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 2014  dicembre 08 Lunedì calendario

UN ITALIANO A LAS VEGAS

[Leonard Bundu] –
Il pugile dei due mondi a questa eventualità non ci aveva proprio pensato. E te lo spiega con le «c» aspirate del fiorentino vero. «Il titolo mondiale? Macché. La prima volta che sono andato in una palestra mi hanno chiesto: vuoi combattere o vuoi divertirti? Combattere? Non scherziamo. Voglio solo imparare come si fa». Poi però Leonard Bundu ha imparato davvero a tirare pugni e moltissimi round dopo è diventato professionista. Solo che nella sua testa tutto era più o meno come prima. «Mi sono detto: combatterò ancora un annetto o due, poi smetto». Invece lui è sempre qui che sferra cazzotti sul ring. Nessuno più forte del suo diretto destro, fino ad oggi. A parte il suo cuore, capace ogni volta di stendere al tappeto quella strana idea di mollare tutto. «Diciamo che sono andato oltre i miei progetti. Ma se sono qui a giocarmi il titolo a 40 anni forse è solo perché ho vissuto a lungo come un pischello».
Sabato sera Bundu salirà sul ring del Mgm Grand di Las Vegas per il titolo mondiale Wba dei pesi welter ad interim. Davanti a lui Keith Thurman, detto «one time » (se ti tocca una volta per te è finita, dicono i suoi fans), un pugile americano quattordici anni più giovane di lui, con una storia fatta di numeri pericolosi: 23 incontri, 23 vittorie, di cui 21 per ko. Ma Bundu dice che questa non è una avventura impossibile: «Thurman ha colpi pesanti. Gioca in casa e in confronto a me è un ragazzino. Ma io dalla mia ho l’esperienza. E il mio pugilato, che è molto migliorato rispetto a dieci anni fa. A 40 anni il problema è solo quello che per entrare nel peso devi fare più sacrifici. Poi ci sono i piccoli acciacchi. Robetta, comunque ». Leo, come lo chiama il suo maestro e allenatore Alessandro Boncinelli, ha il cuore diviso tra Firenze e Freetown, la città di suo padre. «Lui era arrivato a Firenze dalla Sierra Leone per studiare Architettura. E qui ha conosciuto mia madre. Poi insieme sono tornati in Africa, dove io sono nato e dove ho vissuto fino all’adolescenza». Terzo di tre fratelli (la sorella Antonella è stata a lungo la compagna di Piero Pelù), Bundu ha iniziato a infilare i suoi pugni in qualche rissa di troppo, roba che gli è costata anche qualche notte in cella. «Avevo la mia piccola banda. Ci chiamavamo crack gang. Ma in fondo eravamo dei bravi ragazzi». La parola crack era venuta fuori il giorno in cui Leo e i suoi amici si misero a prendere a cazzotti un pezzo di legno fino a quando non si spezzò i due. «Giravamo la città e ogni tanto ci scontravamo con qualche gang nemica. Così una volta mi hanno beccato e portato dentro. Non è stato simpatico. Mi hanno fatto pulire la cella con la maglietta che avevo addosso. Ho avuto paura. Poi mia madre venne a prendermi. Ero proprio un bischero ».
Leonard Bundu ha perso il padre a sette anni e un giorno, nove anni dopo, la vita della famiglia incassò un altro colpo tra stomaco e fegato. «La guerra civile stava arrivando a Freetown. Una mattina all’alba i militari piombarono in casa. Fummo tutti terrorizzati. Mia madre non ci pensò due volte: facemmo le valige e prendemmo il primo volo per l’Italia. Avevo sedici anni». E nessuna intenzione di diventare un pugile. «Io sognavo di imparare il kung fu. Da ragazzino passavo il tempo a guardare i film di Bruce Lee. Per questo, arrivato a Firenze, mi misi a cercare una palestra. Volevo diventare come Bruce, l’urlo che terrorizzava l’occidente, ma non è andata proprio così». Il che alla fine è stata una vittoria, considerato che il pugile Bundu (33 incontri da professionista: 31 vittorie e 2 pareggi) è campione europeo e che questo viaggio a Las Vegas potrebbe trasformarlo in un eroe. Per l’Italia. E per la Sierra Leone. «La mia Africa è piena di bei ricordi e di persone a cui voglio bene. E a cui penso soprattutto in questo periodo. L’Ebola è un problema drammatico. Telefono spesso ai parenti di mio padre per sapere come vanno le cose. Penso che i paesi occidentali abbiano sottovalutato questa storia e si siano mossi troppo tardi. Spero solo che abbiano davvero preso coscienza di quello che sta accadendo e che si muovano di conseguenza».
Bundu sogna di vincere questo titolo anche per la città dove è cresciuto. I suoi tifosi si raduneranno al Mandela Forum a notte fonda per fare il tifo davanti al maxi schermo. «Quando sono arrivato a Firenze e ho iniziato a boxare l’idolo di tutti si chiamava Mike Tyson. Ma a parte l’amore indiscusso per la figura di Mohamed Alì, sono cresciuto guardando la boxe di Kostya Tszyu, ex campione mondiale dei superleggeri. Mi piace muovermi come faceva lui, era davvero difficile colpirlo». Dicono che il pugile dei due mondi sia cresciuto molto da quando ha conosciuto Giuliana e ha messo su famiglia. E lui ride: «Beh, faccio una vita più sana. Ho due figli, questione di responsabilità. Ora mi diverto a cucinare per gli amici. Il problema è che sono bravissimo a fare il pane e le pizze. Tutta roba che non posso mangiare. Ma d’altra parte non ho alternative. Sai com’è: mi devo fare un mondiale a quarant’anni. Non sarò Bruce Lee, ma intanto sono arrivato a Las Vegas. Quel mitico ring sta aspettando me».
Benedetto Ferrara, la Repubblica 8/12/2014