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 2014  dicembre 07 Domenica calendario

EROI DEL CATTIVO UMORE

Il libro di Starobinski sulla malinconia è uscito in una collana di saggistica letteraria e linguistica. Potrebbe sfuggire a chi ad esso sarebbe interessato non solo per curiosità culturale, ma per professione ed esperienza: medici internisti e neurologi, psichiatri, psicologi e psicoanalisti, pediatri e gerontologi, storici della medicina e della scienza, studiosi di piante medicinali, educatori, medici legali, giuristi, sacerdoti. Nonostante l’argomento, il libro delizia chi ama la letteratura, perché molti esempi di esistenze tristi, malinconiche o tragiche seguono le tracce della letteratura di tutti i tempi e di molte culture. Esso è l’analisi di un aspetto inevitaè della vita, e cioè della tristezza, da quella fuggevole e occasionale per eventi passeggeri a quella cupa e rovinosa che insorge senza cause apparenti dalla profondità della natura individuale.
La vita si svolge fra la leggerezza della serenità e della soddisfazione e la pesantezza della malinconia. Quando tristezza e paura durano a lungo, ammoniva Ippocrate, si tratta di qualcosa di molto serio, cioè della malinconia. Il libro di Starobinski è la storia di come quest’oscillazione dello stato d’animo, del temperamento e del comportamento, determinante nella condotta della vita, è stata interpretata e curata dall’antichità fino alla fine del XIX secolo. È una trama di storia della cultura studiata e raccontata in modo magistrale. Il ginevrino Jean Starobinski, laureato in lettere classiche e in letteratura francese, è stato, dal 1958 fino alla pensione, docente di storia delle idee all’Università di Ginevra. È anche medico e psichiatra con lunga pratica ospedaliera a Ginevra, Losanna e all’università Johns Hopkins di Baltimora. Il suo insegnamento, con un alone di leggenda nelle università svizzere e francesi, concerneva la letteratura, la filosofia e la psicopatologia. La malinconia (o melanconia) non è stata solo la malattia oggi chiamata depressione endogena, cioè senza motivo apparente, che comprende un territorio molto meno ampio della malinconia del passato. La malinconia era ed è lo stato d’animo doloroso di quando si stenta a sentire e capire, anche se fuggevolmente, il senso della vita. Essa insorge nei momenti di nostalgia, di sconforto, di separazioni e abbandoni, di rimpianti e rimproveri, di solitudine, di ricordi di momenti sereni o felici, o quando ci si sente, per destino o avventatezza, nelle condizioni esistenziali limite di cui parla il filosofo Karl Jaspers. Da esse non si vede come uscire fin quando non si ritrova la forza e la volontà di tentare. La Chiesa, nel Medioevo, considerava la malinconia una manifestazione d’accidia e neghittosità, cioè un vizio, conseguenza del peccato originale. Nella forma penetrante, a volte ossessiva e pericolosa della depressione endogena, la malinconia è la condizione di chi sente nella vita (e nell’universo) il ripetersi inesorabile di assurdità e insensatezze. Umberto Curi ha tracciato la storia, da Eschilo a Nietzsche, dell’atteggiamento (razionale e affettivo) di considerare la vita una condizione accidentale, non voluta, sgradevole e insensata, dalla quale sarebbe bene uscire quanto prima. Esso però non porta necessariamente al suicidio, ma condiziona la vita nel senso di dubitare del suo significato e di toglierle rispetto e gioia. Accettare la vita nei suoi aspetti dolorosi e insensati è il cuore del sentimento tragico (Meglio non essere nati, Bollati Boringhieri Torino 2008).
Dalla medicina d’Ippocrate fino al Settecento la tristezza senza motivo, la paura di ogni cosa, il pessimismo di principio, l’ansia continua e condizioni che in seguito saranno diagnosticate come schizofrenia e paranoia, erano considerate la conseguenza dell’umor nero corrotto. Starobinski riassume con maestria i molti testi rilevanti e autorevoli di oltre due millenni. Alcuni, come la Anatomy of Melancholy di Robert Burton del 1621, furono tradotti in molte lingue ed ebbero per decenni diffusioni enormi. La malinconia è dovuta alla preponderanza di uno dei quattro umori (sangue, flemma, bile gialla e bile nera), il cui equilibrio, per quanto instabile, è la condizione della buona salute. La bile nera (o umor nero) è indispensabile per la crasi dello stato di salute. Da qui l’inevitabilità della tristezza e della malinconia, quantomeno transitorie.
Per secoli il medicamento indispensabile per contrastare la bile nera in eccesso fu l’estratto delle radici dell’Helleborus niger o viridis, che in realtà non provocava altro che vomito e diarrea. Inoltre gli estratti di mandragora, già raccomandati da Ippocrate con l’ammonimento di usarli con cautela per gli sgradevoli e pericolosi effetti secondari e afrodisiaci. Poi mele sotto i cuscini per dormire meglio, papaveri e inalazioni di estratti d’erbe, bagni freddi, diete, lassativi, salassi o perdite di sangue da provocare con il ripristino delle mestruazioni o con flussi emorroidali, l’esercizio fisico, da soli o in comunità. La Chiesa, alle prese con la malinconia degli eremiti e dei monaci, consigliava o imponeva il lavoro fisico. Gli eremiti si dedicarono a lungo, ad esempio, ad intrecciare panieri di vimini. La musica, da sentire o ancor meglio da fare, accompagna l’intera storia della malinconia. Marsilio Ficino, per il quale tutti gli artisti, sotto l’influsso di Saturno, sono malinconici, riteneva che l’aria fatta vibrare dai suoni si assottigliasse ed eccitasse così lo spirito che è in noi, acquietandone la natura tormentata. Oggi la musicoterapia è studiata e praticata nel trattamento delle depressioni. Tramontata la concezione del sopravvento dell’umor nero, che tutto spiegava, la psichiatria si è premurata, a partire dall’800, di descrizioni fenomenologiche rigorose delle condizioni melanconiche, cercando lesioni cerebrali specifiche, senza azzardare ipotesi sulle cause. L’identificazione odierna di psicologia e biologia non lascia dubbi che la malinconia e la depressione siano dovute ad alterazioni del parenchima e del funzionamento del cervello. Lo confermano i molti casi ereditari e l’esperienza che le uniche forme curabili di depressione, non nel senso della causa ma solo dei sintomi, sono quelle che rispondono alla farmacoterapia, cioè ad un’azione chimica sul cervello. A paragone delle fantasiose e pittoresche cure del passato, oggi la terapia, dice Starobinski, è più modesta (gocce e compresse) perché solamente sintomatica. Provvedimenti di carattere sociale e intellettuale (colloqui, musica, disegno, ginnastica, lavoro ed altri) sono considerati opportuni coadiuvanti. Il libro è una guida della traversia concettuale di una condizione ineliminabile della vita. Per oltre duemila anni si è creduto di sapere quale ne fosse la causa e come la si doveva evitare o curare quando diventava pesante. Come di regola allora, ma spesso ancora oggi, il fatto che le cure non sortissero alcun risultato non bastava per dubitare della loro efficacia. Oggi sappiamo che malinconia e depressione sono la conseguenza di un’alterazione organica (non di rado congenita o ereditaria) del cervello. Le alterazioni specifiche, cioè le cause, sono ignote.
ajb@bluewin.ch
Arnaldo Benini, Domenica –Il Sole 24 Ore 7/12/2014