Angelo Guglielmi, TuttoLibri – La Stampa 6/12/2014, 6 dicembre 2014
PUTTANE E CANOTTAGGIO? ROVINANO LO SCRITTORE
Intanto, il titolo. Flaubert rimprovera il giovane Maupassant – lo scrittore che più stimava - di perdersi in Troppe puttane! Troppo canottaggio!, anziché scrivere coltivando il suo vero talento. Quella volta il rimprovero è stato ascoltato, e per fortuna, se pensiamo che Maupassant, che muore a quarant’anni, riesce in così pochi anni a lasciare una poderosa eredità di romanzi e fantastici racconti. Ma noi sappiamo per esperienza, mai smentita, che rimproveri e ammonimenti non sono che bolle che scoppiano al contatto dell’aria. Allora è inutile questa straordinaria antologia che fornisce «consigli ai giovani autori dai maestri della letteratura francese», come dire, da Balzac a Proust? No, è utilissima invece, e ringraziamo il geniale curatore Filippo D’Angelo di avercela proposta. È utilissima non solo perché ci restituisce il piacere di rileggere (o meglio, di leggere) autori indimenticabili (che sono ancora oggi parte della migliore letteratura universale), ma anche perché ci permette di entrare nel dibattito (con in più autorevoli prove di fatto) che oggi dilania i giovani scrittori italiani sul concetto di realismo e di «realtà».
Oggi, e da qualche tempo, tra i nostri più o meno giovani scrittori si parla di ritorno alla realtà come di una necessità non rinviabile, in cui è implicito il convincimento che gli scrittori che li hanno preceduti l’avevano trascurata. Come si fa a pensare che possa esistere uno scrittore, di mille anni fa o di oggi, che non si sia confrontato con la realtà, che non consideri la realtà il riferimento capitale dei suoi pensieri, fantasie e immaginazioni? La questione è sapere se la realtà coincide (si identifica) con gli accidenti ed eventi che via via accadono (e che non fanno in tempo di accadere per scomparire), o è altro (altra cosa) dalla trama degli aneddoti in cui la realtà ogni volta si presenta. A questa questione-domanda, per rassicurare i nostri interlocutori (critici e scrittori), chi meglio può rispondere se non il più noto (e spesso denigrato per la sua fede nella realtà) scrittore realista francese dell’800, e cioè Emile Zola?
Scrive Zola che tra lo scrittore e la realtà vi è sempre «uno schermo», e questo «schermo (anche la lastra di vetro molto sottile, molto chiara dello scrittore realista) non può dare immagini reali». «La realtà dell’esperienza è impossibile in un’opera d’arte. Si è soliti dire che un soggetto è svilito o idealizzato. In fondo, si tratta della stessa cosa. Vi è una deformazione di quel che esiste. Vi è menzogna» (sembra sentir parlare Giorgio Manganelli). E di rincalzo Maupassant, l’altro francese cresciuto in ambito positivista: «La cosa più insignificante contiene un po’ di ignoto. Troviamolo». E che dire di Baudelaire, che esalta la dimensione visionaria e demiurgica della Comedie Humaine, opera che, commenta il curatore, «meno ambisce a rappresentare la realtà di quanto non voglia sostituirsi a essa»? E il grande Flaubert – il maestro del realismo francese dell’800 - non conclude forse la sua carriera di geniale autore con lo «scemenziario» di Bouvard e Pécuchet?
Allora, giovani scrittori italiani, il consiglio è: leggete l’antologia superbamente organizzata da D’Angelo e forse vi risulterà chiaro che l’arte non c’entra nulla con il ritorno alla realtà, ma con la capacità di scoprirne ciò che è nascosto («l’ignoto» maupassantiano). La questione è piuttosto, nella realtà inaffidabile in cui viviamo, approntare lo schermo che meglio sappia centrare quel «nascosto». E anche in questo Flaubert (il grande realista) può esserci d’aiuto, come già aiutò Joyce a scrivere l’Ulisses e Gadda il Pasticciaccio, avvertendo loro che per non tradire la realtà occorreva strapparle di dosso il velo di sacralità che la nascondeva e la faceva bugiarda.
Angelo Guglielmi, TuttoLibri – La Stampa 6/12/2014