VARIE 10/12/2014, 10 dicembre 2014
APPUNTI PER GAZZETTA - NOI E L’EUROPA
HUFFINGTON
Le intenzioni erano buone, la messa in pratica un po’ meno. Dei 26 miliardi di euro che le banche italiane hanno preso in prestito dalla Banca Centrale Europea a settembre, due terzi sono stati investiti per l’acquisto di Buoni poliennali del Tesoro. Quindi solo 8 miliardi sono stati effettivamente utilizzati per i prestiti alle imprese, e quindi introdotti nell’economia reale del Paese. Secondo quanto riferisce la Banca d’Italia, gli istituti di credito italiani hanno investito ad ottobre 18,4 miliardi di euro in BTp, portando gli asset governativi al livello mai raggiunto prima di 414,3 miliardi di euro. I nuovi acquisti in Btp, in sostanza, consistono nei due terzi di quei 26 miliardi di euro che le banche hanno preso dalla Banca centrale europea nell’asta Tltro del settembre scorso.
I prestiti Tltro si differenziano dai prestiti Ltro proprio per quella T, che sta per "targeted" ovvero vincolati a un uso specifico: il sostegno alle imprese non finianziarie, senza troppi margini di discrezionalità. I soldi arrivati da Francoforte hanno quindi contribuito a sostenere il debito pubblico dell’Italia. Come scrive il Sole 24 Ore, questa operazione "per le banche ha rappresentato una sorte di “carry trade” (debito a tassi bassi e investimenti a tassi più alti) utile a dare linfa ai conti degli istituti di credito italiani (tra i più penalizzati a livello continentale, dagli stress test della stessa Bce): quasi mezzo miliardo di euro di rendimenti, incassati complessivamente da tutti gli istituti con l’operazione Tltro di settembre". L’aspetto positivo è la tenuta di uno spread a livelli molto bassi: il Tesoro pagherà quindi interessi più bassi sul debito pubblico del nostro Paese.
REPUBBLICA.IT
MILANO - Se l’Italia e la Francia non procederanno con le riforme annunciate si arriverà "a un inasprimento della procedura sul deficit". E "se alle parole non seguiranno i fatti, per questi Paesi non sarà piacevole". Lo ha detto il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, intervistato dal quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, parlando quindi a una platea in Germania e mostrando il pugno di ferro.
Il neo presidente ha comunque gettato un ponte verso Roma e Parigi, prendendo le loro difese, mostrando apprezzamento per il percorso intrapreso e in questo senso cercando di smorzare la posizione dei falchi di Berlino: "Dovremmo dare fiducia agli italiani e ai francesi. E poi vedremo, proprio a marzo, come sarà andata. I governi ci hanno garantito che faranno quanto annunciato", ha aggiunto alla Faz. "Per me si tratta ora di sostituire un diktat immediato con una fiducia a lungo termine", ha aggiunto Juncker per marcare un cambio di passo rispetto ai predecessori. "Si tratta - ha chiosato - di una sana comprensione tra persone". Per Juncker, la situazione di dialogo attuale "è meglio, rispetto alla possibilità di imporre prescrizioni senza che poi succeda nulla".
A queste indicazioni, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, risponde: "Interpreto le parole di Juncker come una cosa che già sappiamo e sulla quale ci siamo già impegnati: l’Italia sta facendo enormi sforzi per le riforme strutturali i cui risultati cominciano ad arrivare e questo è un elemento di valutazione positiva da parte della Commissione europea".
Il richiamo arriva all’indomani delle riunioni di Bruxelles con i ministri delle Finanze: l’Eurogruppo ha espresso apprezzamento per i programmi dell’Italia, chiesto che alle parole seguano i fatti e che si attuino misure efficaci per centrare l’obiettivo di riduzione del deficit strutturale. Proprio sulla necessità di spingere sul pedale della crescita, però, è tornato a insistere il premier Matteo Renzi, che ha incontrato la direttrice del Fondo monetario internazionale (Fmi), Christine Lagarde. "Se perfino il Fmi, che non è esattamente una sezione del Partito Comunista a Washington, chiede all’Europa di investire sulla crescita, qualche domanda i partner Ue dovranno pure cominciare a farsela", avrebbe commentato il premier ai suoi consiglieri economici dopo la visita.
Al centro del colloquio, secondo quanto riferiscono fonti di Palazzo Chigi, l’agenda per la crescita e gli investimenti in Europa; tema centrale nella strategia di alleanze e network che il premier sta tessendo attorno all’approccio ’pro-growth’ - a favore della crescita - che ha contraddistinto la presidenza italiana dell’Unione e le indicazioni maturate anche dal G20 di Brisbane (dove era presente Lagarde).
Sull’importanza delle riforme è intervenuto anche Jyrki Katainen, il vicepresidente della Commissione Ue con le deleghe a Crescita e Competitività, secondo il quale da solo il Piano Juncker di invesitmenti non basta, "servono le riforme oppure tutto sarà inutile. Se restano ostacoli burocratici agli investimenti privati, se l’amministrazione è lenta, se ci sono incognite non finanziarie, il nuovo fondo Efsi potrà far poco". In un’intervista alla Stampa ha spiegato che vanno rimosse le barriere e gli Stati devono far ordine in casa. "La risposta non è nel creare nuovo debito - dice in un’intervista alla Stampa - ma nel focalizzarci sulle riforme che servono a stimolare la ripresa".