Davide Vannucci, pagina99 6/12/2014, 6 dicembre 2014
BATTERE LA FAME CON GLI OGM LA TORMENTATA APERTURA AFRICANA
Vandana Shiva, José Bové e altri partigiani del no agli ogm avranno avuto un sussulto leggendo l’ultimo rapporto commissionato dalla Banca africana di sviluppo e realizzato dall’International Food Policy Research Institute (Ifpri). Titolo programmatico: Tecnologie agricole geneticamente modificate per l’Africa. Non è un manifesto del “cibo Frankenstein”, né un trattato iperliberista che innalza il vessillo di una deregulation completa in materia, ma i suoi contenuti faranno discutere. Il dibattito sugli ogm in Africa va avanti da tempo e adesso è entrato nel vivo. Sono passati 15 anni dalla prima produzione commerciale di sementi ogm e solo quattro Paesi africani, allo stato attuale, ne fanno uso: Sudafrica, Egitto, Sudan e Burkina Faso. Le cifre, oltretutto, non sono elevate: 20 mila ettari di cotone a Khartoum, 300 mila a Ouagadougou, 50 mila, di mais, al Cairo; soltanto in Sudafrica i numeri sono molto più alti : quasi tre milioni di ettari, coltivati a cotone, mais e soia.
Lo sviluppo di queste colture nel continente è stato frenato da una diffidenza diffusa verso gli ogm. La questione non riguarda soltanto la minaccia alla biodiversità o le presunte proprietà nocive degli ogm. L’Alleanza per la sovranità alimentare in Africa, un’associazione di piccoli agricoltori dell’area, sottolinea come – poiché le sementi ogm sono brevettate – i contadini dovrebbero acquistarne di nuove ogni anno e pagare le relative royalties. Dovrebbero inoltre firmare contratti in cui si impegnano a non rivendere né riusare i semi. La Monsanto ha portato 142 cause in tribunale proprio su questo tipo di violazione. Con DuPont e Syngento, Monsanto controlla il 53% del mercato globale dei semi.
Dall’altra parte ci sono iniziative come la Nuova Alleanza per la Sicurezza del Cibo – organizzata dai Paesi del G8 con l’obiettivo di sconfiggere la fame in Africa – che spingono per una maggiore apertura verso le biotecnologie, andando ad aumentare la scarsa produttività dei terreni arabili africani. Oggi l’Africa possiede il 15% delle terre arate in tutto il pianeta, ma contribuisce solo al 5% della produzione mondiale. Nel continente il rendimento del mais è di due tonnellate per ettaro, quando in Francia se ne fanno nove.
Su questo si basa anche il giudizio dell’Ifpri. L’istituto invita l’Africa a cambiare prospettiva e a entrare nel mercato delle biotecnologie, un settore destinato ad una grandissima espansione. Per rispondere ai propri bisogni nutrizionali il continente importa ogni anno circa 25 miliardi di dollari di prodotti agricoli. Il commercio intra-africano vale solo un miliardo di dollari. Come detto, l’agricoltura è ben lontana dallo sfruttamento di tutte le proprie potenzialità: produttività debole, rendimenti scarsi, innovazione quasi del tutto assente.
Oltrepassare i limiti del principio di precauzione, scrive l’istituto, permetterebbe di «valorizzare il potenziale di sviluppo approfittando delle innovazioni tecnologiche che favoriscono le culture intensive». Insomma, l’utilizzo di sementi geneticamente modificate, «in conformità con le norme mondiali, rappresenterebbe un passo importante verso l’aumento rapido dei rendimenti e della produttività agricola».
Se aprisse agli ogm, l’Africa rafforzerebbe la quota di mercato dei Paesi in via di sviluppo, etichetta un po’ desueta, certo, perché comprende potenze economiche come Cina ed India, ma in parte ancora valida, perché fondata sostanzialmente sul Pil pro capite. Nel 2012 questo gruppo, in cui spiccano Brasile ed Argentina, ha superato la percentuale di mercato dei Paesi sviluppati: 52 contro 48. Persino a Cuba hanno deciso di utilizzare sementi di mais geneticamente modificato, resistente agli erbicidi e soprattutto ad una farfalla parassita.
Il Sud del mondo, quindi, ha accolto, con diverse sfumature, le possibilità aperte dall’introduzione degli ogm. L’Africa ancora no, malgrado l’attività di istituzioni come la Bill & Melinda Gates Foundation, da anni in prima linea nella campagna a favore degli organismi geneticamente modificati. L’ente creato dal fondatore della Microsoft, in collaborazione con sua moglie, sostiene organizzazioni come Alliance for a Green Revolution in Africa, incaricata di far cambiare la percezione dell’opinione pubblica in materia.
È probabile che la quota dell’Africa nel gruppo pro-ogm cresca nei prossimi anni, anche perché Senegal e Costa d’Avorio hanno già manifestato il loro interesse ad entrare nel mercato delle biotecnologie. Adesso anche la Banca continentale invoca un cambio di mentalità. Il rapporto, però, non propugna l’adozione sistematica ed aggressiva degli ogm come in Sudamerica. Avanti sì, ma con giudizio. Anche gli imprenditori sono consapevoli dei rischi di una visione integralista. Daniel Chéron, direttore della francese Limagrain, quarto produttore mondiale di sementi, che ha recentemente acquisito una partecipazione nella Seed & Co., azienda numero uno nel continente nero, sostiene che si potrebbe facilmente raddoppiare la produttività dell’agricoltura africana, investendo in infrastrutture. «Anche gli ogm» – dice – «possono fare la differenza, ad esempio in materia di bisogni idrici». Occorre, però, pensare a 360 gradi ed elaborare strategie di lungo periodo, augurandosi «che l’agricoltura resti nelle mani dei contadini e non conosca gli eccessi registrati in Argentina e in Brasile. Se dovesse accadere, l’Africa non potrebbe gestire l’esodo rurale massiccio che si creerebbe di conseguenza».