Tino Oldani, ItaliaOggi 6/12/2014, 6 dicembre 2014
NERONE FECE MEGLIO DELLA MERKEL? UN SAGGIO NE RIVALUTA LA POLITICA KEYNESIANA CHE SALVÒ ROMA DALLA RECESSIONE
Il dubbio che segue può sembrare uno scherzo, ma non lo è: davvero Nerone governò l’impero romano meglio di come Angela Merkel sta comandando a bacchetta l’Europa? La provocazione viene spontanea leggendo la biografia di Nerone scritta da Massimo Fini, giornalista e scrittore dal talento formidabile. Fini non è uno storico dell’antichità: è una mente libera, e ama scrivere sui temi più vari, da Nietzsche al Mullah Omar, dal femminismo al «denaro sterco del demonio», sempre con un taglio contro corrente, che punta a demolire quelle che lui giudica verità di comodo, come capita sempre nella storia scritta dai vincitori. La sua biografia di Nerone (Marsilio editore) lo conferma già nel sottotitolo: “Duemila anni di calunnie”. Sì, perché a suo giudizio, «nessun personaggio storico, se si esclude, forse, Adolf Hitler, ha goduto di così cattiva stampa come Nerone. Che in realtà, nei 14 anni del suo impero, fu un grandissimo uomo di Stato».
Se ancora oggi, quando si parla di Nerone, i più pensano a un mostro e a un pazzo furioso, che incendiò Roma per divertimento e si godette il falò suonando la cetra, lo si deve allo storiografia cristiana, che lo descrisse come l’Anticristo e ne impose per secoli l’immagine negativa. Gli studiosi più recenti di storia romana, dei quali Fini dimostra di avere letto le opere per documentarsi, hanno però convenuto, in base a documenti e fatti certi, che quell’imperatore megalomane e narciso fu anche un uomo di governo abile, che seppe conciliare un periodo di pace con la crescita del benessere economico di tutti i suoi sudditi, ricchi patrizi e poveri plebei, dal Vallo Adriano al Medio Oriente. Dunque, su un’area geografica più vasta dell’odierna Unione europea.
Nelle 260 pagine del libro di Fini, spiccano quelle dedicate alla politica economica di Nerone, giudicato «un keynesiano ante litteram». Due le sue mosse chiave: la svalutazione della moneta e una forte spinta all’attività edilizia, per stimolare la ripresa dell’economia. Correva l’anno 64 dopo Cristo, Nerone aveva solo 27 anni (morirà suicida a 31 anni, nel 68 d.C.), e l’impero romano era in piena depressione economica. In luglio, scoppiò un incendio che bruciò Roma e la distrusse. La colpa venne fatta ricadere sui cristiani, che furono duramente perseguitati. La devastazione della città offrì però a Nerone l’occasione irripetibile di darle un nuovo assetto urbanistico.
Scrive Fini: «Ricostruì la Via Sacra, il Circo Massimo, il portico Miliario, pose mano a un nuovo anfiteatro in legno e a una nuova domus per le Vestali, costruì il Campo Neroniano, l’acquedotto Celimontano, un nuovo ponte sul Tevere, pavimentò il clivio Palatino, eresse il Tempio della Fortuna di Seiano. Lo slancio costruttivo determinò un grande sviluppo dell’industria dei laterizi, che trainò con sé tutte le altre attività economiche, eliminando o comunque diminuendo in modo drastico la disoccupazione. L’inflazione fu contenuta in un 2% annuo, che non toccò il bene primario del grano. Nerone sviluppò ulteriormente produzione, scambi e commerci, anche se i migliori frutti della manovra si ebbero quando il suo autore era già morto». Insomma, «senza saperlo, ma non senza volerlo, Nerone si comportò da keynesiano ante litteram».
L’altra mossa vincente fu la svalutazione monetaria, «uno dei successi più duraturi della sua politica». Per realizzarla, Nerone dovette prima liberarsi sia di Seneca, filosofo che la madre Agrippina gli aveva messo alle costole come tutore, sia dell’influenza eccessiva del Senato. Entrambi, Seneca e Senato, erano fautori di una politica conservatrice, che «non tollerava la benché minima scalfittura dei propri privilegi e delle proprie immense ricchezze». Figurarsi se potevano accettare una svalutazione della moneta.
Nerone invece riuscì a imporla e a farla accettare in tutto l’impero, con risultati eccellenti. In pratica, ridusse la quantità d’oro contenuta nell’aureus (moneta di solito tesaurizzata dai ricchi possessori) e la quantità d’argento nel denarius (la moneta più usata), che risultarono svalutati rispettivamente del 7 e del 14%. Un’operazione «compiuta con grande abilità tecnica», scrive Fini, «contenuta in limiti tali da non rendere remunerativa la fusione delle vecchie monete per recuperarne il valore intrinseco, né la loro tesaurizzazione, cose che entrambe avrebbero vanificato la manovra. Scopo di Nerone non era infatti di arricchire le casse dello Stato, ma di fare circolare più denaro per reagire alla depressione economica». Nonostante la “damnatio memoriae” da cui Nerone fu colpito dopo la morte, i suoi successori non tornarono indietro, e il contenuto d’oro e d’argento nelle monete romane non cambiò: ciò favorì la pace e uno sviluppo economico che «accelerò il processo di romanizzazione in Gallia e in Germania».
Anche oggi, svalutare l’euro, immettere più liquidità nel sistema (come vorrebbe fare Mario Draghi) e rilanciare le grandi opere, in Europa sarebbero misure assai utili per uscire dalla recessione. Ma la Merkel, che non vede al di là dei confini tedeschi, si oppone. Facendo così rimpiangere perfino uno come Nerone.
Tino Oldani, ItaliaOggi 6/12/2014