Cesare Maffi, ItaliaOggi 11/12/2014, 11 dicembre 2014
COME ARRIVARE ALLO SCIOGLIMENTO
La strada imboccata istituzionalmente per rispondere alle sollecitazioni volte a sciogliere gli organi di Roma Capitale è stata additata come una soluzione nuova o quasi, un piano ideato per l’occasione, un sistema studiato ad hoc. Per la verità, invece, tutto è indicato nell’articolo 143 del testo unico sugli enti locali (decreto legislativo n. 267 del 2000), che dispone sullo «scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare».
Quando «emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori» spetta al prefetto indagare. Come? «Di norma», stabilisce la legge, «promuovendo l’accesso presso l’ente interessato», tramite «una commissione d’indagine», di tre funzionari pubblici, «attraverso la quale esercita i poteri di accesso e di accertamento di cui è titolare per delega» del titolare dell’Interno. È esattamente quanto finora avvenuto, come emerso dai comunicati ufficiali.
E in futuro? La commissione dovrà terminare gli accertamenti «entro tre mesi dalla data di accesso, rinnovabili una volta per un ulteriore periodo massimo di tre mesi», consegnando poi le conclusioni. Non vi sono specifiche indicazioni sui contenuti degli accertamenti: la pluriennale esperienza di tante commissioni d’accesso indica che si esaminano delibere, appalti, concorsi, e altresì relazioni con pregiudicati, analizzando sovente rapporti di parentela che legano singoli amministratori a fornitori di servizi o a persone che ricevano utilità dall’amministrazione. Va tenuto presente che una larga maggioranza degli elementi oggetto della relazione d’accesso non deriva da provvedimenti della magistratura.
Terminati gli accertamenti della commissione e consegnate le conclusioni, il prefetto avrà quarantacinque giorni per sentire il comitato provinciale per l’ordine pubblico (integrato col procuratore della Repubblica) e inviare infine una relazione al Viminale. Successivamente, l’eventuale scioglimento sarebbe «disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno, previa deliberazione del Consiglio dei ministri entro tre mesi dalla trasmissione della relazione». Finora, quindi, il percorso seguito è pari pari quello di altre centinaia di casi.
Ovviamente, l’eccezione è costituita dall’ente locale, così peculiare da non essere nemmeno denominato comune (infatti da oltre quattro anni si chiama Roma Capitale e non più comune di Roma). Anche per questo rilievo dell’amministrazione, uno scioglimento per infiltrazioni mafiose apparirebbe intollerabile. Ecco che viene dato per scontato che, qualora la relazione finale della commissione prefettizia (è verosimile che, stante la mole delle indagini, i secondi tre mesi siano tutti richiesti e concessi, e quindi si giunga all’estate prossima) suoni negativa, il sindaco presenti le dimissioni. Si eviterebbe, così, l’onta. Siamo, però, nelle ipotesi operanti sul piano politico, che mirano al precipuo scopo di limitare il danno.
Cesare Maffi, ItaliaOggi 11/12/2014