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 2014  dicembre 08 Lunedì calendario

PUTIN, L’ARROGANZA CHE NASCONDE LA CRISI DELLA RUSSIA

Se non fosse per la sfida totale e truculenta dello Stato Islamico, l’incubo peggiore dell’Occidente sarebbe oggi senza dubbio la Russia di Vladimir Putin, scopertamente impegnata in una strategia revanscista tesa a rendere reversibile la storica sconfitta dello Stato sovietico e a rilanciare la grandezza imperiale della Russia Eterna.
Il terreno su cui si snoda questa strategia è quello, classico, del territorio.
Dopo la sottrazione di fatto della Transnistria alla Moldavia, la Russia si è impadronita, sottraendole alla Georgia, dell’Abkhazia e della Ossezia del Sud, e da ultimo con la secessione della Crimea - appoggiata militarmente da Mosca con reparti sfacciatamente russi, anche senza mostrine – e la sua successiva annessione. Nel Donbass, quell’Ucraina orientale che Putin chiama con l’inquietante definizione settecentesca e zarista di «Novorossia» (Nuova Russia), gli insorti sono sostenuti politicamente e militarmente da Mosca.
A chi toccherà poi? – si chiedono con comprensibile preoccupazione i Paesi baltici, dove esistono minoranze russe che, va detto, hanno anche ragioni legittime di rivendicare diritti linguistici e di autonomia.
Il tentativo di riaffermare, dopo l’umiliazione della storica sconfitta della versione comunista dello Stato russo, il peso e la potenza della Russia va anche oltre la sfera dell’ex Urss, dell’«estero vicino», per usare l’espressione russa. Alzando la bandiera di un antiamericanismo sistematico, la Russia di Putin trova alleati in tutti quei Paesi che, nella percezione di una crescente debolezza americana, stanno costruendo convergenze di fatto, anche se spesso non dichiarate. Non si tratta solo della Cina, con cui la Russia ha avviato un discorso sempre più sostanziale che non è solo economico, ma anche di Paesi come l’Egitto post-golpe. Washington ha abbandonato Mubarak, la Russia rimane al fianco di Assad: nel Medio Oriente qualcuno sembra aver ricavato indicazioni politiche da questa lezione.
La Russia sembra addirittura essere tornata a cercare di influire sulla stessa politica interna dei Paesi occidentali. Mentre negli anni della Guerra Fredda l’«oro di Mosca» andava ai partiti comunisti, oggi esiste un incipiente flusso di finanziamenti russi alle forze più antidemocratiche ed antieuropee, a partire dal Front National di Marine Le Pen. Qui si misura a pieno che la politica di Putin è un misto di realpolitik e di vera e propria vendetta nei confronti di chi, sia Stati Uniti che Europa, ha sempre appoggiato i dissidenti che prima hanno contestato il potere sovietico, e poi quello post-sovietico. Putin non ha certo dimenticato l’appoggio occidentale alla protesta/rivolta della Maidan di Kiev.
Una politica, quella di Putin, di sfida, di avventurismo, di provocazione, di prepotenza.
Tutto vero, tutto oggettivamente preoccupante. Eppure bisognerebbe resistere a una sorta di catastrofismo e di panico che si sta diffondendo, come se ci trovassimo di fronte all’alternativa fra appeasement (ultimamente si sprecano i paralleli fra Putin e Hitler) e una guerra in Europa.
Vale la pena chiedersi in che misura Putin sia davvero così forte come lui stesso, in questo fedele al proprio personaggio di statista/bullo, vorrebbe farci credere. Vediamo. Le condizioni dell’economia russa sono tutt’altro che rosee: crescita piatta del PIL, caduta di almeno il 50 per cento degli investimenti esteri, fuga di capitali stimata dai 50 ai 100 miliardi di dollari, caduta vertiginosa del rublo, inflazione che si avvicina al 10 per cento. Quello che è ancora più preoccupante per la Russia è la caduta del prezzo del petrolio, effetto combinato della crisi economica mondiale, dell’entrata sul mercato dei prodotti del «fracking», della raggiunta autosufficienza energetica degli Stati Uniti e infine della politica di prezzi al ribasso praticata dall’Arabia Saudita.
La Russia è particolarmente esposta alle ricadute di questa riduzione dei prezzi per il semplice motivo che non ha un’industria competitiva. Sembra incredibile, ma la sua struttura industriale rimane sostanzialmente quella – arretrata – dei tempi sovietici.
Il «discorso alla nazione» che Putin ha pronunciato di fronte alle Camere riunite due giorni fa è stato interpretato come la conferma di un’arrogante e minacciosa sfida a Stati Uniti ed Europa, e in effetti i toni sono stati particolarmente duri, sopra le righe. Fra l’altro Putin ha ricambiato la cortesia del paragone a Hitler, dicendo che è l’Occidente che si sta comportando verso la Russia come Hitler, e finirà per essere ugualmente sconfitto.
Per giustificare poi l’annessione della Crimea, Putin l’ha definita «sacra» per il popolo russo e per la sua storia, come lo è a Gerusalemme il luogo che gli ebrei chiamano Monte del Tempio e i musulmani Haram al Sharif.
Non parla così chi sente di essere sicuro delle proprie forze e della solidità del proprio progetto politico-strategico, ma chi in realtà maschera con l’arroganza un’insicurezza di fondo.
Non solo la Russia è un Paese semi-sviluppato dal punto di vista economico, ma è anche poco credibile come potenza militare, nonostante possieda ancora centinaia di missili nucleari.
Stiamo attenti a non esagerare nell’accettare acriticamente quello che è ultimamente diventato un luogo comune: gli Stati Uniti in declino e la Russia che torna ad essere protagonista della politica internazionale.
E’ vero che abbiamo commesso un grave errore politico nel trascurare gli interessi della Russia, la sicurezza della Russia (con la malaugurata idea di una possibile inclusione dell’Ucraina nella Nato) e lo stesso orgoglio nazionale russo, fornendo così pretesti e occasioni al revanscismo putiniano. Il rimedio non è oggi lasciare campo libero all’aggressiva rivincita di Putin, ma nemmeno lasciarsi andare al panico, descrivendo la sfida russa come se si trattasse di un’inarrestabile avanzata. Dovremmo invece mantenere la calma, non abbandonare il terreno della diplomazia, credibile solo se combinata con la necessaria fermezza, aiutare l’Ucraina a rafforzarsi economicamente e anche dal punto di vista politico-istituzionale, riaffermare la tutela dell’art.5 per i Paesi membri della Nato.
Vi sarà una Russia dopo Putin - quella Russia che non è emersa anche per colpa nostra dopo la fine dell’Urss. Una Russia che, con buona pace di tutti i progetti «eurasiatici», appartiene storicamente e culturalmente all’Europa, e un giorno lo farà anche economicamente e politicamente.