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 2014  dicembre 09 Martedì calendario

LA PRIVACY TEDESCA È COSA SERIA

Berlino
In gergo giornalistico si dice scoop per una notizia in esclusiva, un fatto su cui siamo arrivati per primi. Ma in italiano diciamo «buco», che è il contrario, quando il concorrente fa scoop. E questo dimostra già la nostra mentalità. Pensiamo in negativo, come a calcio, meglio non prenderle, un noioso zero a zero preferibile a un divertente 4 a 4.
Si fa catenaccio. Io presi un «buco», per colpa mia. E se lo avessi confessato al mio capocronista torinese quando ancora ero praticante, avrei passato un brutto quarto d’ora.
Incontrai davanti alla porta di casa di un pensionato che si era tolto la vita il mio avversario della Stampa. Mi misi d’accordo per non entrare a chiedere la foto. A chi interessava la fototessera di uno sconosciuto? Quel giorno non accadde nulla, quella notizia ebbe troppo risalto, e su La Stampa apparve il viso sfocato del suicida. Il mio rivale era tornato a mia insaputa sul luogo del fatto e mi aveva dato un «buco». Non me ne pento. Non ritengo che noi si abbia il diritto di profanare la vita di tutti. Solo di qualcuno, se è noto. Di sicuro sono stato un cattivo reporter, Walter Matthau il capo cronista di Front Page, mi avrebbe licenziato.
Oggi, si dovrebbero mettere le iniziali dei protagonisti dei fatti di cronaca. E mai le foto dei minorenni coinvolti. In Germania la legge si rispetta, da noi dipende, anche se abbiamo un costoso ente per la privacy.
Prendiamo l’ultimo numero della Bild Zeitung, quotidiano da 13 milioni di lettori, che vive di gossip e di scandali, ma è più serio di quel che sospettiamo. Un marito spara in faccia alla moglie da cui sta per divorziare, si chiama Carsten e ha 30 anni. Due fratelli, presentati come gangster, assaltano i poliziotti che li fermano per un controllo di velocità a Berlino. Sono Kalin e Abou. A Offenbach avvengono i funerali di Tugce, 19 anni, la ragazza turca uccisa a pugni per aver tentato di difendere due adolescenti importunate da una banda. Poi, apprenderemo il suo cognome, perché giustamente diventa un’eroina. Il suo probabile assassino si chiama Sanel M., ha diciotto anni. E così via. Per i cognomi basta l’iniziale con un puntino. Certamente, amici, vicini, nel paese o nella cittadina sanno chi sono, ma se questa norma fosse stata rispettata in Italia, milioni di lettori non conoscerebbero il cognome dei protagonisti dei recenti fatti di cronaca a cui giornali e tv hanno dedicato spazio e tempo, quello di Stasi o di Sollecito, tra l’altro poi assolti. Siano veramente innocenti o meno non dovrebbe avere importanza.
Qualche settimana fa osservai che in Germania non c’è un garante per la privacy come da noi, il capoufficio stampa dell’ente scrisse per correggermi: ne esiste uno addirittura per ogni Land, cioè 16. Ma sono funzionari dei vari ministeri regionali che guadagnano in media 3.500 euro al mese. Antonello Soro, il nostro garante della privacy, guadagna 260.986 euro all’anno, la sua vice Angela Iannini si ferma a 173.900, in due insieme incassano quanto o più dei 16 funzionari tedeschi. E non possiamo calcolare quanti costi il loro ente, tutto compreso.
Eppure, oggi sui giornali italiani leggo di Loris, il bambino di otto anni ucciso a Ragusa, e di sua madre, anche lei con nome e cognome. E conosco anche il nome del cacciatore che ha avuto il torto di trovare il corpo di Loris. Vedo la foto della madre, e non sarebbe vietato. E quella del bambino, invece assolutamente verboten. Allora mi chiedo se vale la pena che si spenda oltre mezzo milione di euro per un presidente e la sua vice che non leggono neanche i giornali, o se li leggono non intervengono. Per onestà, va precisato che i quotidiani tedeschi si regolano da soli, e quando sgarrano vengono ripresi dalla federazione della stampa. In quanto l’ordine teutonico dei giornalisti semplicemente non esiste.
Roberto Giardina, ItaliaOggi 9/12/2014