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 2014  dicembre 06 Sabato calendario

CASA KING: LA PAURA È IL NOSTRO BUSINESS

Era lui il bambino con la «luccicanza» che pedalava in triciclo fino alla stanza 237 dell’Overlook Hotel e vedeva orrori dimenticati. Suo padre, Stephen King, ebbe la prima idea di Shining nel 1974, in un albergo in cui era finito per caso insieme alla moglie Tabitha: quella notte sognò il figlio di tre anni, Joseph Hillstrom, correre terrorizzato per i corridoi deserti. Forse Joe Hill non vede davvero le anime dei morti assassinati, ma di sicuro la «luccicanza» non gli manca, come dimostrano i romanzi che scrive, oscure storie di morte, diavolo e sovrannaturale, e come ha stabilito definitivamente suo padre nella dedica alla riedizione di The Shining: «This is for Joe Hill King, who shines on».
Che il destino di Joe - come quello del fratello minore Owen, peraltro - fosse la scrittura «non è poi una scelta così originale - dice lui sorridendo. - Tornavamo a casa e i nostri genitori stavano scrivendo, a cena le conversazioni giravano sempre intorno ai libri, dopo cena nessuno guardava la tv ma leggevamo qualcosa ad alta voce, passandoci il libro l’uno con l’altro. Oppure giocavamo a trovare l’incipit migliore per una certa storia. Lo so, sembra una cosa fuori moda, un po’ vittoriana, ma i libri condivisi creano un legame che non si crea davanti a un video. Eravamo una famiglia drogata di lettura ed eravamo felici, e quando vedi i tuoi genitori felici di quel che fanno pensi “Forse potrei farlo anche io”. Non so se il talento sia una questione ereditaria, so che raccontare storie è una forma di artigianato, e si può imparare in famiglia a maneggiare gli strumenti del mestiere».
Naturalmente c’è anche un prezzo da pagare, per essere cresciuti all’ombra del «signore oscuro» Stephen King, nella sua magione neogotica nel Maine. «Tutta la mia vita - ammette Joe Hill - è una lotta per venire a patti con il fatto che sono uno scrittore di horror e mio padre è “Lo” scrittore di horror. Sono molto fiero di lui, lo amo ed è uno dei miei migliori amici. Amo i suoi libri: la gran parte di quel che scrivo l’ho imparato leggendoli. Ma è una figura talmente ingombrante che è difficile ritagliarti uno spazio tuo». La sua più grande paura era che i suoi libri venissero pubblicati solo in quanto «figlio di»: «Ero insicuro, temevo che gli editori mi considerassero solo una fonte di guadagno facile. E i lettori non si fanno fregare, magari comprano il tuo libro per curiosità, ma se non è buono sei finito. D’altra parte ogni artista affronta delle sfide per forgiare la propria identità. È stato più facile per Owen, perchè lui non scrive horror, il confronto era meno diretto». E se l’Edipo di Owen lo ha portato a sposare un’autrice di thriller, quello di Joe gli ha fatto cambiare nome. «Ho scritto dozzine di storie che non hanno mai visto la luce, fino al primo romanzo che finalmente è stato accettato».
Dopo che La scatola a forma di cuore, storia di una rockstar attratta dagli oggetti macabri, ha avuto successo, Joe ha iniziato a presentarlo in giro, «e siccome somiglio molto a mio padre il popolo dei lettori horror mi ha beccato. Ma ormai era fatta e mi sono rilassato». Il secondo libro, La vendetta del diavolo, è diventato un film con Daniel Radcliffe; il terzo e più ambizioso, Nos4A2, appena uscito in Italia, è però dedicato alla madre Tabitha, scrittrice e poetessa. È lei la grande donna nascosta dietro il genio Stephen King, lei ha salvato dal macero la prima stesura di Carrie, il libro d’esordio dell’autore, che ha dato il via al mito. «Il suo talento è stato oscurato da mio padre - dice Joe. - È da lei che ho imparato a dare un ritmo al racconto. Quello che fa grande una poesia non sono le parole giuste, è la musicalità della frase. Se trovi il ritmo riesci a coinvolgere nel profondo il lettore, leggere diventa quasi una trance».
E immergersi nella lettura di Nos4A2 (si scrive come una targa, si legge «Nosferatu», come il signore dei vampiri) è davvero cadere in trance: è la storia oscura di Charlie Manx, che sembra un innocuo Babbo Natale con la barba bianca ma è un sadico assassino, una sorta di vampiro che rapisce bambini e li porta con la sua Rolls Royce a Christmasland, un mondo parallelo dove è sempre Natale e loro non crescono mai. Finché non arriva Vic, dotata di poteri straordinari che le permettono di tornare nel mondo reale. Ma anni dopo sarà il figlio di Vic a farne le spese. «Vic è la mia prima eroina femminile - dice Joe Hill, - è stata una sfida entrare nella sua psicologia».
L’identificazione tra Joe e Vic è palese, basti dire che Vic guida la stessa Triumph che inforca Joe nella foto ufficiale distribuita dal suo ufficio stampa: «In tutti i miei libri definisco il personaggio grazie al veicolo, la rockstar Judas Coyne sceglie una Porsche adatta al suo carattere estremo. Vic guida la bicicletta prima e la moto dopo, simbolo della sua ansia di libertà. Mentre il perfido Charlie Manx guida la Rolls Royce, eccessiva come la sua avidità».
Non è affatto difficile per Joe entrare nella mente dei cattivi. «Intanto, sono molto preparato - sorride. - Ho letto migliaia di storie oscure. Vi faccio paura? Credo che sia naturale indagare le motivazioni della crudeltà. In realtà, nell’horror c’è molta empatia: ognuno di noi ha paure inconfessabili (le mie riguardano i miei figli, come quasi tutti i genitori) e pulsioni oscure: meglio esorcizzarle, metterle in un libro che viverle». Anche a rischio di rovinare il Natale a tutti noi, con le sue agghiaccianti descrizioni di sinistre decorazioni e canzoncine inquietanti: «Insomma, io sono più il tipo da Halloween che da Natale... Ma la mia ricorrenza preferita è un giorno molto privato che festeggiavamo in famiglia, facevamo torte, bevevamo cioccolata calda e ognuno di noi condivideva con gli altri la sua cosa preferita, un libro, un quadro, una serie tv». Lo stile King, che Joe cerca di tenere vivo con i suoi tre figli. «Loro preferiscono i telefilm ai libri, soprattutto Buffy l’ammazza vampiri. Ma scrivono». La dinastia dell’orrore continua.
Raffaella Silipo, TuttoLibri – La Stampa 6/12/2014