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 2014  dicembre 09 Martedì calendario

IN CONTRASTO CON ANGELA MERKEL, IL PREMIER RENZI DIFENDE UNA CLAUSOLA DEL TTIP CHE PIACE A OBAMA. MA GLI CONVIENE?

Nell’incontro che il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, avrà oggi a Washington con il segretario di Stato John Kerry, l’Italia rinnoverà, insieme all’amicizia tradizionale con gli Stati Uniti, anche il pieno sostegno dell’Italia al trattato commerciale Usa-Ue, noto con la sigla Ttip (Transatlantic trade and investment partnership). Un appoggio che anche il premier Matteo Renzi ha confermato in più occasioni, distinguendosi dalla Germania, dalla Francia e dalla Commissione Ue su un punto chiave del trattato: il sì alla clausola Isds (Inverstor state dispute settlement), che prevede l’istituzione di un unico arbitrato internazionale per regolare le dispute tra le multinazionali e gli Stati. Questa clausola è considerata di importanza fondamentale dagli Stati Uniti, mentre Germania, Francia e Commissione europea la giudicano «pericolosa», in quanto troppo favorevole alle multinazionali, e non ne vogliono sentire parlare.
La diversa posizione dell’Italia sull’Isds, già ribadita in sede europea anche dal sottosegretario all’Economia, Carlo Calenda, non è ovviamente passata inosservata a Bruxelles e nelle cancellerie che contano. Per alcuni analisti, il «sì» senza riserve del governo italiano sarebbe in sintonia con la linea filo-americana, che da sempre caratterizza sia Renzi che Gentiloni, disposti ad appoggiare le iniziative di Barack Obama «senza se e senza ma», benché nessuno dei due abbia mai letto una sola pagina delle bozze del trattato, finora segrete. Altri pensano invece che, anche sul Ttip, Renzi stia giocando in Europa, insieme al premier inglese David Cameron, un ruolo di interdizione politica nei confronti della Merkel, ruolo molto ben visto dall’amministrazione di Obama, che con Berlino ha un contenzioso aperto su più punti, quali il surplus commerciale tedesco, le iniziative anti-Google e la politica di austerità. Tanto è vero che al recente vertice G20 di Canberra, la Merkel ha fatto fuoco e fiamme quando Obama si è detto favorevole a inserire nel comunicato finale la semplice parola «austerità», che alla fine è stata cancellata.
Quale sia l’interpretazione degli analisti più azzeccata, lo sapremo solo quando l’Unione europea prenderà una decisione ufficiale sul trattato Ttip. Di certo, la Merkel non deve avere gradito l’endorsement italiano delle richieste Usa, oltre alle ripetute critiche all’austerità: spia significativa, l’intervista a Die Welt di domenica in cui la cancelliera ha giudicato insufficiente l’azione del governo di Renzi (al pari di quello francese) per rimettere in sesto i conti pubblici, oltre che sul piano delle riforme fatte.
Una bocciatura severa quanto clamorosa, giunta 48 ore dopo quella dell’agenzia di rating Standard&Poor’s, che ha retrocesso i titoli di Stato italiani appena a un gradino sopra quello dei titoli spazzatura. Forse il segnale di un clima mutato, e non più tanto roseo, tra Berlino e Roma? Si vedrà.
Lo scenario appare tuttavia più facile da decifrare se si ricorda ciò che ha spinto la Merkel a mettere all’indice la clausola Isds. Dopo il disastro di Fukushima, dove nel marzo 2011 un terremoto colpì una centrale nucleare giapponese, la Merkel decise che la Germania doveva abbandonare al più presto l’energia nucleare. Per tutta risposta, la società svedese Vattenfall, che gestiva alcune centrali di quel tipo in Germania, fece causa allo Stato tedesco in base a una clausola Isds, chiedendo 4,7 miliardi di danni. Gli sviluppi di quel procedimento giudiziario, benché non ancora conclusi, hanno convinto la Merkel che le clausole Isds danno troppo potere alle multinazionali, e sono perciò pericolose. Non solo. Nei Paesi europei vi sono sistemi giudiziari, oltre all’Alta corte di giustizia di Strasburgo, che la cancelliera considera pienamente affidabili, e non si capisce perché mai si debba istituire un nuovo tribunale internazionale per gli arbitrati, deputato a occuparsi solo dei contenziosi legati alla clausola Isds.
A ben vedere, quello della Merkel è un dietro front in piena regola. In passato, la Germania è stata tra i primi paesi al mondo a firmare accordi con clausole Isds. Dei 3.400 accordi Isds siglati al mondo, ben 1.400 sono stati stipulati nell’Unione europea. Tutti però su basi giuridiche diverse, che hanno dato campo libero alle interpretazioni più capziose e alle rivalse, ampiamente sfruttate dai grandi studi di avvocati specializzati in questo tipo di cause. La prova? Dagli anni Settanta agli anni Duemila vi sono stati in tutto il mondo soltanto 50 casi di arbitrato, mentre lo stesso numero (50) è stato registrato in ciascuno degli ultimi tre anni: segno evidente che qualcosa è sfuggito di mano.
I casi di speculazione da parte dei grandi studi di avvocati si sprecano. La Philip Morris, o meglio i suoi avvocati, ha fatto causa all’Australia, che aveva messo in atto una politica anti-fumo, sostenendo che ciò danneggiava la sua «proprietà intellettuale». In Libia, nel 2013, il gruppo Al Kharafi ha ottenuto 935 milioni di dollari risarcimento per l’esproprio di un proprio investimento di soli 5 milioni in un resort turistico. Per questo la clausola Isds viene vista sempre più come un’arma in mano alle multinazionali, contro la sovranità degli Stati. E la Merkel, scottata dal caso delle centrali nucleari, ha deciso di dargli un taglio.
Tino Oldani, ItaliaOggi 9/12/2014