Aldo Nove, Sette 12/12/2014, 12 dicembre 2014
È ITALIANO IL PRIMATO DEI SITI DEDICATI ALL’ARTE
Italia popolo di santi, poeti e navigatori. Quella dei santi è una razza in sicura estinzione. In quanto ai navigatori, si preferisce oggi l’uso dell’aereo: i continenti sono ormai stati scoperti tutti, e case reali che finanzino nuove rotte per le Indie non se ne trovano più. Restano i poeti. Tanti. Tantissimi. Una miriade. Un popolo, appunto, e italianissimo. È italiano infatti il primato europeo di siti dedicati alla poesia. Il web come nuovo florilegio di versi: Facebook soltanto conta diverse centinaia di gruppi di poeti che, nell’evanescenza fluttuante dei social, nascono, muoiono e rinascono ogni giorno. Funzionano. Non siamo al livello delle foto dei gattini, recettori universali di “mi piace”, ma una poesia si presenta sempre con i suoi requisiti forti di “piaciosità”. E siamo al livello della tautologia pura, formale: la poesia è poetica, va da sé, e ciò che è poetico piace (per restare sul luogo comune, potremmo aggiungere “specialmente alle donne”). Giù allora con interminabili o fulminee catene di associazioni verbali sinceramente prevedibili e spesso per questo imbarazzanti. La notte è sempre “profonda” (altrettanto lo è l’anima), i sentimenti sono “vibranti” (come i moniti di Napolitano) e gli aggettivi sempre generosamente sparsi. Tale copiosità d’ingegno e di vocazione collettiva all’arte che fu di Dante e di Leopardi genera però qualche sospetto. Diceva, a mo’ di provocazione, uno degli ultimi grandi poeti nostri, Edoardo Sanguineti, che “la vera poesia non è mai poetica”. È una provocazione, ma non è una provocazione rilevare che un conto sono catene di frasi di Baci Perugina pubblicate sul web, un conto è l’asprezza del lavoro vero sulla lingua. Il fatto è che poesia e web non si acchiappano. Il lento lavoro di cesello su cui tanto si soffermava Leopardi è incompatibile con le modalità di fruizione di un testo in rete. La poesia si afferma attraverso i decenni, e proprio superando le intemperie dei tempi si dimostra tale. Come a dire che nessuna poesia nasce già “compiuta”. Oggi è invece il tempo della comunicazione immediata, ed è in questa immediatezza che sorge l’equivoco: la poesia, a differenza di qualunque altra arte, sembra la più “semplice”. Sicuramente richiede meno tempo di un romanzo, meno marmo di una scultura e non bisogna conoscere nessuno strumento, e nemmeno saper leggere uno spartito, per “farla”. Scriveva un grande critico letterario che la poesia è come lo zucchero: un po’ addolcisce le cose, troppa fa venire il diabete. E non è forse un caso che resta impressa, nella nostra vacua memoria collettiva, l’immagine di un facitore di poesie che suscitava più il riso che l’encomio. Quell’ormai proverbiale ministro Bondi dalla poesia facile quanto scontata. Parecchi decenni fa, Paul Valery si lamentava dell’eccessiva velocità del suo tempo, inadatto alla poesia perché troppo vorace di “tutto e subito”. La profezia si è avverata ben oltre le sue previsioni. In questo preciso istante in cui tanti, tantissimi stanno pubblicando i loro versi in Rete.