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 2014  dicembre 08 Lunedì calendario

“SUL FONDO VIDI L’ORIENT E IL TESORO DI NAPOLEONE”

Cacciatore di relitti e città sommerse non si nasce, si diventa. Franck Goddio, esploratore degli abissi noto in tutto il mondo, ne è la prova vivente.
Nipote di Eric de Bischop (navigatore, scrittore e inventore del moderno catamarano), Goddio, nato a Casablanca, in Marocco, nella sua “prima” vita è stato un brillante allievo dell’École Nationale de la Statistique et de l’Administration Economique di Parigi. Dopo la laurea lavorò come inviato delle Nazioni Unite (e poi del Ministero degli esteri francese) in Laos, Vietnam e Cambogia.
Ma le sue passioni erano altre, quelle dettate dalla genetica. Il mare, la navigazione antica, le rotte commerciali. Svelare misteri e scrivere nuove pagine di storia grazie ai tesori che ancora giacciono sui fondali degli oceani. Così prese armi e bagagli e cominciò a girare il mondo alla ricerca di missioni archeologiche disposte ad ospitare un dilettante totale. Dopo tanto peregrinare ne trovò una. Fu un battesimo eccezionale.
“Mi trovavo in Egitto, era il 1984. Stavo facendo un’immersione insieme all’archeologo subacqueo Jacques Dumas che era alla ricerca de L’Orient, il mitico vascello del tesoro di Napoleone affondato dagli inglesi ad Abukir”, racconta Goddio nell’incantevole scenario di Paestum, dove è venuto per tenere una conferenza alla Borsa del Turismo Archeologico.
“Lui risalì in superficie per primo, io invece indugiai davanti ad un grosso elemento bronzeo che aveva attirato la mia attenzione. Pulendo le incrostazioni con la mano ne scoprii il nome, Le Dauphin royale. ‘Ora come lo dico a Jacques’ pensai. ‘Lui è convinto di aver trovato l’ammiraglia di Bonaparte ma questa è un’altra nave’. Allora riemersi e lo affrontai a viso aperto confessando la scoperta. Lui esitò un attimo e poi, a sorpresa, mi salto al collo e mi abbracciò fortissimo. Avrei capito solo dopo qualche minuto il motivo di tanta eccitazione”.
Le Dauphin royale, infatti, era il nome dato alla nave quando fu varata (in omaggio al figlio di Luigi XIV chiamato il Delfino di Francia) ma un secolo dopo Napoleone l’avrebbe ribattezzata con il nome di... L’Orient. L’aneddoto è gustoso ma Goddio non deve certamente a quella scoperta la sua fama, piuttosto a ciò che dal quel momento sarebbe riuscito a realizzare. Nel 1987 fondò a Parigi l’Institut Européen d’Archéologie Sous-Marine, tra gli strali di quelli che lo bollavano (e lo bollano tutt’oggi) come un avventuriero-manager senza scrupoli. Poi se ne andò a lavorare nelle Filippine, sfruttando i buoni uffici del Ministero degli Esteri francese col governo locale. Il progetto di ricerca dei relitti nelle acque territoriali filippine, tra l’altro, continua ancora oggi. A vent’anni di distanza dal primo ritrovamento l’obiettivo è ricostruire la storia dei commerci marittimi nell’area attraverso un catalogo (tipologico e cronologico) delle navi che hanno solcato i mari asiatici nel corso dei secoli. Impresa titanica. Più facile a dirsi che a farsi. “Le Filippine sono baciate dalla geografia perché si trovano all’incrocio di importanti vie del mare su cui navigavano imbarcazioni europee, giunche cinesi e indonesiane” spiega ancora Goddio. “Impossibile dire quante migliaia di navi popolino i fondali”.
Il team franco-filippino, però, è molto agguerrito ed è riuscito ad individuare e a recuperare numerosi navigli. Si tratta di sette “giunche” cinesi databili tra XI e XVI secolo e di alcuni galeoni della Compagnia delle Indie Orientali, attivi dal XVII secolo in poi. Nel pantheon delle scoperte più interessanti un posto d’onore se l’è guadagnato il “San Diego”, galeone spagnolo affondato dagli olandesi nella baia di Manila, nel ‘600. È stato ritrovato a 52 metri di profondità, ancora in buono stato di conservazione. E ancor più spettacolare è stato il recupero del carico del Royal Captain, nave inglese della Compagnia delle Indie colata a picco nel 1773 dopo aver impattato con la barriera corallina. Al momento dell’affondamento il vascello aveva a bordo sei passeggeri e 99 membri dell’equipaggio oltre a 100mila pezzi di porcellana cinese, tè, seta, perle di vetro e oro. Il tutto sparpagliato a profondità variabili, dai -350 ai -850 metri. Bella sfida.
Per venire a capo della cosa Goddio utilizzò un mezzo di esplorazione chiamato Ocean Voyager e due rover di classe deep water, acque profonde, in grado di arrivare fino a 1000 metri. Su di essi furono montati degli speciali bracci robotici che fecero un lavoro eccelso. Alla fine si è riusciti a scavare solo il 5% del relitto (2000 gli oggetti ritrovati). Tutto il resto è ancora sott’acqua. Il governo filippino, infatti, ha deciso che la Royal Captain sarà utilizzata in futuro per testare le nuove tecnologie a disposizione della deep water archaeology. Insomma, una sorta di palestra in fondo al mare. “Negli anni abbiamo trovato tante cose, è vero, ma, la prego, non mi dipinga come un Indiana Jones dei mari, sennò mi sparano” scherza lo studioso francese. “Io non sono interessato ai singoli relitti ma alla storia dei commerci, all’immigrazione, a tutto quello che i relitti possono raccontarci sui grandi fenomeni di cui l’umanità è stata protagonista negli ultimi secoli”.
Nonostante i successi conseguiti anche Goddio ha la sua ossessione, un sogno ricorrente che gli fa passare notti agitate. “Trovare una nave di inizio XV secolo. Ormai è l’unica tessera che manca al nostro mosaico dei commerci navali mondiali. Il ‘400 è un momento importante. Ancora non era stata scoperta l’America e Magellano non era arrivato nelle Filippine. È una sorta di momento zero dei traffici commerciali moderni”.
Questa non è però l’unica sfida che attende il prode Franck. Un’altra è in Egitto, lo stesso Egitto che trent’anni fa lo lanciò nell’empireo della ricerca subacquea. “Dopo la morte di Dumas tornai lì, era il 1992” racconta, “volevo andare ad indagare ad Alessandria. Gli egiziani mi dissero: ‘ok, fallo, però devi anche andare ad Abukir a finire il lavoro dei tuoi connazionali francesi’. A dire il vero non ero molto entusiasta di guidare due missioni in parallelo ma feci quanto mi chiedevano e così completai lo scavo de L’Orient”. Ma proprio lì, nella baia di Abukir, venne fuori un’altra meraviglia, la città perduta di Thonis-Heracleion, scivolata in acqua per gli effetti di uno spaventoso terremoto avvenuto tra la fine del II e l’inizio dell I secolo a.C.Thonis era un ’emporio’, cioè il terminale commerciale dell’Egitto sul Mediterraneo. Ed era anche il luogo sacro per eccellenza. Ospitava, infatti, un tempio dedicato ad Amon Gereb, il dio supremo degli egizi che conferiva ai nuovi faraoni la legittimazione al potere. Tra i resti dei palazzi della città finiti in mare c’erano anche 64 relitti preziosissimi...
“È stato un vero miracolo archeologico” racconta il francese. “Il sito era completamente ricoperto da fango e sedimento duro. Ma dal fango sbucavano alcune parti di navi, così abbiamo potuto ’segnare’ i contorni delle imbarcazioni e capire quante ce n’erano esattamente”. Goddio e i suoi non potranno scavarle tutte ma qualcuna sì. Due le hanno già recuperate. Una di 11 metri, identificata come vascello rituale, fu affondata di proposito nel IV secolo a.C. L’altra è un’imbarcazione commerciale di V secolo a.C. L’ ultima spettacolare operazione di rescue in terra egiziana, invece, andrà in scena nei prossimi mesi. Si cercherà di riportare in superficie una nave affondata negli ultimi istanti di vita della città.
Thonis-Heracleion è bella quanto immensa. Scavarla tutta sarà un lavoro improbo anche per le future (e più tecnologiche) generazioni di archeologi. È legittimo immaginare che il mare d’Egitto, come predica da anni l’Unesco, rimanga scrigno dei propri tesori.
Marco Merola, il Fatto Quotidiano 8/12/2014