Vittorio Malagutti, L’Espresso 12/12/2014, 12 dicembre 2014
UN AFFARE TUTTO CASE E CHIESA
L’onda lunga del nuovo scandalo targato Vaticano, una storiaccia di palazzi svenduti e presunte creste milionarie, arriva fino al paradiso della finanza di Lussemburgo. In un brutto palazzo del Granducato, non lontano dalle viuzze del centro storico, si trova la sede della Société Européenne de Banque, in sigla Seb, una piattaforma per affari offshore controllata da Banca Intesa. Ebbene, sulla poltrona di presidente di Seb, un colosso da oltre 14 miliardi di attivo, siede sin dal 2002 Angelo Caloia. Già proprio lui, l’ex numero uno dello Ior che in questi giorni, cinque anni dopo aver lasciato l’incarico nella banca vaticana, si è visto recapitare dalla magistratura d’Oltretevere quello che in Italia verrebbe definito un avviso di garanzia.
L’accusa è gravissima: peculato, per aver intascato milioni, insieme all’ex direttore generale Lelio Scaletti e all’avvocato Gabriele Liuzzo, giocando sporco sulla vendita di una parte del colossale patrimonio immobiliare dell’istituto della Santa Sede, in buona parte liquidato tra il 2002 e il 2008. Caloia si difende dichiarandosi «del tutto estraneo ai fatti» e lunedì 8 dicembre ha annunciato le sue dimisisoni dalla presidenza della Veneranda Fabbrica del Duomo, l’ente a cui dal 1387 fa capo l’amministrazione della cattedrale di Milano.
L’incarico alla Seb di Lussemburgo finisce invece per mettere in imbarazzo il presidente di Intesa, Giovanni Bazoli, esponente di punta di quella che un tempo veniva chiamata la finanza bianca, nel senso di cattolica. Il banchiere sotto inchiesta in Vaticano, classe 1939, è da sempre molto legato all’ottuagenario Bazoli, a cui deve almeno in parte la nomina allo Ior nel 1989, per non parlare delle numerose cariche, oltre a quella nel Granducato, collezionate nel tempo da Caloia tra le società controllate da Intesa.
La girandola di affari attorno ai palazzi della banca vaticana era da tempo al centro di voci e sospetti. Le prime indagini interne risalgono addirittura al 2009, ma è soltanto pochi mesi fa, grazie a un report della società di consulenza americana Promontory, che le presunte irregolarità vengono messe nero su bianco. L’operazione trasparenza è entrata nel vivo nel 2013, con la nomina al vertice dello Ior del banchiere tedesco Ernst von Freyberg, sostituito a luglio di quest’anno dal francese Jean-Baptiste de Franssu.
L’aria in Vaticano sembra proprio cambiata se è vero che dopo decenni di reticenze, se non di vera e propria omertà di fronte a scandali colossali, adesso la macchina delle indagini si è messa in moto a gran velocità. Sabato 6 dicembre, uno scoop dell’agenzia di stampa Reuters ha dato notizia per la prima volta dell’inchiesta e di lì a poche ore un portavoce della Santa Sede ha confermato tra l’altro di aver messo sotto sequestro oltre 16 milioni di euro sui conti allo Ior di Caloia e degli altri due indagati.
Le carte del promotore di giustizia vaticano, equivalente al procuratore della Repubblica italiano, parlano di un tesoro di almeno 57 milioni accumulato via via nel tempo registrando un valore di vendita degli immobili inferiore a quanto dichiarato nei libri contabili dell’istituto di credito. E questo fiume di denaro sarebbe poi stato intascato almeno in parte dall’ex presidente, dal direttore generale Scaletti e da Liuzzo, il legale della banca. Sono accuse tutte da provare, ovviamente, anche se il rapporto di Promontory ricostruisce con dovizia di dettagli quello che secondo i consulenti sarebbe stato il meccanismo della truffa.
Certo è che la liquidazione del patrimonio immobiliare dello Ior, proprietario di decine di palazzi e terreni in gran parte concentrati a Roma, ha attirato gli interessi più diversi. Al grande gioco del mattone vaticano hanno partecipato anche affaristi senza volto, compratori protetti dalle solite società offshore per schermare la reale provenienza delle offerte. Si scopre per esempio che a novembre del 2004 la società Collina Verde compra per oltre due milioni di euro dallo Ior un’intera palazzina di quattro piani con appartamenti da dieci locali ciascuno nella zona dell’Aventino, una delle più ambite (e costose) della capitale. A chi fa capo Collina Verde, che risulta amministrata da un professionista romano? L’intero capitale (10.200 euro) è intestato alla Woodhill Homes Limited di Londra, gestita da un fiduciario. E qui la ricerca si ferma. Le carte inglesi, infatti, non offrono nessuna indicazione sui proprietari delle quote di quest’ultima società.
Nella lista degli acquirenti ci sono imprenditori del settore, ma anche personaggi della politica come l’ex governatrice del Lazio Renata Polverini, ora deputata di Forza Italia, che a dicembre del 2002 (a quei tempi era ancora sindacalista Ugl) acquistò dalla banca del Papa un grande appartamento nel quartiere romano di San Saba. Quando nel settembre del 2010 l’affare venne raccontato sulle pagine del “Fatto Quotidiano”, Polverini fu costretta a difendersi dall’accusa di aver comprato a un prezzo, circa 270 mila euro, molto più basso di quello di mercato.
Per trovare chi ha scommesso decine di milioni sui palazzi targati Ior bisogna invece seguire le mosse di un’altra società romana, la Marine investimenti sud, che scende in campo fin dal 2002, non appena Caloia dà il via alla grande vendita. Nel giro di un paio di anni passano di mano decine gli immobili con destinazione Marine Investimenti sud, che di fatto muove i primi passi proprio grazie al grande affare vaticano. In quel periodo cambiano anche i proprietari della società. Il capitale passa sotto il controllo di una finanziaria lussemburghese, la Longueville, a sua volta costituita da una holding con base in Uruguay. Nel 2001 esce di scena anche l’amministratore unico Erasmo Cinque, un costruttore romano ben noto alle cronache per i suoi rapporti con la destra fin dai tempi di Gianfranco Fini e An ma ancora oggi legatissimo ad Altero Matteoli, come emerso nello scandalo Mose. Dopo Cinque, la gestione passa a Michele Nicola D’Adamo, che compare nella lista dei condannati (quattro mesi) per la maxi tangente dell’Enimont, una della vicende centrali della Tangentopoli di un ventennio fa.
Sotto la guida di D’Adamo, la Marine Investimenti Sud fa incetta di palazzi messi in vendita dallo Ior. In qualche caso si tratta di una toccata e fuga. In via Boezio, per esempio, nel cuore del quartiere Prati, la società romana compra in blocco dalla banca vaticana quattro grandi appartamenti nel dicembre del 2002. Nell’arco di pochi mesi quegli stessi immobili trovano un altro acquirente.
Il gioco di sponda si ripete più volte. Un toccasana, per il bilanci della Marine Investimenti Sud, che grazie agli affari con lo Ior naviga con il vento in poppa fino al 2013, quando la lussemburghese Longueville viene rimpatriata in Italia con il nome di Investimenti Immobiliari. L’azionista unico di quest’ultima si chiama Serafino Barlesi, un imprenditore con la passione della motonautica, vincitore di gran premi organizzati in giro per il mondo.
Non finisce qui, perché nel maggio scorso Barlesi ha schermato la proprietà della Investimenti Immobiliari intestando l’intero capitale alla Finnat fiduciaria dei Nattino, un marchio ben noto in Vaticano. Il direttore generale della Finnat fiduciaria si chiama Luigi Mennini. Suo nonno, anche lui Luigi, era il numero due dello Ior ai tempi infausti della presidenza del cardinale Paul Marcinkus. Paolo Mennini, padre del Luigi della Finnat, era invece tra i massimi dirigenti dell’Apsa, l’Amministrazione della Sede apostolica, ma a giugno del 2013 ha lasciato l’incarico dopo l’arresto del suo collaboratore monsignor Nunzio Scarano, capo contabile. Dal Vaticano al Vaticano. Da uno scandalo all’altro.