Raffaello Masci, La Stampa 6/12/2014, 6 dicembre 2014
IL RITRATTO DEL CENSIS. L’ITALIA PIEGATA IN DUE DALLA PAURA DELLA CRISI
Come tutti quelli che sono veramente spaventati dalla situazione, ci arrocchiamo sulla difensiva: mettiamo da parte i soldi (+ 4,9% dall’inizio della crisi) perché i redditi crollano e non si sa come si mettono le cose. Contiamo con preoccupazione che oltre ai 3 milioni di disoccupati ce ne sono altri due di scoraggiati e tre che attendono un lavoro (pur senza cercarlo, otto milioni di inattivi in totale). Osserviamo con ansia che anche i giovani occupati lavorano in forma (oggi sì, domani non lo so), dequalificata (ho la laurea ma per quello che faccio mi bastano le medie) oppure con stipendi da fame.
Insomma è un’Italia in forte sofferenza quella che emerge dal Rapporto Censis, ma è anche un’Italia che manifesta timidi segnali di speranza (il 47% pensa che il peggio sia passato) e vorrebbe far leva sul grande , cioè le forze e le potenzialità che ci sono ma che restano «inattive»: i giovani in attesa e la cultura.
I ragazzi «parcheggiati» sono – rispetto alla generazione precedente – più formati, più tecnologici, più internazionali, forse anche più motivati, ma segnano il passo in attesa di una spinta per scattare.
Se è penoso osservare che sono almeno 4 milioni gli inattivi under 34 che vivono di stenti e di lavoretti infiniti e senza approdo, lo è anche rilevare che su 4,7 milioni di giovani che non vivono più con la famigli e – formalmente – hanno un lavoro, un milione non arriva a fine mese, 2,4 milioni ci arrivano solo grazie all’intervento di papà e ai regalini dei nonni, che il 19,5% svolge un lavoro per il quale non serve il titolo di studio conseguito, e questo vale non solo per il 44% di quanti hanno una laurea in discipline umanistiche, ma anche per il 57% di chi ha studiato materie economiche e perfino per un terzo degli ingegneri.
Il mondo del lavoro, dunque, non è un posto per giovani e non lo è neppure per gli . Lo è (di più) invece per gli adulti: dal 2011 a oggi è aumentata l’occupazione degli over 50 del 19%, grazie anche alla riforma previdenziale che ha allontanato l’età pensionistica. Così come – in un paese apparentemente senza chance – prospera l’imprenditoria gestita da stranieri: le piccole aziende da loro promosse sono aumentate del 31% in 5 anni, e gli esercizi commerciali gestiti da loro gestiti sfiorano il 15%. Questo fa dire al Censis che in questo labirinto angoscioso di disoccupazione, gli stranieri si sanno districare meglio.
Il Rapporto segnala anche un altro : quello della cultura. Altrove ci mangiano, qui da noi è solo un costo. Nel paese che ha più beni culturali di chiunque altro «il numero dei lavoratori nel settore della cultura (304 mila, l’1,3% degli occupati totali) è meno della metà di quello del Regno unito (755mila) e Germania (670mila) e di gran lunga inferiore rispetto alla Francia (556mila) e Spagna (409 mila). Nel 2013 il settore della cultura, fa notare il Censis, «ha prodotto un valore aggiunto di 15,5 miliardi di euro (solo l’1,1% del totale del paese) contro i 35 miliardi della Germania e i 27 della Francia.
E Poi c’è il capitolo dei . In un paese che arranca c’è meno fiducia nell’istruzione come investimento, tant’è che tra il 2008 e il ’13 gli iscritti all’università sono diminuiti del 7,2% e le immatricolazione del 13,6%. Si fanno meno figli da anni, ma mai tanto pochi come lo scorso anno: 514 mila, 62 mila in meno di 5 anni fa. Se aumentano i soldi nel salvadanaio del risparmio, crollano del 23% quelli destinati agli investimenti, tant’è che le imprese sono 47 mila in meno rispetto al 2008. E infine, meno cibo per tutti: i consumi alimentari sono crollati del 12,9%. Lesiniamo sul pane.
Raffaello Masci, La Stampa 6/12/2014