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 2014  dicembre 06 Sabato calendario

L’AMERICA SI RICOMPATTA IN FAVORE DEI NERI

È quasi mezzanotte, uno pensa che sia arrivato il momento di andare a dormire. Dalla Seconda avenue, però, comincia a salire un rumore. Non sono i motori delle auto, ma voci. Un coro, sempre più forte, che grida: «I can’t breathe», non posso respirare. Il traffico si blocca: qualcuno impreca, altri suonano i clacson, altri applaudono.
Da qualche giorno, da qualche settimana, questa scena sta diventando abituale in mezza America. Giovedì sera si è ripetuta a New York, Washington, Boston, Chicago, Pittsburgh, Phoenix, dove è avvenuto l’ultimo omicidio di un nero disarmato da parte di un poliziotto bianco. La protesta ormai è un fenomeno nazionale, che nasce dagli episodi di violenza delle forze dell’ordine contro i neri, ma ormai raccoglie tutto il risentimento che esiste nella società americana per la discriminazione e le diseguaglianze razziali, economiche, sociali.
Oltre duecento arresti giovedì sera a New York, dove i manifestanti hanno bloccato il traffico dal ponte di Brooklyn a Times Square. Nuove azioni di disobbedienza erano in programma ieri sera, con neri e bianchi a calpestare insieme l’asfalto. Quelli arrabbiati per il caso Garner, ma anche quelli che si sentono esclusi in un Paese dove l’economia si è ripresa, il mercato del lavoro a novembre ha creato 321.000 posti, ma troppe persone si considerano vittime della diseguaglianza.
Pure il fronte conservatore ha iniziato a muoversi. L’ex Presidente Bush ha definito «difficile da capire il verdetto del Grand Jury», che ha scagionato l’agente Pantaleo dall’uccisione di Eric Graner. Commentatori della televisione Fox come Bill O’Reilly e Charles Krauthammer dichiarano che «il poliziotto ha usato una forza ingiustificata, contro un uomo che non rappresentava una minaccia. Doveva quanto meno essere incriminato per omicidio colposo».
Questi conservatori ammettono che il sistema giudiziario ha sbagliato, ma non attribuiscono l’errore al pregiudizio razziale, perché le statistiche dimostrano che ci sono almeno altrettanti casi di bianchi uccisi per errore da agenti neri. Stranamente hanno ricevuto un appoggio proprio dai famigliari di Graner. «Non credo - ha detto sua figlia Erica alla Cnn - che la razza abbia avuto un ruolo nella sua morte. Penso piuttosto che sia stato l’ego del poliziotto a ucciderlo: mio padre era grande, e lui voleva fare l’eroe, dimostrando che poteva abbatterlo». Anche la madre di Graner, Gwenn Carr, ha dato ragione alla nipote: «Non è stato il razzismo a ucciderlo, ma la violenza di poliziotti impreparati e convinti di poter fare quello che vogliono».
Gli esperti di diritti umani dell’Onu, ieri, hanno espresso «legittima preoccupazione» per la mancata incriminazione da parte del Grand Jury dei poliziotti. E proprio i poliziotti nel frattempo se la sono presa con il sindaco de Blasio, perché li ha offesi parlando di come ha addestrato il figlio mulatto, Dante, a evitare gli incontri pericolosi con le forze dell’ordine. Pat Lynch, presidente della Patrolmen’s Benevolent Association, ha detto che gli agenti «si sono sentiti buttati sotto un treno dai commenti del sindaco». Una partita molto delicata per de Blasio, che deve rispondere alla domanda di giustizia che viene dai suoi elettori, ma nello stesso tempo non può perdere le forze dell’ordine di cui ha bisogno per evitare una nuova esplosione di criminalità a New York.
Anche ieri sera, all’imbrunire, i manifestanti sono tornati a marciare sulla zona downtown di Manhattan. E sul resto dell’America, che spera di essere arrivata ad un momento di svolta.
Paolo Mastrolilli, La Stampa 6/12/2014