Angelo De Mattia, MilanoFinanza 12/12/2014, 12 dicembre 2014
ITALIA, GERMANIA E GRECIA SONO SULLA STESSA BARCA. È IL MESSAGGIO DA INVIARE DA TORINO
Ieri è iniziato a Torino il vertice tra Germania e Italia, con l’intervento dei rispettivi capi di Stato, Joachim Gauck e Giorgio Napolitano. La speranza è che l’incontro giovi non solo alle relazioni tra i due Paesi ma anche alla convergenza su una visione dell’Europa coerente con le finalità dei Paesi fondatori, non dimenticando il principio di sussidiarietà, che consenta il superamento di distanze, a volte rilevanti, soprattutto nelle strategie di politica economica e sociale e, più da vicino, valga a rasserenare questa fase in cui si dovrebbe avviare l’abbandono dell’austerity e agevolare, non contrastare, l’azione della Bce. Nel frattempo, Matteo Renzi, ha dichiarato che se il suo governo fallisce dopo ci sarà la Troika. Nella stessa circostanza ha sottolineato che, se anche il Fmi, che non è una sezione del Partito comunista negli Usa, chiede che l’Europa adotti politiche espansive per la crescita, i partner dell’Ue dovranno pure cominciare a farsi qualche domanda. È bene riflettere, data la provenienza, su queste affermazioni. È sempre un azzardo dore après moi le déluge. Nel caso di specie, poi, non si fa un gran servizio al Paese perché, così indirettamente presentandolo, lo si assimila involontariamente alla situazione greca e, comunque, si finisce con l’evocare, volenti o nolenti, uno stato assai critico dell’economia italiana, svalutando quanto fatto finora dallo stesso governo, peraltro pubblicizzato enfaticamente dai suoi componenti. Al contrario la condizione italiana, pur difficile, non è certo tale da rendere necessario il sostegno del Fmi, della Bce e dell’Unione europea. Il punto centrale resta la crescita. Nel prossimo vertice dei capi di Stato e di governo che inizia il 17 è su questo tema che si dovrebbe davvero dare battaglia. E anche se il dialogo Germania-Italia ha una finalità assai più elevata, il vertice dovrebbe essere servire anche a preparare una riunione del Consiglio europeo del 17, che chiude di fatto il semestre di presidenza italiana dell’Unione, meno accademica delle solite. Queste riunioni non possono essere più meramente rappresentative di istanze, lamentazioni e annunci di battaglie, poi neppure tentate. Devono essere impegnative e produttive di risultati effettivi, non la ricorrente contesa priva di conseguenze. Continuare a decantare, come fa Juncker, il piano di investimenti da lui promosso con la costituzione di un fondo di 21 miliardi, dalla cui realizzazione, per di più, si è ancora lontani, significa essere lontani dalla percezione delle effettive esigenze dell’Unione, dalla responsabilità verso i singoli Paesi e verso il contesto globale, ora che difficoltà più o meno gravi toccano Cina, Giappone, Russia e altri Paesi emergenti.
In questo senso il Fondo monetario ha ragione. Ma non si può dimenticare che è lo stesso organismo che, quando deve passare dal predicare al razzolare, dimostra l’enormità della distanza tra le due azioni. La prova regina la offre con il rigorismo esacerbato quando fa parte, come nel caso della Grecia, dei soggetti che hanno deciso aiuti ai Paesi in crisi. La riapertura della vicenda greca è anche attribuibile alle valutazioni rigoristiche, permanentemente proprie di una strategia di austerity talebana, del Fondo i cui esponenti, nei convegni, declamano l’urgenza delle politiche espansive e danno frequentemente i voti alla Bce, ma, quando sono chiamati alla prova dei fatti, restano asserragliati sull’austerity vecchia maniera. Se, come Renzi ha detto dopo il colloquio con il direttore generale del Fondo, Christine Lagarde, questa istituzione vuole effettivamente politiche per la crescita da parte dell’Europa, cominci a dare, essa per prima, dimostrazione di voler perseguire, quando è chiamata all’esercizio di proprie competenze, un contributo a una tale strategia. La riproposizione della vicenda greca chiama in causa (oltre all’Fmi) l’intera Unione e l’Eurozona. L’accelerazione di interventi per la crescita, la trasformazione del piano-topolino Juncker in uno veramente adeguato alle urgenze di questa fase, l’esclusione degli apporti dei singoli Paesi al computo del deficit, la previsione di equi criteri per la destinazione delle risorse e la promozione del Quantitative easing, da parte della Bce – insomma una strategia antideflazione e antirecessione – sono cruciali per le ragioni generali tante volte espresse su queste colonne, ma valgono pure a contribuire alla soluzione tempestiva dei problemi della Grecia, che non si possono continuare ad affrontare con la cecità dell’austerità. Il destino della Grecia è in mano ai greci, ma anche, e in questa fase soprattutto, all’Europa. Evocare le catastrofi di un cambio di governo, ora che anche Syriza si dichiara disponibile a una linea che tenga conto dell’ importanza delle relazioni finanziarie, non significa altro che dare una spinta verso il baratro, cosa che dovremmo considerare pericolosissima se non altro per l’effetto-domino, i cui primi segnali sono giunti in questi giorni, ma anche ieri l’impatto sulla Borsa ateniese è stato rilevante. In Germania, come hanno dimostrato recenti dichiarazioni del capogruppo Ppe al Parlamento europeo, espressione della Cdu, ci si comincia a rendere conto che il governo deve promuovere una crescita degli investimenti e un sostegno alla domanda interna: sono ammissioni rilevanti. Ecco perché, la comunione dei destini dei partner europei dovrebbe diventare il tema centrale dell’Unione e, prima ancora, del dialogo iniziato ieri a Torino. Noi dovremmo comunque sapere che una caduta della Grecia immediatamente farà spostare l’occhio del ciclone sull’Italia.
Angelo De Mattia, MilanoFinanza 12/12/2014