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 2014  dicembre 11 Giovedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL CASO ROMA E LA POCA GALERA RISERVATA AI CORROTTI


REPUBBLICA.IT
Il giudice Alfonso Sabella - 52 anni, nato a Bivona, nell’Agrigentino - entrerà a far parte della giunta di Roma. Sarà lui l’assessore che si occuperà della legalità, trasparenza e appalti, un ruolo fortemente voluto dal sindaco Ignazio Marino dopo l’inchiesta Mafia Capitale. "Sono venuto a incontrare il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura- ha detto Marino- perchè sono nelle fasi finali di orientamento per la costituzione della nuova giunta e sento la necessità di una figura di straordinaria professionalità nel settore della legalità e del contrasto alla criminalità".
Marino ha poi aggiunto: "Sono venuto per un confronto con una persona che stimo moltissimo e che occupa un ruolo di istituzionale- ha aggiunto il sindaco- dal quale dipende l’autorizzazione nel caso di trattasse di un magistrato. La decisione ci sarà spero in tempo brevissimi".
Ora sarà il Consiglio superiore della Magistratura a concedere, su richiesta di Marino, il distacco a Sabella che non è un giudice qualsiasi: con le sue indagini ha catturato tra gli altri Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e Pasquale Cuntrera, quando era nel pool antimafia di Palermo guidato all’epoca da Giancarlo Caselli. Il cacciatore di mafiosi (titolo del suo libro pubblicato nel 2008) è già a Roma, in quanto giudice a piazzale Clodio.
Dopo il lavoro negli anni Ottanta con Giovanni Falcone, è stato anche capo del Dipartimento di Amministrazione penitenziaria ai tempi del G8 di Genova, ma fu rimosso dall’incarico dal ministro della Giustizia Roberto Castelli. La sorella Marzia, per anni a Palermo, è attualmente consulente della commissione parlamentare Antimafia: fino a un mese fa a Palermo si è occupata della ricrca di Matteo Messina Denaro, l’ultimo grande latitante.

PARLANO QUELLI DELLA COOPERATIVA
ROMA - "Quando andiamo in giro si mettono a gridare: eccoli, arrivano i mafiosi e qualcuno ci sputa! E noi un po’ ci vergogniamo e un po’ abbiamo una gran rabbia. Perché non siamo mafiosi, siamo operai, siamo gente che lavora. E in tutta questa vicenda della Cooperativa 29 Giugno, di Buzzi, di Carminati, di Odevaine e di altri farabutti, si sono dimenticati di chi ogni giorno sgobba per uno stipendio di mille euro al mese, noi". I dipendenti della galassia di coop che facevano capo a Salvatore Buzzi travolte dallo scandalo Mafia Capitale sono in fibrillazione.
VIDEO / NELLE STANZE DI BUZZI: I TIMORI DEI LAVORATORI
Hanno paura di perdere non solo il posto di lavoro ma, in moltissimi casi, anche un rispetto riguadagnato a fatica, anno dopo anno, per seppellire con una vita onesta uno sbaglio compiuto nel passato e scontato con una pena detentiva. "Avevamo trovato una strada per tornare alla vita normale, ora che fine facciamo?". E’ per questo che ci hanno chiamato, per fare sentire "la vera voce della cooperativa, quella dei lavoratori".
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L’appuntamento è in via Pomona, nel quartiere popolare di Pietralata, dove c’è la sede centrale della 29 Giugno già mille volte inquadrata in questi giorni di cronache roventi. Il cancello verde che si apre e si chiude silenzioso scorrendo sui binari, gli impiegati che entrano o escono a testa bassa, senza dire una parola. Ma loro, gli operai, sono decisi: "Se questa è una cooperativa è anche casa nostra, perché ci dovremmo vedere in un altro luogo? Dai, entriamo". Dai balconi dei palazzi vicini qualcuno è affacciato a guardare. A una finestra uno striscione, "Palestina libera". Un tempo questa zona era una roccaforte comunista.
Nella sede della 29 Giugno, "alleggerita" di computer e scaffali interi di documentazione dai carabinieri, si svolge una attività febbrile e silenziosa. L’improvvisa presenza del giornalista accompagnato da un gruppo di operai non è presa bene e, dopo un primo attimo di incertezza, la reazione è cortese ma decisa: "No, qui non potete stare". Ma come, gli operai sono dipendenti della coop, dove dovrebbero vedersi? La replica è sorprendente: "Non potete stare qui perché lo ha deciso il presidente". Il presidente? Quale presidente ora che Salvatore Buzzi è in carcere? C’è già un nuovo presidente? E chi è? Un attimo di imbarazzo e di consultazioni, poi: "Il presidente accetta di incontrarvi, prego".
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La stanza è proprio quella di Salvatore Buzzi, il dominus della 29 Giugno ora a Regina Coeli. Alla parete c’è ancora la famosa foto di lui con Alemanno e il ministro Poletti, in mezzo a tante foto-ricordo delle cene elettorali organizzate dalla cooperativa. "Ma queste immagini non significano nulla, sai quante ce ne sono che non avete visto? La 29 Giugno aveva tanti amici". A parlare a Claudio Bolla, un passato di sinistra eversiva, già collaboratore di Buzzi e soci nella sede della cooperativa. Bolla non si tiene: "So bene che in questi casi la cosa migliore è tacere, ma io parlo per dimostrare che qui non c’è nulla da nascondere. Ecco, vedi, a proposito di fotografie guarda che ho sul telefonino...".
E mostra un bel selfie del ministro Maria Elena Boschi fra Carlo Guarany e Salvatore Buzzi eleganti e incravattati, scattato anch’esso nel corso di una cena. Era quella all’Eur per Renzi? Bolla, che pure era tra i partecipanti insieme a Buzzi e Guarany, prima dice di sì, poi è meno sicuro ma insiste: "Ci fossero riusciti avrebbero chiesto la foto anche con Renzi". E aggiunge: "Ci sono le foto a campo stretto come questa ma io preferisco quelle larghe, dove si vede tutto, come quella che oltre ad Alemanno ha fatto vedere Luciano Casamonica, perché sono più oneste. Perché nasconderlo, anche lui lavorava per la coop".
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Dietro la scrivania un uomo alto e sorridente, in giacca e cravatta. Il nuovo presidente? "No non sono il presidente, sono il curatore incaricato dai giudici, Flaviano Bruno". Per giudici si intende la Procura? "Sì sì. La Procura ha nominato tre amministratori straordinari ed io sono stato scelto stamattina come curatore. L’ho già detto sia ai sindacati che ai lavoratori: non sono qui per liquidare nulla ma per andare avanti con l’attività. Occorre ancora una settimana per avere potere di firma, poi riprenderò i contatti con clienti e fornitori". E dopo quello che è successo pensa che tutto possa ricominciare senza intoppi? "Lo spero proprio. Ho già predisposto il necessario perché si possa partecipare alle gare di assegnazione di alcuni lavori, con trasparenza e rispetto delle regole. Speriamo di non scontrarci con eccessive rigidezze".
Si riferisce agli amministratori pubblici che già hanno dichiarato di voler prendere le distanze dalla 29 Giugno? "Speriamo che le decisioni politiche non contraddicano quelle dei magistrati. Ma mi riferisco soprattutto alle aziende, all’Ama ad esempio, con cui la cooperativa lavorava intensamente. E anche alle banche: si sono spaventate al punto da bloccare anche gli incassi. L’emergenza deve essere superata in fretta perché ci sono in ballo le tredicesime e gli stipendi di 1300 lavoratori, nonché una attività produttiva che in alcuni settori, come nella raccolta differenziata, aveva raggiunto ottimi risultati". Non ci sono state solo cose ottime purtroppo, come per la gestione del campo rom di Castel Romano... "Sono dispiaciuto per ciò che si è visto in tv, ma interverrò per bloccare ogni attività non decorosa".

VIDEO / Bolla: "Casamonica è un nostro socio, perché vergognarci?"
E infine il dottor Bruno ci concede di incontrare il gruppetto dei lavoratori della 29 Giugno nella stanza di Carlo Guarany, l’ex vicepresidente, a sua volta in carcere.
Salvatore S., uno degli operai ("per favore, già siamo in difficoltà, non scrivetemi il cognome sul giornale") consegna un foglio: "Noi, 1300 operai delle cooperative di Buzzi Salvatore, vogliamo chiarire che con la storia della Mafia di Roma non c’entriamo nulla. Noi siamo quelli che la mattina si svegliano alle 5 e facciamo le pulizie all’Auditorium, nei consultori, negli ospedali. Noi siamo quelli che puliamo la città per 1000 euro al mese, e a noi sta bene così perché è lavoro e dignità...". Non vi ha offeso essere traditi proprio da gente che, come voi, sa quanto è duro ricostruirsi una vita dopo la galera? "Ci sentiamo infamati e traditi. E ci vergogniamo anche perché i soldi rubati sono di tutti i cittadini".
Il loro documento continua: "E’ vero che molti di noi sono ex detenuti ma si lavora per reintegrarsi e mandare avanti le famiglie e per non vergognarsi mai di guardare i nostri figli in faccia. Chiediamo solo lavoro, stipendio e dignità". Già - chiediamo - e cosa ne pensate di gente come Carminati o come Odevaine che, secondo le accuse, facevano la bella vita alle vostre spalle? Risponde Franco N., settore pulizie: "Noi non li abbiamo mai conosciuti. Carminati poi, amico di poliziotti, ci sembra strano che frequentasse la cooperativa. Comunque sia, ora come ora gli daremmo un paio di pizze in faccia".

LA STORIA DEL SORRISO
ROMA - Chi insufflò le prove di pogrom di Tor Sapienza? Chi doveva incassare i dividendi delle notti di fuoco, sassi e cocci di bottiglia di una borgata "rossa" che improvvisamente, a metà novembre, si era accesa al comando di saluti romani e ronde assetate di "negri" e "arabi"? Sono stati scomodati i sociologi per provare a dare un senso alla furia della banlieue di Roma.

E invece, per raccontare quella storia bisogna cominciare da un’altra parte. Dagli appetiti mafiosi del Mondo di Mezzo . Dai Signori degli appalti del "terzo settore" Salvatore Buzzi e Sandro Coltellacci, oggi a Regina Coeli per mafia, dal loro interfaccia "nero" Massimo Carminati e dalla sua manovalanza del Mondo di Sotto . E da una coraggiosa donna salentina, Gabriella Errico, presidente della cooperativa sociale Un sorriso, che in quelle notti ha perso tutto. I 45 minori non accompagnati di cui aveva la custodia e la struttura che li ospitava, resa inagibile da un assedio violento.

Seduta nel suo ufficio a Cinecittà, Gabriella respira profondo. "Sono madre di due bambini. Ho paura", dice. "Ho ancora paura". Ma non della furia di Tor Sapienza. Di quei due lì. Buzzi e Coltellacci. Del ricordo di quella telefonata arrivata durante il secondo giorno dell’assedio. "Mi chiamò Buzzi. Mi disse: "Resisti, Gabriella, mi raccomando". Gli spiegai cosa stava succedendo. "Qui fuori è l’inferno. Sono fascisti, Salvatore. Gridano "Duce, Duce". Mi rispose lasciandomi di sale: "Non ti preoccupare. Ora faccio un paio di telefonate e sistemo"".

"CE L’HO IN PANCIA"
Un paio di telefonate. E a chi? "Non capivo cosa c’entrasse Buzzi con i fascisti", dice Gabriella. Con i giorni, quel dubbio diventa un pensiero cattivo. La rivolta di Tor Sapienza è sedata, la cooperativa Un sorriso ha perso il centro e i suoi minori, trasferiti nella struttura della Domus Caritatis all’Infernetto. Gabriella viene avvicinata da un amico. "Mi disse che Buzzi andava dicendo che ora "mi aveva in pancia". Sì, così diceva: "Ora, ho in pancia quella lì del Sorriso". Mi infuriai. E per un attimo pensai che a Tor Sapienza solo la mia cooperativa era stata assediata.
Come mai le strutture nell’orbita di Tiziano Zuccolo, grande amico di Buzzi, che pure ospitavano migranti adulti non erano state sfiorate dalla rivolta? Dissi al mio amico che Buzzi non aveva in pancia proprio un bel niente". E però, dopo poco, Buzzi si fa vivo. "Mi fissò un appuntamento per il 4 dicembre alle 11. Mi disse che era venuto il momento di sedersi intorno a un tavolo e discutere del "Condominio Misna"". Condominio Misna? "Era il suo modo di dire. Per riferirsi alla spartizione degli appalti, lui diceva "condominio". O anche "cartello". Voleva parlarmi di come intendeva dividere la torta dei "misna", che sta per "minori stranieri non accompagnati". Pensava evidentemente che, dopo Tor Sapienza, fossi finalmente pronta a cedere. Per fortuna, il 2 dicembre lo hanno arrestato".

"NON AVREMO PIETÀ"
Per Gabriella Errico, Tor Sapienza è l’epilogo di una storia che comincia nel 2005, anno in cui è sindaco Walter Veltroni. Di un incubo, dice ora, "che mi ha tolto il sonno per anni". E che si manifesta con i modi, le allusioni e le minacce di Sandro Coltellacci, la mano di Buzzi, presidente di Impegno e promozione, una delle coop del suo Sistema.

Sono i giorni in cui Un sorriso è ancora un’associazione e ha sede in viale Castrense, in un palazzo di proprietà del Comune che ospita anche gli uffici del Servizio giardini. Ad insaputa di Gabriella Errico, Coltellacci ha convinto "con una cospicua liquidazione " l’allora presidente dell’associazione Un Sorriso, Saverio Iacobucci, a costituire una cooperativa che ha lo stesso nome dell’associazione, ma una diversa partita Iva e ad affidarne la presidenza a sua moglie, Simonetta Gatta.

La mossa è necessaria a impadronirsi della sede dell’associazione (subentrando nella concessione dell’immobile da parte del Comune) e, progressivamente, delle sue attività. Ma la Errico si mette di traverso. Trasforma a sua volta l’associazione in cooperativa, si asserraglia in viale Castrense e avvia una serie di esposti. "Nel 2006 cominciarono le minacce - ricorda Gabriella - Coltellacci mi affrontò: "Ti faccio cambiare città. E sappi che non guardo in faccia a nessuno. Né alle donne, né ai bambini"". Il marito di Gabriella, Germano De Giovanni, prova a difenderla. Coltellacci lo manda all’ospedale San Camillo.

PROVOLINO E I NAR
Il Campidoglio passa di mano. Alemanno - è il 2008 - è il nuovo sindaco. Il calvario si fa ancora più spaventoso. La cooperativa di Gabriella, nonostante si sia rassegnata a lasciare la sede di viale Castrense, è fuori dal tavolo che conta. Da quello che Buzzi chiama "il cartello" e che - come documentano gli atti dell’inchiesta - si spartisce la ricca torta degli appalti per i "richiedenti asilo" (il cosiddetto progetto "Sprar", 34 milioni di euro) e i servizi di sostegno ai senza dimora (pasti e alloggi in residence). "Nel cartello - spiega Gabriella - la parte del leone la facevano Buzzi e la sua 29Giugno. E se a lui toccava 100, al suo amico Tiziano Zuccolo, spettava 50. Mentre a tutti gli altri, le briciole". A Zuccolo (che nelle carte dell’inchiesta scopriamo in grande confidenza con Luca Odevaine) fanno infatti capo le cooperative bianche: La Cascina (Cl) e Domus Caritatis. E né Buzzi, né Zuccolo amano la concorrenza. Al punto che, quando qualcosa sfugge alle maglie del monopolio, è il Comune a mettere le cose a posto.
Accade quando Un sorriso vince il bando per la Casa dei papà, alloggi e sostegno per padri separati. E per questo Gabriella viene convocata dal Dipartimento per le politiche sociali, dove si trova di fronte un tipo che all’anagrafe si chiama Maurizio Lattarulo, ma che nel giro è meglio conosciuto come Provolino. Guarda caso, un ex Nar vicino alla Banda della Magliana (il suo nome, per dire, si guadagna 90 citazioni nella maxi ordinanza del giudice Otello Lupacchini) che la giunta Alemanno ha reinventato "consulente per le politiche sociali". "Questo provolino mi disse che non dovevo permettermi", ricorda Gabriella. Ma lei non recede. E, per questo, paga il conto. Negli anni successivi, la gara per Sos (Unità mobile di sostegno sociale) in cui riesce a vincere un lotto, viene congelata perché Buzzi ne è rimasto fuori. Ma, soprattutto, Buzzi decide che Un Sorriso non debba più neanche provarci a partecipare alle gare.
L’UOMO SOTTO CASA
"Nel 2010 - prosegue Gabriella - Coltellacci venne arrestato per una storia di stupefacenti. E pensai che l’incubo fosse finito. Invece, neppure due anni dopo, lo rividi in giro. Lo avevano messo a scontare la pena ai domiciliari presso la sede della sua coop. E tutto ricominciò come prima ". Coltellacci torna infatti ad affrontarla: "Mi sono fatto la galera per colpa tua", ringhia. E la scorsa estate diventa quella della resa dei conti.
È luglio, e Un sorriso si è azzardato a presentare una manifestazione di interesse per i servizi di guardiania e pulizia dei residence per i senza dimora. Buzzi chiama la Errico. "Mi disse: "Questa è roba nostra. Non devi metterti in mezzo". Capii la musica. E lo rassicurai: "Va bene, ritiro la mia manifestazione di interesse". Ma lui insistette e, qualche giorno dopo, mi disse che c’era una persona che doveva incontrarmi sotto casa mia. Si presentò un ragazzo giovane, i capelli lunghi, su una Fiat 500. Che mi ripeté quello che mi aveva detto Buzzi. Gli spiegai che avevo già preso un impegno a ritirarmi. E lui disse che aveva bisogno di vedermelo dire di persona. Risalii a casa sconvolta. E provai a ritirarmi. Ma un funzionario per bene del Comune mi disse che non se ne parlava neppure". Arrivarono quindi l’autunno e le notti di Tor Sapienza.

REPUBBLICA.IT
ROMA - "Su 50 mila carcerati, solo 257 per corruzione. Non è serio. Non basta lo sdegno: regole più dure domani in Consiglio dei ministri". Su Twitter, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, torna a promettere il pugno duro sulla corruzione dopo le vicende di Mafia Capitale. Le misure saranno discusse nel consiglio dei ministri convocato per domani alle 18.
In un altro tweet, Renzi ha annunciato per oggi invece riunioni su legge di Stabilità, poste, decreti: "Poi partenza per Ankara e Istanbul. Priorità a nostre aziende e situazione Libia".
L’INCHIESTA / NUOVI ARRESTI, COLLEGAMENTI CON ’NDRANGHETA
Anm: si passi ai fatti. L’Associazione nazionale magistrati chiede al governo interventi forti: "Si passi dalla retorica delle parole alla concretezza dei fatti: non vorremmo che la retorica nascondesse l’inadeguatezza dei progetti di riforma. Vogliamo passare dalla rassegnazione allo choc dell’efficienza, occorrono riforme forti". Il sindacato delle toghe osserva che l’iniziativa sulla prescrizione "sarebbe assolutamente insufficiente" se restasse quella annunciata finora; quanto alle nuove misure anticorruzione, i magistrati sottolineano che "aumentare le pene è la soluzione più facile, vi sono strade da percorrere più difficili ma che sarebbero più efficaci".
Un punto, quest’ultimo, sul quale ribatte il ministro dell’Interno Angelino Alfano: "Occhio sui temi della
prescrizione, perchè se ci sono dei giudici lumaca, non possono scaricare sul cittadino indagato la loro lentezza. Bisogna sempre bilanciare questi due argomenti e comunque al consiglio dei ministri di domani, credo ci sarà un accordo a cui si sta lavorando".
Orlando: "Toghe indichino priorità". Il ministro della Giustizia rivolge invece un appello ai magistrati "Si stanno facendo delle riforme, l’Anm ha tutta la possibilità, in un confronto che non è mai venuto meno, di indicare gli interventi che ritiene prioritari". Poi un appunto: "La forma della comunicazione credo porti un pò ad una semplificazione eccessiva dei temi - evidenzia Orlando - come ha spesso ricordato l’Anm. Questo vale anche quando l’Anm segue questa forma". Poi precisa: "L’obiettivo sulla modulazione delle pene è soprattutto quello di garantire che l’utilizzo anche di riti alternativi non comporti l’esclusione della pena detentiva. Quanto alla prescrizione, non inventiamo nulla, c’è un testo che è stato licenziato il 29 d’agosto. Poi ci sono vari testi dei gruppi parlamentari. Su questa base si comincerà a discutere il 16 dicembre in commissione alla Camera".
Le misure. Renzi aveva anticipato in un videomessaggio due giorni fa la stretta sulla corruzione. Nel merito, le modifiche prevederanno l’allungamento del periodo di prescrizione per i reati di corruzione e l’aumento della pena minima da quattro a sei anni. Inoltre sarà reso "molto più semplice procedere alla confisca dei beni chi ha rubato ed è condannato con sentenza passata in giudicato". E "si dovrà restituire il maltolto fino all’ultimo centesimo se è provata la corruzione".

ILFATTO
Per i reati di corruzione pene più alte, prescrizione più lunga, confische più facili, più garanzie sulla restituzione integrale “del maltolto”. Sull’onda dello scandalo Mafia capitale, Matteo Renzi annuncia in un videomessaggio sul canale Youtube di Palazzo Chigi una repentina svolta anti-tangenti. Promettendo in sostanza un blitz su temi che giacciono da mesi in Parlamento e sui cui il centrodestra, Ncd in testa, si è sempre dimostrato pronto a erigere barricate. “Giovedì, insieme al ministro della Giustizia Andrea Orlando, nel Cdm che si terrà alle 8 di mattina noi porteremo quattro piccole grandi modifiche al nostro codice penale”, spiega il premier. “Si alza la pena minima della corruzione da 4 a 6 anni”, annuncia. “Che significa? Che se tu hai rubato puoi patteggiare – spiega il presidente del Consiglio – ma comunque un po’ di carcere lo fai. Non è pensabile che con il patteggiamento uno sta sempre fuori dalla galera”.
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Perché, ed è il punto di partenza dell’intervento del presidente del consiglio, “in Italia su una popolazione carceraria di circa 50mila persone, in carcere per corruzione con sentenza passata in giudicato sono in 257. E’ inaccettabile: troppo poco rispetto ai numeri della corruzione nel nostro Paese”. Quando “uno che ruba può patteggiare e trovare la carta ‘uscire gratis di prigione’ come al Monopoli”, ironizza il premier, è di nuovo “inaccettabile”. Per la verità il pur esiguo dato citato da Renzi è esagerato. Secondo il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, raccolto da l’Espresso, a novembre 2013 i detenuti per corruzione erano soltanto 11. Per avvicinarsi alla cifra citata dal presidente del Consiglio bisogna aggiungere i condannati per tutti i reati contro la Pubblica amministrazione: concussione, peculato, abuso d’ufficio, abuso d’ufficio aggravato…
AI CORROTTI CONFISCHE PIU’ FACILI. Parallelamente, Renzi parla di una “prescrizione che si allunga per i reati di corruzione”. L’altra novità annunciata è la confisca dei beni per corruzione e la restituzione del maltolto “fino all’ultimo centesimo”. Il premier promette infatti che “sarà molto più semplice procedere alla confisca contro chi ha rubato. Chi è condannato per corruzione con sentenza passato in giudicato – ha spiegato il premier – potrà vedere la confisca dei propri beni esattamente come accade oggi per reati più gravi”. E “il maltolto lo devi restituire: non è che ne dai una parte e chi si è visto si è visto. Se è provata la corruzione tu restituisci fino all’ultimo centesimo”. Sul fronte delle confische, Renzi si ispira a una relazione della Commissione parlamentare antimafia del 22 ottobre che propone una “revisione organica” delle leggi anti-clan. E introduce un comma specifico che prevede la confisca dei beni ai colpevoli di reati contro la pubblica amministrazione. Una misura già possibile nell’attuale ordinamente, ma che con la nuova formulazione risulterebbe più incisiva.
TOTI (FI): “GIUSTIZIALISMO”. MA DALL’NCD SI APRONO SPIRAGLI. “Alzare la voce e alzare le pene è giustizialismo senza responsabilità”, twitta Giovanni Toti di Forza Italia. “#Marino a casa, i cittadini al voto a #Roma”. Ma al momento dall’Ncd, alleato di governo di Renzi ma allo stesso tempo strenuo oppositore di ogni inasprimento legislativo sui reati dei colletti bianchi, arrivano persino delle aperture. “Ai corrotti, ai politici che rubano vanno confiscati i beni, alla stessa stregua dei reati più gravi”, dichiara Dorina Bianchi, vicecapogruppo degli alfaniani alla Camera”. E Rosanna Scopelliti (figlia del giudice ucciso da Cosa nostra), coordinatrice del Comitato beni confiscati presso la Commissione parlamentare Antimafia, esprime “grande soddisfazione” per l’annuncio: “Sembra che finalmente il governo abbia ingranato la marcia giusta con tre norme, in particolare, che potranno incidere in modo determinante come deterrente per i corruttori e i corrotti nella pubblica amministrazione”. Si vedrà da qui a giovedì quale sarà l’atteggiamento di Angelino Alfano, soprattutto su prescrizione e inasprimento delle pene.
CANTONE: “UTILE NORMA SU PRESCRIZIONE”. Il blitz (al momento solo annunciato) di Renzi è accolto con favore da Raffaele Cantone, citato nel video del premier come fiore all’occhiello dell’azione anti-tangenti del governo: “Credo che la norma sulla prescrizione sia molto utile”, commenta a Otto e mezzo su La7 il presidente dell’Anac, che in una recente intervista a ilfattoquotidiano.it ricordava come l’azione dell’Autorità non possa essere sufficiente senza un’adeguata repressione penale. Cantone ha ricordato come “la riforma del 2005 (la famigerata ex Cirielli, ndr) aveva dimezzato i tempi di prescrizione, incidendo soprattutto sui reati contro la pubblica amministrazione”. Secondo il magistrato, però, “non è tanto importante l’aumento delle pene carcerarie, ma l’intervento sui patrimoni”. E l’estensione della norme sulle intercettazioni previste per la criminalità organizzata ai reati di corruzione.
Cantone, però, dà mostra di conoscere la Realpolitik. Tra le norme utili per contrastare la corruzione elenca meccanismi per incentivare le denunce, concedere super-attenuanti a chi confessa entro certi termini. “Qualche volta ne ho parlato con Matteo Renzi, ma le norme devi farle approvare in Parlamento, in cui esistono sensibilità diverse”. Per esempio, ha ricordato Cantone, “tempo fa avevo parlato dell’ipotesi di permettere l’intervento di agenti provocatori, di infiltrati, come avviene negli Usa, ma un politico (Maurizio Gasparri di Forza Italia, ndr) mi definì Pol Pot, sono stato considerato un liberticida”

BRUNO TINTI SUL FATTO DEL 20 APRILE 2012
Le pene che i tribunali italiani infliggono sono finte. Sei mesi sono 6. 840 euro di multa. Due anni (se l’imputato è incensurato) non sono niente perché c’è la sospensione condizionale.

Se non la si può più avere (perché si è un delinquente conclamato) c’è la semidetenzione: si è liberi, ma di notte si va a dormire in prigione. Tre anni significano affidamento in prova al servizio sociale e 4 anni di detenzione domiciliare: si sta a casa propria o dovunque si voglia, basta comunicarlo alla Polizia. La legge Gozzini sconta 3 mesi per ogni anno di prigione: quindi 8 anni in realtà sono 6, 10 sono 7 e mezzo e via così. Poi ci sono i permessi premio, 45 giorni all’anno. E quando mancano “solo” 4 o 3 anni, scattano comunque detenzione domiciliare e affidamento in prova sicché in galera non ci si sta più. Insomma 15 anni di prigione sono in realtà meno di 7. Se poi arriva un condono se ne levano in genere altri 3. Tutto questo per dire che le pene previste dalla riforma governativa sulla corruzione sembrano alte (nei massimi) ma in concreto sono ridicole.
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A parte la concussione con violenza (da 6 a 12 anni), la pena per la corruzione va da 3 a 7 e quella per la corruzione in atti giudiziari da 4 a 10; la nuova concussione per induzione va da 3 a 8 per il pubblico ufficiale e fino a 3 per chi lo paga. Il tanto strombazzato traffico di influenze (che è la forma più attuale di corruzione, vi ricordate i ginecologi Udeur?) prevede pene da 1 a 3 anni. E poi i massimi di pena non vengono inflitti mai; e dunque il tempo concretamente passato dietro le sbarre finisce con l’essere di pochi mesi, magari pochi giorni (Previti docet). Sicché la riforma avrebbe dovuto tener conto di tutto ciò e aumentare le pene senza patemi. Niente trattamenti inumani, insomma; quanto bastava per spiegare al condannato e alla collettività che corruzione e concussione non pagano: meglio astenersi. Ma c’è di molto peggio.

Come tutti sanno, in Italia c’è la tagliola della prescrizione; dopo un certo tempo, anche se l’imputato è sotterrato dalle prove, tocca dirgli: non ce l’abbiamo fatta, il reato è prescritto; vattene in pace. Per i reati di concussione e corruzione il termine di prescrizione è particolarmente importante. Perché li si scopre a distanza di anni da quando sono stati commessi. Un corruttore incazzato che, dopo aver pagato, non riceve quello che gli era stato promesso; una moglie tradita; una faida politica; un bilancio fasullo; documentazione acquisita per tutt’altro, dalle cui pieghe emergono pagamenti illeciti; intercettazioni disposte per altri processi da cui saltan fuori vecchie corruzioni. Insomma, quando si comincia a indagare, sono sempre passati 3, 4, 5 anni. Il processo Mills insegna; ma sono tutti così.

Allora, se a termini di prescrizione da 7 anni e mezzo a 12 (fatta eccezione per la forma più grave di concussione, questi sono i termini applicabili per legge ai “nuovi” reati di concussione e corruzione) si toglie il tempo morto, quello in cui nessuno indaga perché nessuno sa, si capisce che quello che resta è troppo poco per arrivare a sentenza di condanna. Ogni anno politici e giudici, concordi, spiegano che la durata media dei processi penali (media; quelli difficili durano di più, ovviamente) è di 8 anni. Anche nel caso di prescrizione più lunga, quella a 12 anni, ne restano in concreto solo 8. Non bastano; e comunque tutti gli altri reati si prescrivono di sicuro.