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 2014  dicembre 09 Martedì calendario

B. AMA IL POTERE, NON LA POLITICA

[Intervista a Roberto Gervaso] –
Non fai in tempo a dichiararti suo debitore di una passioncina per la storia per la giovanile lettura del suo I Borgia, che lui ti gela: «Ecco, ne trovassi uno che mi ringrazia di qualcosa che ho scritto oggi». Dunque è vero: Roberto Gervaso ha battuto ancora il male oscuro, come racconta nel suo ultimo libro Ho ucciso il cane nero.
Come ho sconfitto la depressione (Mondadori). Classe 1937, torinese di nascita ma romano di vita vissuta, Gervaso s’è fatto azzannare la prima volta dal cagnaccio a 23 anni, mentre era in America a studiare. Poi è riaccaduto nel 1982, quando venne fuori che aveva in tasca la tessera numero 662 della loggia massonica Propaganda 2. Risponde al telefono dalla casa della figlia, a Milano, col sottofondo dei tre nipotini, fra i quattro ai nove anni, «tre piccoli apaches che mi chiamano Bamba».
Domanda. Non sapevo che la P2 l’avesse depressa.
Risposta. Mi sentivo colpevole di non esser colpevole, una cosa strana.
D. Anche al premier, Matteo Renzi, danno sovente del piduista. A volte fior di costituzionalisti. E sembra non prendersela affatto.
R. Eh, la P2 è sempre una carta di riserva, quando non si sa cosa dire. Dopo che ti hanno dato del fascista o del comunista, scatta l’accusa di piduismo. È una cosa ridicola, in effetti, essendo passati 34 anni: Renzi all’epoca ne aveva cinque. La vera P2 è stata l’anti-P2.
D. Nel senso che qualcuno ci ha fatto carriera?
R. Sì, scoprendo che dovevamo rovesciare l’Italia con Alighiero Noschese e Claudio Villa, buonanime. Ricordo ancora cosa rispose Villa, uomo simpaticamente spavaldo, quando gli dissero: «Tu sei massone».
D. E che cosa disse?
R. Me cojoni.
D. Simpatico, spavaldo e trasteverino. C’è chi invece reagì autoflagellandosi in pubblico, anzi in tv, come fece Maurizio Costanzo, ottenendo un’istantanea riabilitazione.
R. Diciamo che Costanzo si mise a sputacchiarsi addosso. Se io avessi fatto la stessa cosa avrei riabilitato i miei denigratori.
D. Senta Gervaso, lei è uscito dalla depressione, dove invece è entrata l’Italia. Come notava l’altro giorno, Marina Salamon da queste colonne, il nostro pessimismo è ben più cupo di quanto questa crisi, durissima, giustificherebbe.
R. È vero. Siamo un Paese depresso. Tra l’altro la mia ultima depressione, essendo iniziata nel 2007, ha quasi coinciso con l’inizio della crisi. Ma mentre la mia è finita, quella italiana continua.
D. Come mai, secondo lei?
R. Non avevamo provato ancora niente, aldilà della crisi petrolifera del 1973. Niente al confronto di ciò che aveva vissuto chi aveva patito la guerra. Nel 1945, non eravamo affatto depressi, anzi. Uscivamo da desolazioni tali che tutto era bello. Si figuri, io vivevo a Torino, città bombardatissima e, nel 1943, tutto era razionato. Ricordo benissimo quando, un giorno, mio padre tornò a casa avendo trovato solo un uovo da mangiare: mia madre lo lessò e lo dividemmo in quattro, perché c’era anche mia sorella.
D. E dunque, dopo, non vi ha spaventato più niente.
R. Fu una doppia liberazione: dall’incubo militare, della guerra, ma anche dalla miseria, dalla disperazione. Infuse nella generazione del Dopoguerra come una voluttà di riscatto. Andare dal tabaccaio e trovare un pacchetto di sigarette oppure non cucinare quei pochi spaghetti dieci volte nella stessa pentola, perché il sale non si trovava.
D. Qualcuno dice che anche la politica, oggi, sia un po’ depressiva.
R. Beh, non ci sono più i De Gasperi, gli Scelba, i Togliatti, i Di Vittorio, c’è stata una progressiva decadenza della classe dirigente, anche perché, fino al 1989, c’erano gli equilibri di Yalta.
D. E poi il Muro venne giù...
R. La peggiore jattura che poteva capitarci, il comunismo doveva morire di metastasi, non di infarto: il mondo non era affatto pronto. I colpi di mano, le crisi repentine nella storia sono una rarità, la stessa Rivoluzione francese era preparata da decenni. E invece il crollo del Muro nessuno l’aveva previsto.
D. Decaduta o meno, una classe dirigente c’è, coi suoi protagonisti. Uno, Silvio Berlusconi, lei lo ha conosciuto bene.
R. Il Cavaliere è stato il più geniale imprenditore, di tipo venditore e monopolista, del dopoguerra, che ha avuto un paio di enormi intuizioni, quella dell’edilizia satellitare, costruendo Milano1 e Milano2
D. L’altra, la tv commerciale, immagino.
R. Certo, anche se, senza Bettino Craxi, non ci sarebbe riuscito.
D. E Forza Italia? Non fu un’intuizione?
R. Anche quella, certo. Però B. non è mai diventato un politico...
D. Non fa altro da vent’anni...
R. Vede lui, essendo più vecchio di me di un anno, ha fondato Forza Italia che ne aveva 58. Ormai aveva la forma mentis dell’imprenditore: non te la togli di dosso a quell’età. Sa cosa mi disse una volta Craxi?
D. Che cosa?
R. Gli chiesi a che età si diventa politici. E lui mi rispose che aveva cominciato a 18 anni ma che era troppo tardi. Il Cavaliere ha sempre mantenuto la mentalità dell’imprenditore che non ha quindi ideologia se non quella di vendere: la saponetta, il tonno Nostromo, gli spaghetti Gragnano, la birra, l’acqua minerale. L’imprenditore è geneticamente interclassista.
D. Rivolgendosi a un mercato...
R. Lui, all’epoca aveva qualche problema, 4mila miliardi di lire di debiti...
D. Sì, Fininvest non se la passava benissimo...
R. E in quel marasma vide un cimitero: la Dc dissolta, il Psi in galera, i partiti minori liquefatti perché gli ascari vivevano parassitariamente e quindi...
D. Mancava loro il nutrimento...
R. Vide il Pci che, stranamente salvato dalle inchieste, teneva il campo. E minacciava.
D. Sì, a lui anche l’esilio in Svizzera...
R. E lui, Berlusconi, vedendo questa prateria piena di gente sbandata, ci si è buttato dentro. Con criteri imprenditoriali, anzi schierando lo stato maggiore di Publitalia.
D. Certo da Marcello Dell’Ultri in giù venivano tutti da lì: Giancarlo Galan in Veneto, Enzo Ghigo in Piemonte, Roberto Tortoli in Toscana...
R. Lo spazio a destra era grande e il Cavaliere fece un partito di destra da opporre al Pci, sapendo che il Paese non era comunista. Fece quello che aveva sempre fatto: le convention.
D. Alla forza vendita.
R. Ne avevo viste alcune, ché ci conosciamo da una vita anche se ora ci vediamo poco, e lui parlava ai militanti azzurri usando le stesse tecniche con cui si rivolgeva alla struttura commerciale. Aveva carisma, mi scusi la parola.
D. Fece anche delle alleanze.
R. Già, con una sedicente destra che, non aveva letto né Benedetto Croce né Luigi Einaudi, e che era stata fuori dal potere fino ad allora: s’era masturbata per 50 anni ritrovandosi di colpo in un harem.
D. E c’era la Lega...
R. Partito terragno e, si scoprirà poi, piuttosto corrotto e per questo coniatore di motti anticorruzione stile «Roma ladrona». E invece era puzzolenti pure loro.
D. Le alleanze, mi pare di capire, furono il limite dell’operazione...
R. Non c’era il collante ideologico, né leaderistico, in quanto lui, appunto, era un imprenditore. Mancava di leadership politica, non conosceva la macchina dello Stato, tant’è vero che Gianni Letta fu sempre il vero premier operativo, che faceva tutte le nomine.
D. B. non amava la politica...
R. Non l’ha mai amata. Ha amato il potere: per 20 anni ha incarnato il massimo del potere. Senza essere mai un politico.
D. Qualcuno gli avvicina Renzi, per certi aspetti.
R. Il premier è un Berlusconi a bagnomaria, un venditore di fumo in technicolor. Anche B. lo era, ha venduto del fumo anche lui, anzi ha venduto arrosto ai vegetariani. Ho l’impressione che il fumo di Renzi si vada stemperando.
D. Nel senso?
R. Nel senso che lui ha promesso molto all’Italia che se ne è innamorata, ma ora vorrebbe vedere qualcosa. È po’ come se uno facesse innamorare una donna bellissima e poi (abbassa la voce al telefono, ndr) non la scopasse mai, perché un giorno c’ha il mal di testa, un altro giorno una colica. C’è sempre qualcosa.
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D. Eppure il Cavaliere sembra stimare Renzi.
R. Non è stima, è invidia anagrafica. Non gli invidia l’intelligenza politica, perché ritiene di averne di più di Churchill, Adenauer, Roosvelt. È l’età del presidente del consiglio che vorrebbe avere. E poi B. ha capito che se vuol conservare qualcosa, è bene che venga a patti con Renzi. Il quale è un misto di Capitan Fracassa, Giamburrasca, il Barone di Munchausen e il dottor Stranamore: non si capisce più quali riforme ha annunciato, quali ha fatto, un bordello. È un D’Artagnan all’uccelletto, che mena gran fendenti ma con una spada di cartone.
D. E la spada di B., di cos’era fatta?
R. B. aveva lo spadone d’acciaio talvolta, Achille Occhetto ne sa qualcosa.
D. Renzi, però, ha contro vecchi Ds e Cgil.
R. I sindacati non vogliono rinunciare ai loro privilegi, il cui esercizio scellerato ha portato l’Italia al punto in cui è. Però Renzi non si può limitare a ridare la speranza, deve ridare anche benessere. Il consenso arriva quando uno si mette le mani in tasca e ci trova qualche soldo in più.
D. Un pregio, al presidente del consiglio, lo riconosce?
R. Beh, certo ha liquidato il Pci. L’ha messo in cantina. Anche perché questi, a differenza di Togliatti, che era un padre della patria, non diventano nemmeno reliquie. E poi...
D. E poi?
R. Ha avuto il grande merito di aver ridicolizzato il radicalume chic che, fottendosene del popolo, si aggrappava al proprio portafoglio, sempre portato destra, mentre il cuore stava a sinistra. Oggi ci vergogna a dire di andare in vacanza Capalbio meglio Monteporzio Catone.
D. E quindi non ce la farà, Renzi?
R. No, perché ha generato speranza col fumo. L’Italia è in mano alla Troika. Sono contro l’euro scellerato, introdotto a tassi di cambio folli, sennò, diventiamo un Paese un quarto mondo, una colonia. Già il torrone Pernigotti turco, l’alimentare è in mano a Carrefour, a Lactalis. La moda, salvo Prada, è in mano ai Francesi, gli alberghi Jolly sono degli spagnoli e i Cinesi sono nelle grande aziende di Stato.
D. Un leader nascente sembra Matteo Salvini, che ne pensa?
R. Sembra un salvatore della patria, un leghista più onesto degli altri, con un modo certo più raffinato di Umberto Bossi. Ma sa, sono uomini che raccolgono i malumori più che gli umori. Churchill promise sangue, sudore e lacrime ma parlò anche all’orgoglio nazionale.
D. C’è Beppe Grillo, stanchino come ha detto lui stesso, ma sempre presente.
R. Grillo aveva anche idee buone, di tutti, ma s’è accorto d’aver messo in piedi una compagnia di giro, ma si passa alla storia con le grandi orchestre sinfoniche. Ora, è vero che anche Ronald Reagan era un attore dei B movies americani, ma aveva fatto per otto anni il governatore della California, prima.
D. E invece Grillo?
R. Grillo è un guitto che ha visto nella politica italiana un copione formidabile ma non l’ha studiato bene.
D. Che cosa vuol dire con questo libro agli Italiani?
R. Che vadano da Hoepli, a Milano, dove c’è rimasta una copia.
twitter @pistelligoffr
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 9/12/2014