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 2014  dicembre 07 Domenica calendario

SIAMO TUTTI (CHI PIU’, CHI MENO) SNOB

Ho un amico (confido che non si riconosca nel seguente ritratto) che ha il vezzo di parlare della gente famosa che frequenta chiamandola per nome, mai per cognome. Dice frasi tipo: «Ieri sera ho detto ad Antonio di non convocare più Mario». Impieghi qualche secondo a capire che allude al Commissario Tecnico e a un controverso giocatore del Liverpool, e quando lo capisci senti per lui la compassione riservata agli spiriti fragili. La stessa che anni fa provai per il collega di università che mi confidava di non salire mai su un taxi per il terrore di trovare alla guida il nonno tassista. Per non parlare della mia ragazza ai tempi del liceo, che sbiancava quando le chiedevano dove abitasse. D’altronde, quello schifo di scuola pullulava di gente disposta a guardarti dall’alto in basso solo perché avevi detto «piacere» per presentarti o «buon appetito» prima di portare la forchetta alle labbra. Poi c’è l’amica di mia madre che ha smesso di provare disprezzo per me il giorno in cui si è imbattuta in una mia foto su un quotidiano nazionale: da allora non fa che invitarmi a cena, disperandosi per i miei vendicativi dinieghi. E, a proposito delle strambe amicizie materne, come dimenticare l’eccentrica vecchietta che, sapendo che sono francesista, ogni volta che mi vede mi rivolge un celestiale «Bonjour»?
Sono esempi innocui, persino teneri, di snobismo. Potrei fornirne di più biechi, per ora mi contento. Non perché provi alcuna indulgenza per gli snob, che anzi considero odiosi, ma perché mi preme rimarcare come lo snobismo sia un impulso sociale diffuso, infido e (a dispetto delle apparenze) interclassista.
Lo snobismo non è innato: è una spiacevole postilla imposta dal contratto sociale. È difficile che in un asilo nido lo snobismo mieta vittime, ma basta vedere le scarpe delle mamme all’uscita delle elementari per capire che frattanto la musica è cambiata. Nel mio liceo il nipote del potente politico democristiano godeva di una popolarità sessuale non proporzionata a meriti modestissimi. Proprio perché lo snobismo si acquisisce sul campo è così difficile debellarlo. Conosco individui poco inclini all’invidia, alla gelosia, all’avidità, ma non ne conosco uno immune allo snobismo. Se non altro perché non c’è atteggiamento più snob che dissimulare di esserlo. Le affettazioni di sobrietà, modestia, morigeratezza, il cosiddetto understatement , possono risultare, in talune circostanze, atteggiamenti più snob di qualsiasi esibizione di classismo, presunzione o superbia.
Chi è più snob, colui che pur maneggiando un pessimo inglese affetta una pronuncia impeccabile, o chi, proprio perché lo conosce bene, non si preoccupa di nascondere l’accento italiano? Chi è più snob, il tifoso che va allo stadio con il «New Yorker» o il cattedratico che tra una lezione e l’altra sfoglia un giornaletto di gossip? L’impiegato che s’indebita per un posto in prima classe in aereo o il tycoon che va al lavoro in bicicletta? Lo scribacchino che si vanta di pidocchiosi premi conseguiti in trent’anni di trascurabile carriera o il grande scrittore che sdegna il Nobel? Il cinefilo che non guarderà mai un film doppiato o quello che non si perde un cinepanettone? Il gourmet da ristoranti stellati o quello da osteria?
Ecco il guaio dello snobismo: non fai in tempo a schivarlo che si ripresenta sotto altra forma, se possibile più spiacevole della precedente.
Cos’è lo snobismo?
William M. Thackeray, nel libro sugli snob, scrive: «È impossibile per qualsiasi cittadino britannico, forse, non essere in qualche modo uno snob». Credo di non fare torto a Thackeray estendendo la sua frase a cittadini di qualsiasi altro Paese. Chi è lo snob? Difficile dare una definizione, proprio perché, come dicevamo, lo snob ha una maschera per ogni ballo. In linea di massima si può dire che lo snob è un individuo insicuro, senza stile (a meno che la pretenziosità non passi per stile), ossessionato dal prossimo, dall’olfatto sensibile ai vapori dell’arrosto e al lezzo di tartufo. La definizione di Virginia Woolf è toccante proprio perché sembra ricalcata sulle sue famigerate insicurezze: «L’essenza dello snobismo è il desiderio di fare colpo sugli altri. Lo snob è una creatura inconsistente, senza cervello, così poco soddisfatta della propria posizione che per darsi un po’ di spessore non fa che sventolare in faccia agli altri titoli e onorificenze, affinché si convincano, e convincano lui stesso, di ciò di cui in realtà non è affatto convinto: che anche lui, o lei, è una persona importante». Quindi lo snob è un essere che divide l’universo tra persone importanti e persone trascurabili. Fin qui non ci sarebbe niente di male. Il guaio è che, per determinare l’importanza di qualcuno, lo snob si basa su giudizi sommari.
Un critico d’arte mi ha raccontato che una volta, prima del vernissage per una mostra, scambiò deliberatamente le targhette di due Madonne con bambino. Una era di Raffaello, l’altra di Signorelli. Intorno al quadro di Signorelli, da lui goliardicamente attribuito a Raffaello, si creò una ressa di vocianti estimatori. Il Raffaello autentico fu ignorato. Si tratta di un esempio da manuale di snobismo. Un pregiudizio, sostenuto da una buona dose di ignoranza, può spingere la maggior parte delle persone ad ammirare il Raffaello sbagliato a pochi passi da quello autentico. Gli snob idolatrano le patacche; perdono la testa di fronte a qualsiasi tipo di celebrità conclamata.
La Bruyère, grande esperto di cortigiani, scriveva: «Vedo un individuo circondato e seguito: ma occupa un posto importante. Ne vedo un altro che tutti accostano: ma è in ascesa. Questo viene abbracciato e accarezzato, persino dai Grandi: ma è ricco. Quello è guardato da tutti con curiosità, viene additato; ma è colto ed eloquente. Ne scopro uno che nessuno dimentica di salutare; ma è cattivo. Voglio un uomo che sia buono, che non sia niente di più, e che sia richiesto». Temo che quella di La Bruyère sia un’utopia. La sola bontà che ci interessa è quella insignita dal Nobel per la Pace, dall’aureola della santità postuma o del martirio civile.
Intermezzo snob
Anni fa, in una specie di festival letterario, capitai nella club house destinata agli ospiti della kermesse con Jovanotti. Prima ancora di vederlo ne avvertii la presenza, come se irradiasse una luce spirituale a cui noialtri snob eravamo sensibili. Quando lo vidi intrattenersi amabilmente con un mio collega all’altro lato della sala, fui assalito dal disagio fisico (crampi allo stomaco) che mi suscita la vista della celebrità. Una ragazza dell’ufficio stampa mi chiese se desiderassi incontrarlo. M’impappinai, mi defilai, svanii nella notte.
Il racconto (chissà quanto attendibile) trasuda snobismo da ogni poro:
1) vi ho fatto sapere che sono un tipo da festival;
2) che si tratta di festival a cui invitano popstar come Jovanotti;
3) che sono abbastanza sensibile da essere confuso dalla celebrità, e abbastanza onesto da riconoscerlo;
4) che amo bearmi della superiorità altrui (si noti come tale superiorità sia stata capziosamente attribuita a un cantante, non a uno scrittore);
5) che sono sufficientemente orgoglioso da fuggire pur di non fare la parte del cortigiano;
6) che nello snocciolare certi racconti mi esprimo con civetteria.
D’altronde, come diceva Russell Lynes: «Non c’è maggior snob di chi pensi di poter definire uno snob». E io allora, che ci scrivo su persino un articolo?
Orgoglio e pregiudizio
Lo snobismo è il vero protagonista di Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen. E mica solo per via dell’irritante Mr Collins o della spregevole Lady Catherine de Bourgh, del resto di snobismo insopportabile, ma per la natura stessa dei due protagonisti: Elisabeth e Darcy. In quanto a orgoglio e a pregiudizi i piccioncini non hanno rivali. L’antipatia reciproca che li tiene a distanza di sicurezza all’inizio del romanzo dipende dallo snobismo (nient’altro che la somma algebrica tra l’orgoglio dell’uno e il pregiudizio dell’altra). Si potrebbe dire che Orgoglio e pregiudizio sia una fiaba edificante proprio perché i due eroi, per coronare l’idillio coniugale, riescono a liberarsi del loro snobismo, un tipo di emancipazione preclusa a noi creature mortali.
Due modi antitetici di essere snob
Nella Recherche di Proust sono tutti snob. A cominciare dalla celebre mammina e dalla famigerata nonnetta, che comunicano attraverso un linguaggio cifrato di citazioni di Racine e Madame de Sévigné. Per finire con Françoise, la coriacea domestica, umiliata dal fatto che i suoi datori di lavoro non possiedano una carrozza. E, a proposito di servitù, che dire delle leggi feudali che regolano le relazioni tra concierge, facchini e lift del Grand Hotel di Balbec? Poi c’è Swann: malgrado abbia il buongusto di non ostentare le sue amicizie altolocate, nella prassi non fa che coltivarle. Parliamo dello stesso uomo che, potendo permettersi di vivere nelle zone più chic di Parigi, abita in una grande casa piena di pezzi rari in un quartiere limitrofo, se non proprio malfamato. Riducendo la questione all’osso, si può dire che Proust divida gli snob in due grandi famiglie: gli snob insoddisfatti di sé e quelli fin troppo soddisfatti. Tra questi ultimi Swann naturalmente occupa un posto d’onore, insieme ai suoi amici Guermantes, da cui trae forza e prestigio.
Gli snob di questo genere amano la discrezione: che senso ha ostentare un successo conclamato? Sono quelli che in un ristorante rinomato ordinano un uovo al tegamino e si rifiutano di assaggiare il vino; sono quelli per cui l’eleganza è questione di sobrietà; quelli che quando ricevono un complimento sorridono, oppure si schermiscono, i più sensibili arrivano persino ad arrossire. Il loro contegno è un misto di ironia e condiscendenza. Peccato che dietro a tanta magnanimità evangelica si nasconda un delirante complesso di superiorità e un disinteresse olimpico per tutti gli altri.
È più interessante lo snobismo di primo tipo, quello in cui siamo tutti invischiati, quello di chi, in una regione segreta del proprio essere, avverte la propria irredimibile inferiorità, lo snobismo fiero e pugnace di Madame Verdurin. Non stupisce che Madame Verdurin, dopo aver esibito per tutto il romanzo il suo disprezzo per i Guermantes, colga la prima occasione disponibile per sposare un Guermantes. Questi snob sono talmente devastati dalla propria miseria che fingono di disprezzare ciò che in realtà desiderano e di adorare ciò che non capiscono. Sono quegli intellettuali americani che idolatrano la cultura europea e quegli intellettuali europei che idoleggiano la cultura americana. Ovunque si sentono stranieri e incompresi. Può capitare che si trincerino dietro a un orgoglio stoico, ma il più delle volte, nelle occasioni propizie, si abbandonano alla piaggeria.
Lo snobismo politico
È evidente che lo snobismo proliferi nelle grandi nazioni, dominate da sovrani carismatici, tradizioni consolidate, sistemi severamente classisti: l’Impero di Carlo V, la corte del Re Sole, l’Inghilterra vittoriana...
Ma sarebbe ingenuo ritenere che lo snobismo non attecchisca in contesti più confusi e democratici. Uno che di snobismo se ne intendeva, come il Tredicesimo Duca di Bedford, amava accusare di snobismo gli aristocratici decaduti. «La gente — scriveva — si comporta come se il mondo le appartenesse, soprattutto quando il mondo non le appartiene più». Per questo si può dire che il passatismo sia una atteggiamento pericoloso: dietro al petto del nostalgico dei bei tempi andati batte sempre un cuore snob.
Di questi tempi lo snobismo, in mancanza di una struttura sociale rigida, ha trovato modo di differenziare gli investimenti. Ne ho fatto le spese l’altra sera. Avevo appena gettato l’immondizia nei cassonetti, quando ho sentito su di me lo sguardo pieno di riprovazione del mio vicino. Con occhio infallibile doveva aver valutato il modo approssimativo con cui avevo diviso la carta dalla plastica, il vetro dai materiali organici. Di primo acchito mi sono sentito un verme. Poi, ripensandoci, mi sono chiesto se nel suo inflessibile civismo, nella mancanza di misericordia nei confronti di un vicino distratto, non ci fosse qualcosa di snob.
Allora ho capito che la casacca indossata negli ultimi anni dallo snobismo è quella decente della correttezza politica. È ciò che George Steiner definisce il «pregiudizio liberal»: un modo di pensare codificato, privo di sfumature, ottusamente acritico, che rimanda a un umanitarismo diluito, fatto di buoni sentimenti, grandi aspirazioni, amore indistinto per la Cultura (la C è doverosamente maiuscola). Oggigiorno rischi una scomunica sociale se voti il partito sbagliato più che se ti metti le dita nel naso.