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 2014  dicembre 11 Giovedì calendario

IN GRECIA LO SPAURACCHIO DI TSIPRAS È SOLO UN PRETESTO, LA PARTITA VERA È TRA BANCHIERI-GANGSTERS E DEMOCRAZIA

Per come viene presentato dai giornaloni, la crisi della Grecia spinge l’opinione pubblica europea a scegliere tra due corni: la Troika (Fmi, Ue, Bce) e il governo conservatore di Antonis Samaras da una parte, contro il leader della sinistra greca Alexis Tsipras dall’altra. In altre parole, o la continuazione della feroce politica di austerità imposta dalla Troika e benedetta dalla Germania della signora Angela Merkel, oppure la politica anti-rigore di Tsipras, che in caso di elezioni politiche anticipate viene dato per probabile vincitore. Un’ipotesi, quest’ultima, per ora soltanto teorica, ma sufficiente perché i mercati finanziari abbiano immediatamente gridato «al lupo, al lupo!», con un ribasso record delle Borse europee.
Il messaggio politico che ne discende è come un razzo a testata multipla, per colpire più bersagli. Il primo, ovviamente, è per l’elettore greco: votando Sipras, vuoi davvero sprecare cinque anni di sacrifici già fatti, e ricominciare da capo, con sacrifici ancora più duri se mai la Grecia dovesse uscire dall’euro? Il secondo messaggio è per gli altri Paesi dell’eurozona con un debito sovrano elevato, primo fra tutti l’Italia, e suona così: cari italiani, se non la smettete di invocare più flessibilità, come fa il premier Matteo Renzi, anche voi farete la fine della Grecia.
Una minaccia sempre più insistente (come ha confermato ieri il presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker), che però, se si va alla radice, nasconde il vero dilemma di fondo. Questo: con chi vogliamo stare? Dalla parte dei banchieri-gangsters, oppure dentro le regole della democrazia? Lungi da noi l’idea di fare i paladini di Tsipras. Se al suo posto, come oppositore, ci fosse un leader di destra, non farebbe alcuna differenza sul piano delle regole democratiche. Regole che Tsipras, piaccia o meno, sta rispettando. Mentre i banksters, insieme ai leaders politici che li hanno assecondati e coperti, ne hanno fatto strame. E qui veniamo al punto.
La crisi economica mondiale iniziata nel 2007 ha avuto origine nelle folli speculazioni finanziarie sui mutui subprime e sui derivati da parte delle banche «too big to fail» (troppo grandi per fallire), ma anche «too big to jail» (troppo grandi per finire in galera). Nel suo libro «Banchieri, storie del nuovo banditismo globale» (Mondadori), Federico Rampini ne ha descritto così i metodi: «I banchieri, comportandosi come veri banditi del Far West, si assumevano rischi altissimi, e tuttavia lo facevano con la quasi certezza dell’impunità. Nessun bandito nella storia ha potuto infliggere tanti danni alla collettività quanti ne hanno fatti i banksters». Eppure i banchieri-gangsters l’hanno sempre fatta franca, perché «hanno convinto le classi dirigenti del mondo intero che la loro funzione è essenziale per il buon andamento dell’economi, anche quando la dimensione speculativa delle loro azioni è evidente».
Nell’eurozona, i banksters sono riusciti a compiere il loro capolavoro di banditismo finanziario: socializzare le perdite bancarie attraverso la crisi dei debiti sovrani, provocata ad arte. Il tutto, dietro il paravento di una politica complice, chiamata politica di austerità. La crisi dell’eurozona, in fondo, è tutta qui: quando alcuni colossi bancari europei, in primo luogo tedeschi e francesi, hanno rischiato di fare crack, l’Unione europea, la Bce e il Fmi (la Troika) sono intervenuti per salvarli, usando risorse (cioè tasse) degli Stati sovrani, fatte confluire nell’Esm, il cosiddetto Fondo salva-Stati, in realtà salva-banche. I Paesi più deboli e indebitati, anche per alimentare questo fondo, si sono dovuti svenare e assoggettare a una feroce politica di austerità, che in Europa ha provocato 25 milioni di disoccupati, mentre i banksters non hanno pagato nulla. Anzi.
La Grecia ha fatto da cavia. Secondo i dati più recenti della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), nel 2009 le banche tedesche avevano accumulato esposizioni rischiose verso i Paesi periferici dell’eurozona (Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna) per 704 miliardi di dollari, somma superiore al loro capitale sociale. Grazie ai successivi piani di salvataggio europei, le banche tedesche hanno potuto recuperare metà dei crediti a rischio (353 miliardi), gran parte dei quali proprio dalla Grecia, il tutto in soli tre anni (dal 2009 al 2011). Sempre secondo la Bri, dal 2009 la Grecia ha ottenuto 340 miliardi di prestiti ufficiali per ricapitalizzare le banche, restituire i prestiti stranieri, e aiutare il governo a sbarcare il lunario. Ma solo 15 miliardi di questi aiuti sono stati sborsati dalla Germania, che di fatto è riuscita a mettere in sicurezza i conti dei suoi banksters, facendone pagare il conto alla Grecia e agli altri Paesi dell’eurozona, Italia compresa.
Non stupisce quindi che in Germania, tra i banchieri, si stia facendo strada perfino l’ipotesi di tollerare che la Grecia esca dall’euro, complice un’eventuale vittoria di Tsipras. In fondo, in questa partita, hanno già vinto loro, i banksters. Mentre la democrazia, ridotta a una finzione, ha perso.
Tino Oldani, ItaliaOggi 11/12/2014