Paolo Siepi, ItaliaOggi 6/12/2014, 6 dicembre 2014
PERISCOPIO
Scandalo mafia a Roma: bisogna evitare di fare di tutta l’erba un Fascio. Gianni Macheda.
Le forze dell’ordine a casa di Alemanno. Per una volta avrebbe preferito i rom. Spinoza. Il Fatto.
Il prefetto all’Economia del Vaticano scopre ingenti fondi extra bilancio. Il posto di Cottarelli è ancora vacante? MF.
Bologna, vandali distruggono un circolo Pd all’arrivo di Renzi. I soliti leccaculo. il Fatto.
Noi monarchici andiamo d’accordo più con gli anarchici che con i democratici, specie nel tempo in cui la democrazia si manifesta finalmente come dittatura della maggioranza. Alvaro Mutis. Il Foglio.
Ma che cosa si confessa, ora che i peggiori peccati sono diventati veniali? Saul Bellow, I conti Tornano. Mondadori, 1995.
La scena di Renzi che sguinzaglia il temibile commissario Orfini, per bonificare il Pd romano pilotato dal compagno Carminati, rientra a pieno titolo nella commedia poliziottesca italiana e rinverdisce i fasti di Lino Banfi, commissario Auricchio in Fracchia belva umana. Marco Travaglio. Il Fatto.
Varie strategie sono in corso di redazione a Napoli per abbattere il vituperato Giggino (De Magistris, ndr), ferito da un colpo autoinflitto sin dalle foto della prima sera di baldoria da sindaco, con la surreale bandana arancione e gli occhietti da Maradona al mondiale del ’94. Tant’è che Rodolfo, garagista sotto palazzo San Giacomo dice: «Giggino pare una creatura che ha preso troppi scussettoni, ceffoni. Totonno (Bassolino) è un filibustiere ma sa venderti qualunque merce». Goffredo Buccini. Corsera.
Cayetana, duchessa d’Alba, è morta a 88 anni. In realtà aveva un nome più lungo (Doña María del Rosario Cayetana Alfonsa Victoria Eugenia Francisca Fitz-James Stuart y de Silva Falcó y Gurtbay). Oltre che d’Alba, era duchessa di altri ventitré distretti, ma anche contessa-duchessa di la Calzada, baronessa di Bosworma. A parte la longevità, sembra la storia di Scelta civica. Mattia Feltri. la Stampa.
Un tempo l’emulazione era verso l’alto. Io non sono mai stato il primo della classe. ma non ho mai pensato di invidiare i più meritevoli. Mia nonna mi diceva: «Vai con delle persone migliori di te». Oggi si dice: «Siccome non riesco a raggiungerti, scendi tu al mio livello». Bruno Vespa. Sette.
«Fu un matrimonio piuttosto curioso, il nostro», ricorda la signora Rina. «Venne celebrato in una chiesetta di San Donato, un paese vicino a Lucca. Arrigo era arrivato da Roma all’ultimo momento. Aveva un giornale che gli spuntava dalla tasca della giacca ed era vestito così normalmente che nessuno, vedendolo, aveva pensato che fosse lui lo sposo. Anch’io, d’altronde, non sembravo la sposa. Eravamo stati noi a volere una cerimonia semplice. Non avevamo neppure mandato le partecipazioni e ricordo che ci dimenticammo di distribuire i confetti ai pochi invitati. Andò a finire che li mangiammo noi, sul treno che ci portava a Roma. Infatti, non avevamo potuto fare il viaggio di nozze. Arrigo aveva il suo lavoro al giornale che lo attendeva. La moglie di Arrigo Benedetti, in Luciano Simonelli, Dieci giornalisti e un editore. Simonelli editore.
Nel 1971, pochi giorni prima di compiere ventun anni vinsi il posto di bibliotecario e insegnante di musica al Conservatorio di Reggio Calabria. Insediato nel mio ufficio, busso il campanello per farmi venire un caffè, primo elemento del mio nuovo simbolo di stato. Non viene nessuno. Busso furiosamente per mezz’ora. Niente. Finalmente mi alzo e vado dai bidelli: «Nessuno viene! Sto bussando da mezz’ora!». Il capo bidello era un uomo dignitoso e laconico. Si chiamava Battaglia Antonino: mi guardò e mi disse: «Maestro, noi ci (le) diamo pure ’u cori (il cuore) ma lei ce lo deve saper chiedere!». Paolo Isotta, La virtù dell’elefante. Marsilio.
Con Vittorio Gassman e Carmelo Bene passammo serate memorabili. Ci trovammo all’Aquila. Eravamo una setta dedita alle libagioni. Dopo una settimana, in giro, non si trovava più una goccia di vino. Luigi Proietti. Il Fatto.
«Ma proprio oggi che c’è l’allerta meteo devi andare a Roma?», chiede il marito alle sei del mattino. «Sì, proprio oggi», rispondo, e parto. Sul Frecciarossa do uno sguardo ai notiziari online. C’è una foto del Colosseo che ci si potrebbe arrivare in gondola. Il prefetto consiglia di non uscire di casa se non per seri motivi. L’allerta, intanto, secondo alcuni, da rossa si è fatta addirittura viola. Viola? Mai sentito, però avverto l’apprensione fra i compagni di viaggio. Ma ci siamo attrezzati. Abbiamo stivali di gomma, e giubbotti da alluvione. Ci avviciniamo all’Urbe sotto a un cielo corrucciato, ma non piove. Noi milanesi, a Termini, oggi ci distinguiamo per l’aria ansiosa con cui ci affacciamo sul piazzale, brandendo grossi ombrelli. L’asfalto è appena bagnato. Perplessa, evito comunque il metrò che, mi dicono, può allagarsi. Ci sono i taxi al parcheggio, e, incredibile, non c’è la coda. Salto a bordo e domando: e l’uragano? Il tassista, flemmatico: «Eggià passato stamattina presto, e torna alle quattro». Come parlasse di un amico che è andato a comperare le sigarette. Ma già, i romani, mi dico, dopo vandali e lanzichenecchi, mica si impressionano per un’allerta meteo. Il tassista accelera con evidente soddisfazione nella strada semivuota. Mi pare che borbotti «ce stesse tutti i giorni, l’allerta rosso», ma non ne sono certa. A un incrocio c’è una grande pozzanghera, e un signore che guada con l’acqua alle caviglie benedice il sindaco, e gli assessori tutti. Vedo vigili con i capelli grigi e la pancetta, bruscamente strappati alle loro scrivanie. E schiere di giapponesi che dell’uragano se ne infischiano, e marciano imperterriti verso San Pietro. Marina Corradi. Avvenire.it
La madre di Tonino Guerra è molto devota, serve messa alla chiesa del Suffragio, di fianco all’ospedale, e recita il rosario in latino. Per il figlio è una «cantilena» e lui è anche consapevole che Penelope non ne conosce il significato. Alla sua domanda però la madre risponde: «Io non capisco niente ma lui, lassù, sì». Rita Giannini, Tonino Guerra. Veronelli editore.
In silvam non ligna feras insanus. Non essere così insensato da portar legna in una foresta. Horatii, Satirarum.
Il caffè, per essere buono, deve farti venire voglia di prenderne un altro. Roberto Gervaso. il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 6/12/2014