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 2014  dicembre 06 Sabato calendario

L’EUROPA DEI “LEVIATANI IMPAZZITI”

In un’epoca di populismi sguaiati e slogan da felpa, Barbara Spinelli si assume un compito nobile e forse inutile: dare argomenti a una rabbia tanto diffusa quanto generica, incanalare il malessere contro l’Europa verso i giusti bersagli.
“La sovranità assente” è un libro breve ma denso, pubblicato da Einaudi, che raccoglie le idee che hanno portato l’editorialista di Repubblica alla sofferta scelta di passare dal commento alla politica attiva, candidandosi all’Europarlamento con la lista Tsipras. La Spinelli ha un punto di vista che in Italia è assai poco diffuso mentre nel dibattito internazionale trova il più autorevole referente nel filosofo tedesco Jürgen Habermas: la responsabilità del disastro europeo non è tanto delle tecnocrazie, dei funzionari della Commissione o di quelli della Bce, non è neppure degli gnomi senza volto e senza voti della Troika che impongono sacrifici sulle sponde del Mediterraneo . No, se dobbiamo prendercela con qualcuno, allora il giusto bersaglio della rabbia popolare devono essere i “Leviatatani impazziti”, come li chiamava il Manifesto di Ventotene di Spinelli padre, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni. Cioè gli Stati nazionali, quei governi che hanno prodotto tanti danni con la loro “veduta corta” perpetuando l’illusione che il vero problema fosse mantenere la sovranità a livello nazionale, fingere che il mondo non stia cambiando. Difendere lo status quo, nota acutamente la Spinelli, non protegge l’interesse nazionale, ma quello di minoranze che temono di rinunciare ai loro privilegi, piccoli e grandi. Come scriveva Niccolò Machiavelli, il cambiamento “ha per nimici tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene, et ha tiepidi difensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbono bene”. Sono i governi, quello di Berlino su tutti, ad aver anteposto le esigenze nazionali su quelle comuni. Ma scegliendo quello che nella Teoria dei Giochi si chiama atteggiamento “non cooperativo” hanno danneggiato tutti, inclusi loro stessi.
Habermas si concentra sull’aspetto istituzionale, censurando la predominanza del Consiglio europeo (coordinamento dei governi) su Parlamento e Commissione. La Spinelli si preoccupa prima di conquistare i cuori e le menti: bisogna cambiare la testa dei politici prima che l’architettura istituzionale. Questa non è l’unica Europa possibile e inevitabile, si possono osare affermazioni ardite, come che l’ordine seguito alla pace di Westfalia del 1648, la nascita dello Stato moderno, non sia l’equilibrio a cui ritornare sempre, ma una lunga parentesi che è giusto chiudere nell’era della globalizzazione.
Barbara Spinelli trova nella cronaca recente molti argomenti per dimostrare che il problema europeo è di ideali e progetti, più che di trattati internazionali. La crisi economica non c’entra con l’ignavia di Bruxelles di fronte ai massacri a Gaza, con l’incredibile timidezza nella gestione della crisi Ucraina e all’esproprio territoriale della Crimea, o alla passività di fronte alla crisi siriana per non parlare dell’incapacità di affrontare la questione delle migrazioni con una prospettiva diversa da quella dello scarico di responsabilità verso il basso (e all’Italia nello specifico).
Dove ritrovare dunque la “sovranità assente”? Come si passa dalle nostre ormai inadeguate democrazie nazionali a una più compiuta ed efficace sovranità europea? La Spinelli sembra auspicare un percorso in cui a ogni cessione di potere si accompagna un aumento di legittimità, senza che si creino quei vuoti democratici che accompagnano tutta la storia dell’integrazione europea. Purtroppo questo è impossibile, la crisi costringe l’Europa a procedere per strappi e forzature, commissariando invece che condividendo l’autorità, ignorando le proteste invece che recependo le loro istanze, moltiplicando vertici a porte chiuse e riducendo spazi di confronto.
O ha ragione la Spinelli, e questa Europa è in una fase terminale da cui non si riprenderà a meno di uno scatto vigoroso che oggi pare remoto. Oppure l’europarlamentare di Tsipras ha esagerato col pessimismo e gli ideali delle origini sono rimasti, per quanto rarefatti e geneticamente mutati, dentro la cultura istituzionale dell’Unione e stanno spingendo il continente, in modo sofferto, sgraziato, sicuramente iniquo, verso quella maggiore integrazione che anche la Spinelli auspica.
Twitter @stefanofeltri
Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 6/12/2014