Cristoforo Spinella, il Venerdì 12/12/2014, 12 dicembre 2014
LA SCUOLA DI ERDOGAN: VELO A 10 ANNI, VIA LE CLASSI MISTE ( E ARMENI TRADITORI)
ISTANBUL. Nei libri di storia della nuova Turchia gli armeni sono traditori e assassini e a dieci anni le bambine possono finalmente studiarne le gesta infami con la testa avvolta in un velo. Cominciato insieme alla prima presidenza della Repubblica di Tayyip Erdogan dopo undici anni alla guida del governo, ad Ankara l’anno scolastico non promette bene. Tra furiose polemiche per l’approccio revisionista dei manuali di studio e regole d’abbigliamento che stravolgono i principi di laicità dell’istruzione turca, il nuovo capo dello Stato si è lanciato nell’ennesima crociata, forse quella decisiva: l’assalto alla scuola.
A denunciare per primo la versione dei fatti riportata nei libri di Storia della rivoluzione turca, che raccontano gli eventi seguiti alla caduta dell’impero ottomano, è stato Taner Akçam, tra i più autorevoli studiosi della questione. Sulle colonne del quotidiano Taraf e del giornale turco-armeno Agos, il cui direttore Hrant Dink venne assassinato a Istanbul nel 2007 da estremisti nazionalisti, lo storico spulcia le pagine e mette a nudo la versione di Erdogan: lì, gli armeni vengono presentati come traditori che complottavano con i nemici stranieri e responsabili di omicidi di massa di donne e bambini musulmani mentre gli uomini combattevano la guerra d’indipendenza. Una narrazione negazionista che rovescia quella più diffusa degli eventi del 1915 – così la Turchia si riferisce al genocidio armeno, che non ha mai voluto riconoscere – in cui centinaia di migliaia di persone morirono tra violenze e deportazioni. Insomma, da vittime a carnefici. Un revisionismo che ha scatenato la reazione di alcuni tra più autorevoli accademici e giornalisti del Paese, oltre ad artisti come Fatih Akin già Orso d’Oro a Berlino, che nel suo ultimo film The Cut racconta proprio delle sofferenze patite in quel periodo dagli armeni. Nell’appello per chiedere il ritiro dei libri dai programmi delle scuole elementari e medie non manca neppure la firma del premio Nobel Orhan Pamuk, già finito alla sbarra in Turchia per aver riconosciuto pubblicamente il genocidio armeno: «Mentre ci avviciniamo al 2015 (centenario del genocidio), la via della pace turco-armena passa da qui».
Eppure, dei passi avanti lungo il cammino della riconciliazione erano arrivati. Se fino a un paio d’anni fa si poteva finire in cella anche solo nominando il genocidio, adesso nelle librerie turche si trovano testi che discutono apertamente la questione. E anche se le speranze di disgelo tra i due Paesi si sono affievolite, a fine agosto il ministro degli Esteri armeno Edward Nalbandian era tra i 90 diplomatici stranieri ospiti della cerimonia di insediamento del nuovo presidente, che pochi mesi prima aveva inviato uno storico messaggio di condoglianze a Erevan, la capitale armena. Un rapporto, quello di Erdogan con le minoranze, precipitato nelle ultime settimane con il mancato intervento a sostegno dei curdi negli scontri con I’Is al confine con la Siria: una scelta duramente criticata anche dall’alleato americano. L’immobilismo dei carrarmati di Ankara, schierati a una manciata di chilometri dai militanti che contrastavano con armi impari l’assedio jihadista alla cittadina strategica di Kobane, ha svelato in modo plastico la volontà di Erdogan di non rafforzare i curdi e non affrontare direttamente l’Is senza la prospettiva – oggi non all’ordine del giorno – di rovesciare il regime di Bashar al Assad. Così anche la base di Incirlik nel sud della Turchia, la più vicina tra quelle Nato al terreno di scontro, è rimasta ufficialmente offlimits per gli alleati.
Sotto accusa resta comunque l’intera riforma del sistema educativo, che Erdogan sta modellando sempre più a sua immagine. L’ultimo dei regolamenti è anche il più controverso: a partire da quest’anno, le studentesse potranno indossare il velo già dai 10 anni, come finora accadeva solo nelle scuole religiose. Una vera rivoluzione per un Paese in cui fino al 2008 non si potevano vedere ragazze col capo coperto neppure nelle aule universitarie. Un divieto che ancora lo scorso anno, prima dell’ennesima riforma, riguardava pure tutte le dipendenti della pubblica amministrazione. Ora invece, mentre le bambine turche potranno entrare in classe velate, si allunga la lista di quello che non potranno fare: vietati tatuaggi e piercing, no a berretti e borse con scritte o simboli politici. E poi ancora: per le ragazze niente trucco né capelli tinti o mèches, mentre ai maschi sarà impedito di portare barba o baffi. È così che Erdogan vuole la sua Turchia. Un’aspettativa già chiarita nel 2012, quando da premier spiegò di sognare una «gioventù timorata di dio». La stretta va a braccetto con l’introduzione di corsi obbligatori di religione a partire dal quarto anno di scuola dell’obbligo (e per altri nove), con il supporto di manuali che presentano l’ateismo come una «degenerazione dei valori sociali e culturali di base». Del resto, questi libri di religione non piacciono neppure ad alcuni musulmani come la minoranza alevita, che in Turchia conta circa 10 milioni di fedeli ma viene citata solo in poche righe. È dopo un loro ricorso che la Corte Europea dei Diritti Umani ha bocciato la nuova normativa perché viola «il diritto all’istruzione», giudicando il sistema educativo turco «ancora non adeguatamente preparato ad assicurare il rispetto per le credenze dei genitori». Così ora il governo prova a correre ai ripari, promettendo corsi di religione anche per le minoranze cristiane ed ebree.
Ed Erdogan, che ne dice? «In nessuna parte del mondo c’è un dibattito sulle lezioni obbligatorie di fisica, chimica o matematica» replica, spalleggiato dal suo ex ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu, che ne ha raccolto l’eredità alla guida del governo, mantenendosi fedelissimo alla linea. Eppure, i problemi sarebbero altri: oggi un turco su tre è in età scolare, ma il tasso di abbandono resta alto e la competitività bassa. Per l’Ocse i programmi di studio sono al 40esimo posto su 65, mentre l’indice Onu di Sviluppo Umano piazza la Turchia appena al 90esimo. Ma per Erdogan le priorità restano altre. Il prossimo passo? A tracciare il cammino ci prova il sindacato ultraconservatore Egitim Bir Sen chiedendo al governo l’abolizione delle classi miste. Forse un azzardo, in fondo non una boutade: un paio d’anni fa, la stessa organizzazione fu capace di raccogliere oltre 12 milioni di firme per autorizzare il velo negli uffici pubblici. E così fu.