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 2014  dicembre 12 Venerdì calendario

DALLA PANDA ROSSA ALLA BANDA DELLA MAGLIANA

Ho riaperto la partita Iva: devo lavorare, non posso vivere mica con lo stipendio di 1500 euro di consigliere comunale». Così parlò Gianni Alemanno nel giugno 2013, appena trombato da Ignazio Marino. Dimenticava di aggiungere il vitalizio maturato come ex parlamentare che, insieme all’indennità, gli garantisce un reddito mensile di 4.419 euro: più dello stipendio di sindaco.
Ora si spera che i suoi introiti si fermassero lì, senza ulteriori arrotondamenti, a dispetto delle intercettazioni dell’inchiesta su Roma Capitale che hanno portato alla sua iscrizione nel registro degli indagati per associazione mafiosa: Carminati, Buzzi & C. parlano di finanziamenti elettorali all’amico Gianni (ovviamente in nero, e come se no?) e il Ros scrive di suoi viaggi in Patagonia per «una presunta esportazione di valuta in Argentina».
SE FOSSE VERO anche soltanto un centesimo di quel che si legge nelle carte dell’inchiesta Terra di Mezzo, verrebbe da rabbrividire. Ma anche da sorridere, se si confrontano gli atti giudiziari con le sue dichiarazioni dell’ultimo anno e mezzo, cioè dal giorno della sua cacciata dal Campidoglio. «Marino non avrà una lira in più per mantenere le promesse d’immagine fatte in campagna elettorale» (13-6-2013). «L’ultimo piano investimenti di Marino è di soli 540 milioni di euro per tutte le opere pubbliche, quando il mio era di 2,6 miliardi. Per mettere a posto tutte le buche di Roma servono circa 200 milioni all’anno per tre anni, una cifra enorme, mentre oggi c’è una grandissima carenza di risorse, sia per i tagli dei vari governi, sia per il patto di stabilità» (5-2-2014). Il fatto che fiumi di denaro pubblico confluissero nelle casse dell’Er Guercio& C. Spa è puramente casuale.
Marino gli diede del fascista e Alemanno, anziché arrossire di orgoglio, si adontò: «Darmi del fascista è un’offesa in sé, soprattutto quando serve a delegittimare un’intera opposizione» (5-8-13). E Marino non sapeva ancora dell’affettuosa amicizia fra il clan Alemanno e l’ex boss dei Nar e della Banda della Magliana.
Intanto il camerata Gianni vibrava di sdegno per i veri scandali di Roma. Non - si capisce - per il clan fasciomafioso che spadroneggia da anni su ogni appalto della Capitale (quella è roba buona: tant’è che Alemanno caldeggiò una nuova abbuffata con la candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2024 e lanciò Montezemolo a capo del comitato promotore). Bensì per una serie di autentiche vergogne targate Marino: il registro delle unioni civili e delle nozze gay celebrate all’estero («pura provocazione che peraltro contrasta con la nostra Costituzione»); la provvisoria rimozione della gigantografia dei due marò appesa al Campidoglio («atto gravissimo, attendiamo spiegazioni dettagliate»); la zona pedonale ai Fori Imperiali («I cittadini devono essere ascoltati, la Capitale non può essere trattata come una cavia da laboratorio»); i troppi centri per immigrati e campi rom, peraltro molto cari al clan Carminati-Buzzi («È giunta l’ora di dire basta a ogni forma di buonismo», «Basta clandestini», «Marino sindaco clandestino»). E poi il discusso mega-concorso per vigili urbani: «Preghiamo Iddio che la figuraccia mondiale del Concorsone sia l’ultima», implorava Alemanno un anno fa.
ORA, ANCHE grazie a lui, sappiamo che quella figuraccia - ammesso e non concesso che abbia raggiunto l’intero orbe terracqueo - era solo la penultima. Anzi, la terzultima: quando Marino conferì la cittadinanza onoraria a Paolo Sorrentino reduce dall’Oscar per “La grande bellezza”, Alemanno e i suoi si astennero perché - spiegarono - «Roma non è quella fatta di night, club, droga e feste che si vede nel film». In effetti mancavano gli ex terroristi, gli assassini e i tangentari. Però, sul finale, c’era un mafioso col colletto bianco che finiva in manette: una scena profetica che Alemanno & C. avevano preferito, per ovvi motivi, rimuovere. Del resto, meno di un mese fa, il moralizzatore moralizzato e il suo partito Fratelli d’Italia chiedevano la testa di Marino per via della sua Panda in divieto di sosta. Poi s’è scoperto che il problema, più che la Panda, era la Banda. Della Magliana.