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 2014  dicembre 12 Venerdì calendario

LA SERA PREGAVAMO TUTTI A CAMP BUCCA

LA SERA PREGAVAMO TUTTI A CAMP BUCCA -
A dispetto delle violenze narrate dal rapporto del Senato americano, messe in atto dalla Cia sui terroristi islamici (e i presunti fiancheggiatori), a Camp Bucca, in Iraq, la detenzione ha permesso ai futuri capi dell’Isis di costruire le basi per il loro progetto: mettere il Medio Oriente a ferro e fuoco. La vicenda, narrata in luglio dal magazine americano Mother Jones, è stata ripresa di recente anche dal britannico Guardian.
In Italia, la notizia che all’interno di un carcere di massima sicurezza si saldino alleanze fra personaggi ammantati di fervore politico, per diventare ancora più pericolosi una volta guadagnata a libertà, non stupisce: l’inchiesta su “Mafia Capitale” racconta proprio questo: nel 1982 a Rebibbia si ritrovarono un giovanissimo Gianni Alemanno (poi sindaco di Roma), Salvatore Buzzi (futuro ras delle coop) e Massimo Carminati, il “nero” re di Roma. Così è andata pure a Camp Bucca, con le dovute proporzioni e i cambi di scenari: a raccontarlo dalle pagine del Guardian è uno jihadista il cui nome di battaglia è Abu Ahmed, che nel 2004 viene preso dalle truppe americane: “Quando atterrai a Camp Bucca, ne avevo molta paura, ma una volta varcato il cancello, la situazione mi apparve migliore di quel che avrei mai immaginato”. Tutt’altra storia rispetto alla lugubre fama di Abu Ghraib, il carcere di Baghdad dove i prigionieri venivano torturati e umiliati, come rivelò lo scandalo scoppiato proprio 10 anni fa. Che cosa scopre il soldato Ahmed? Che quell’enorme fortezza nel sud dell’Iraq non è (solo) fonte di sofferenza, ma rappresenta una fantastica opportunità: “A Baghdad non eravamo mai stati tutti insieme , sarebbe stato troppo pericoloso; invece lì eravamo un gruppo che si riuniva nel luogo più sicuro del mondo a poche centinaia di metri dal quartier generale di Al Qaeda”. Ahmed incontra per la prima volta Al Baghdadi; allora era solo uno di loro, si chiamava Abu Bakr. James Gerrond, che nel 2009 era un ufficiale della Us Air Force, responsabile di uno dei blocchi dove erano rinchiusi i prigionieri, lo ricorda così: “Era un tipo cattivo, ma non fra i peggiori”. A far diventare Abu Bakr il califfo Al Baghdadi è stato Camp Bucca? Il fatto di aver messo tanti prigionieri insieme, civili e militari, ha fatto crescere l’odio per i “crociati”? Lo stesso Gerrond scrive un post su Twitter: “Molti di noi avevano questo timore: non gestivamo solo una prigione, avevamo creato una pentola a pressione per gli estremisti”. Erano talmente forti le preoccupazioni degli americani, che provarono a separare i prigionieri più pericolosi da chi era meno motivato: c’erano persino corsi per la rilettura del Corano, evidenziando passaggi che non giustificavano la violenza religiosa. Ma ormai il seme della vendetta a Camp Bucca era stato piantato. Gerrond ricorda a Mother Jones una conversazione con un ufficiale sciita addetto alla rieducazione dei prigionieri: “Mi disse che quando gli americani sarebbero partiti avrebbe avuto una sola richiesta: abbastanza munizioni per uccidere tutti i detenuti sunniti”. Ma proprio i sunniti si erano già organizzati, come afferma al Guardian Abu Ahmed: “Il campo era l’ambiente ideale per pianificare. Nel 2004 avevamo riconosciuto Al Zarqawi (a cui succederà Al Baghdadi, ndr) capo della Jihad. Quando ci hanno liberato, è stato facile ritrovarsi: ci eravamo scambiati indirizzi e numeri di telefono scrivendoli sugli elastici delle mutande”.