Mario Deaglio, La Stampa 6/12/2014, 6 dicembre 2014
COME USCIRE DAL VICOLO CIECO
I casi della mafia romana e le vicende legate all’assassinio di un bambino a Ragusa sembrano rappresentare i due poli di quello che non va in Italia: da un lato il malessere delle grandi cifre e dei grandi affari legati alle commesse degli enti locali, di portata tale da incidere in maniera significativa sul deficit pubblico, dall’altro un’abissale miseria umana costellata di orribili episodi in cui pagano sempre i più deboli. Per un’ironia della sorte, queste due vicende sono esplose pochi giorni prima della presentazione del 48° «Rapporto sulla situazione sociale del Paese».
Un appuntamento annuale per riflettere sul nostro presente e il nostro futuro sulla base di una ricerca effettuata dal Censis di Giuseppe De Rita, l’unica in Italia che cerca di individuare le sfaccettature della società italiana e di seguirne la sua evoluzione tenendo anche conto dei suoi aspetti politici ed economici.
Da qualche anno il Censis è passato da una fiducia di fondo a dubbi sempre più forti sulla nostra tenuta sociale, dalla sottolineatura della sua vitalità di base a un quadro in cui hanno sempre maggiore importanza i colori scuri, l’egoismo, il cinismo. Per il Censis, quella italiana di oggi è una società «indistinta», che ha perso i suoi punti di riferimento, e che può quindi, sotto molti aspetti, essere considerata in disfacimento; una società «liquida» che quindi si adatta a tutte le forme ma di per sé non ha alcuna forma. In questa società, gli italiani «sono, a dir poco, a disagio».
La società «liquida» è caratterizzata, tra l’altro, da una grande liquidità delle risorse finanziarie. Gli italiani dimostrano una grandissima cautela nell’indebitarsi; il loro risparmio, fortemente dominato dal motivo precauzionale, rimane – appunto – liquido, ossia stagnante nei conti bancari o in strumenti finanziari simili, nella speranza che ciò eviti i rischi anche se non fornisce quasi alcun reddito.
La liquidità non riguarda solo i risparmi ma anche i pagamenti. A questi, infatti, si provvede con denaro contante per circa il 41 per cento della spesa totale delle famiglie, assai più di quanto avvenga negli altri Paesi avanzati. Dietro questi pagamenti in contanti si cela, molto spesso, una «vocazione al nero», alla fuga dalla tassazione (e alle «mazzette», come risulta dalle indagini romane di questi giorni). Il settore sommerso viene stimato a più del 20 per cento del prodotto interno lordo, quasi il doppio di quanto si registra in Francia o Germania.
Liquidità e sommersione dell’economia sono i sintomi più vistosi di incertezza, inquietudine e ansia, tre stati d’animo diffusissimi tra i giovani – ma fortemente presenti anche tra i meno giovani - in un quadro di generale cinismo, ossia di attesa senza iniziative, di «attendismo delle famiglie liquide», per usare il linguaggio del Rapporto. La percentuale di italiani convinti che per il successo sia necessario «avere una buona istruzione», «lavorare sodo» ed «essere intelligenti» è nettamente inferiore alla media europea, mentre è superiore a tale media la convinzione che sia necessario «conoscere le persone giuste», «venire da una famiglia benestante” e anche «essere maschio».
In questa situazione di diffusa mancanza d’impegno non fa meraviglia che il controllo di un gran numero di imprese italiane finisca in mano estera, dall’aeronautica Avio alla Merloni Indesit, a «marchi» molto noti, tipicamente italiani, come il Riso Scotti, Bulgari, Valentino. Il capitale finanziario delle imprese e delle famiglie italiane perde quindi vigore, come anche il capitale fisico, per il quale si fatica a effettuare gli ammortamenti e i nuovi investimenti sono assai pochi. A quest’indebolimento fa da contrappunto la «dissipazione» del capitale umano che non si trasforma in energia lavorativa: «gli individui non sono sostenuti nelle loro scelte di vita e professionali da dinamiche di mobilità sociale». In quanto a mobilità sociale, infatti figuriamo al 101° posto su 122 Paesi esaminati in un indice internazionale elaborato dal World Economic Forum.
In un Paese così ingessato, l’istruzione molto spesso non produce vantaggi, dando ragione a quanti non vi attribuiscono troppa importanza. Il che contribuisce a spiegare anche il terzo elemento di debolezza strutturale dell’Italia che, secondo il Censis, è rappresentato dal cattivo uso del patrimonio culturale. L’Italia non riesce a uscire dal «vicolo cieco» della denuncia, dell’enfasi sul ruolo positivo dell’arte e della cultura, salvo poi riservare loro una dimensione sempre più periferica non solo nelle scelte della politica ma anche nei comportamenti della collettività.
E’ doveroso, a questo punto, domandarsi se una simile situazione potrà cambiare. Una risposta inevitabile è che, se non lo farà, l’Italia non sembra in grado di tenere il passo degli altri Paesi avanzati e subirà un processo più o meno rapido di marginalizzazione, pur in presenza di un apprezzamento notevole di molti aspetti del Paese, del suo territorio, del suo stile di vita e del crescente successo mondiale di almeno una categoria di prodotti, quelli dell’enogastronomia.
Una diagnosi di questo genere dovrebbe essere posta alla base delle riflessioni delle forze politiche per la messa a punto di programmi articolati di lungo periodo. Ma le forze politiche riflettono davvero su un futuro che vada oltre i sei mesi? Spesso se ne può dubitare. E i comuni cittadini vanno al di là di orizzonti ristretti in cui covano vicende come quella di Ragusa? Anche di questo, purtroppo, si può dubitare.
mario.deaglio@libero.it
Mario Deaglio, La Stampa 6/12/2014