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 2014  dicembre 06 Sabato calendario

MILANO: TRE DONNE (E PIÙ) CONTRO EBOLA


Basterebbe una piccola bustina di polvere di antrace per sterminare un’intera città. Le dottoresse dell’ospedale Sacco di Milano si raccontano anche questo nella pausa pranzo. Virus letali, batteri dai nomi impronunciabili, possibili armi chimiche di massa. Discorsi di lavoro, poi si chiacchiera della famiglia, i figli a scuola, il parrucchiere a orari impossibili «perché i turni sono turni e noi siamo un polo specializzato, dobbiamo dare il massimo». Qui le donne sono al comando («ma ci facciamo aiutare anche da uomini validi» ammettono). Gestiscono il Pronto soccorso, i laboratori, la ricerca per affrontare le emergenze più terribili. Come l’Ebola.
L’ospedale Luigi Sacco di Milano e il Lazzaro Spallanzani di Roma sono i due centri che devono essere sempre pronti ad accogliere gli eventuali contagiati dal terribile virus. Hanno le strutture adatte e i medici da mesi mettono a punto la complessa macchina fatta di rigidi protocolli di sicurezza, in modo tale che nulla vada storto al momento dell’arrivo del primo vero paziente. Per ora solo una decina di falsi allarmi. Non come è accaduto lunedì 24 novembre, quando un medico italiano volontario di Emergency, contagiato in Sierra Leone, è stato trasportato a Roma da un aereo dell’Aeronautica militare. La prova è stata superata. Ora bisogna solo aspettare.

Maria Rita, Carla e Anna sono in prima linea da tanti anni. Lavorano nel reparto di Microbiologia, virologia e diagnostica dell’ospedale che in passato ha visto le stanze del pianterreno piene di malati di Hiv quando il contagio era alle stelle. Poi è arrivata la Sars, l’antrace, ma anche la salmonella, la francisella, la legionella, l’epatite, il vaiolo. Tutti gli ammalati del Nord Italia sono portati qui e loro sono le prime, insieme con lo staff sanitario, a occuparsene indossando tuta bianca a biocontenimento e guanti: solo gli occhi si intravedono e solo gli occhi raccontano che lì sotto c’è una donna. «Siamo come un Pronto soccorso in zone tropicali: poche persone al mondo sono a contatto con tante malattie pericolose come chi fa il nostro mestiere» racconta Anna Bonini, coordinatrice infermieristica Malattie infettive.
All’inizio del 2014 è stata istituita una task force quando la situazione dell’Ebola in Africa ha preso una deriva terribile, così anche in Italia il governo ha chiesto agli ospedali di attrezzarsi. Il Sacco si deve occupare del Centro Nord del Paese e, tre volte alla settimana, organizza esercitazioni. Oltre 70 medici e infermieri simulano di continuo l’arrivo di un paziente: «Il medico ricoverato a Roma fa parte di quel cinque per cento di possibilità che il virus arrivi anche in Italia attraverso i volontari che lavorano nei Paesi africani altamente contagiati, Sierra Leone, Liberia e Guinea» ha spiegato Maria Rita Gismondo, direttrice di Microbiologia, virologia e diagnostica bioemergenze.
La preparazione che ha portato i medici del Sacco a essere in allerta costante (e lo saranno fino al termine di Expo 2015) è nata con l’emergenza Sars, poi c’è stato l’11 settembre ed è arrivata la paura dell’antrace. Fino all’Ebola.
«Chiamatemi professoressa» chiede senza mezzi termini Gismondo. Ha scelto di specializzarsi in microbiologia perché «affascinata da qualcosa di tanto piccolo ma capace di provocare cambiamenti così grandi, da quelli negativi fino a quelli buoni, come la birra, il vino, lo yogurt». Dice di avere persino un batterio preferito, il Lattobacillo: «È un miracolo, lo abbiamo nell’intestino e a lui possiamo ordinare di fare qualsiasi cosa». Gismondo dirige il laboratorio e il reparto: 25 donne e cinque uomini. «Ma è casualità» dice.
Carla Pastecchia, infettivologa, è nata a Roma, ma ha vissuto in tanti posti e il suo accento è un mix indistinguibile di cadenze. In reparto scherza con lo scafandro bianco che ricopre anche i piedi, tiene molto caldo e limita gli spostamenti: «Sarebbe perfetto anche per imbiancare casa, non credi?». Serve anche una buona dose di ironia per combattere con il microcosmo invisibile agli occhi. «Arrivano le vacanze di Natale, chi andrà in ferie in Paesi tropicali tornerà con malaria e diarrea, così come succede a settembre. E poi l’epatite C e B, endocarditi, la febbre dengue dalle Filippine. Ci aspettiamo tutto questo, ma in numeri ben più importanti l’anno prossimo con l’apertura dell’Expo».

Le dottoresse parlano di fascino dell’Ebola. Una malattia nota solo dal 1976 e che dall’inizio dell’infezione ha già fatto circa 5.400 vittime. Chi se ne deve occupare in ospedale vive all’interno di una specie di Grande Fratello: telecamere ovunque al Pronto soccorso, ognuno ha uno speciale badge per entrare nelle stanze superblindate. Al termine di ogni contatto con i pazienti, medici e infermieri sono obbligati a una doccia disinfettante di tre minuti, dopo che un assistente sfila loro le tute (non le devono toccare), poi gettate in un inceneritore. A Milano arrivano i medici di mezzo Paese per imparare anche questi accorgimenti: una sorta di scuola di perfezionamento dove tre donne costruiscono la macchina perfetta contro il nemico invisibile.