A Geraldine, invece, quando parla della madre s’illuminano gli occhi. E il peso del cognome proprio non lo sente. «Ho sempre avuto dietro di me, a proteggermi, quest’ombra benefica di mio padre. Non era solo il genio che si dice – tra l’altro la parola non gli piaceva affatto, lui , diceva: “Non sono un genio, sono unico”. D’accordo, lui era l’uomo più amato del Pianeta, ma fondamentalmente era un umanista, come amava definirsi lui. Forse essere la figlia di Henry Fonda può essere un peso, non so, ma quel che è certo è che io mi sono sempre sentita circondata da quest’amore che derivava da lui. Su ogni set in cui ho messo piede non c’è stata una volta che, dall’elettricista al montatore, non mi si dicessero: “Amo Charlie! Amo il Monello!”. E io, solo per essere sua figlia, ero amata». Geraldine Chaplin è, ovviamente a suo modo, un’icona del cinema degli anni 70: da Carlos Saura (a lungo suo compagno da cui ha avuto un figlio) ad Alain Resnais, Claude Lelouch e Robert Altman, ha lavorato con alcuni dei più grandi registi americani ed europei. «Gli anni 70 sono stati il miglior momento della mia carriera. Con Saura ho scoperto la Spagna e i film politici. Fino ad allora ero solo quella de Il dottor Zivago. Fu lui che a togliermi l’etichetta di Hollywood. Mi ha reso persino un simbolo erotico! Poi con Altman sono diventata una funny lady molto naif. Mi è piaciuto fare cinema alternativo, stare con quelli che rompevano le regole. Ma anche con Zeffirelli, che era un fantastico cuoco e fuori dal set cucinava la pasta per tutti». E lei, come lo passerà il prossimo Natale? «Andremo a Miami, con mio marito e tutti i nostri figli e nipoti. Ma ho già detto che quest’anno, per via della crisi, niente regali. Solo cibo e amore. Forse litigheremo, ma quello è un classico».
Elena Martelli