Massimo Rebotti, Corriere della Sera 12/12/2014, 12 dicembre 2014
COMMISSARI
In questo periodo c’è una parola molto in voga: «commissario». Che sia il Pd romano squassato dall’inchiesta sulla Mafia Capitale, o il Mose di Venezia dopo lo scandalo tangenti, che sia la spending review sulle spese dello Stato o il comune di Viareggio sull’orlo della bancarotta, alla fine, per cercare di mettere ordine, arriva sempre un commissario. Un uomo (o donna) solo, a cui viene affidato, per un tempo presumibilmente breve, un potere quasi salvifico: eliminare gli sprechi, il caos o le ruberie del periodo precedente. I commissari, ovviamente, sono tutti diversi. Ma l’aspettativa di chi li nomina – «ora pensaci tu» – è analoga: fu così per Carlo Cottarelli, dirigente del Fondo monetario internazionale, a cui fu chiesto di tagliare le spese della macchina statale; o per il magistrato Raffaele Cantone, chiamato a sorvegliare i lavori per Expo e diventato poi il supervisore anti-corruzione di tutti gli appalti pubblici. I commissari in Italia sono migliaia, tempo fa Il Sole 24 Ore ne stimò addirittura 10 mila, tra quelli di governo, prefettizi, commissari ad acta o straordinari. Ce ne sono stati di tutti i tipi: dallo smaltimento dei rifiuti ai Mondiali di nuoto. Solo il requisito è sempre lo stesso: un’«emergenza» che renda necessario un incarico urgente, accentrato in una sola persona, che possa agire «in deroga» e con maggiori poteri. Il giurista Sabino Cassese una volta commentò che «i commissari straordinari sono il sintomo del problema, della malattia: si ricorre a loro, sempre di più, perché l’amministrazione ordinaria non funziona». Una considerazione che si può applicare perfettamente alla politica: nel Pd romano dove l’«amministrazione ordinaria» non funzionava di certo, ora il commissario Matteo Orfini parla come dopo una calamità. E promette «di usare la ruspa» per «radere al suolo il malaffare».