Ernesto Galli della Loggia, Corriere della Sera 7/12/2014, 7 dicembre 2014
LE CHIACCHIERE DEGLI SMALIZIATI
Non è più Tangentopoli, ormai. È Mahagonny, la città immaginata dalla fantasia di Brecht e Weill
dove è legge l’assenza di legge (Mahagonny: e dunque chi se ne importa se il termine «mafia» non è proprio quello filologicamente più appropriato). Non è più, insomma, la collusione dell’epoca di Mani pulite tra industriali senza scrupoli e politici pronti a vendere e a vendersi. Ormai è l’intreccio sempre più organico tra politica, amministrazione e malavita. È — si direbbe — la fase immediatamente precedente la conquista del potere direttamente da parte del crimine. Chiamiamo le cose con il loro nome: almeno fino alla settimana scorsa a Roma, nella capitale d’Italia, non era proprio questo all’ordine del giorno?
Non è vero che la politica, perlomeno quella nazionale — come ci viene detto — è sbalordita, è sconvolta, è pronta a correre ai ripari. Non ha forse il ministro dell’Interno Angelino Alfano detto l’altro ieri che
«Roma non è una città marcia, Roma
non è una città sporca, è una citta sana»?
E come no, deve essere senz’altro così, visto che nessuno dei tanti personaggi importanti che si sono mossi per anni su quella scena — da Veltroni a Zingaretti, dalla Meloni a Tajani, da Gasparri a Sassoli — ha mai fatto una piega, si è mai accorto di nulla, ha mai detto qualcosa.
E visto che in tutto questo periodo neppure ad uno dei tanti egregi procuratori della Repubblica succedutisi a Roma prima di quello attuale è mai capitato d’interessarsi
di quanto sta venendo fuori oggi. Così come del resto a nessuno, a Roma o fuori Roma, sembra che abbia mai interessato il fatto che da anni, ogni volta che c’è un caso di corruzione politico-affaristica (dall’Expo al Mose, a Roma, appunto), ogni volta spunta immancabile lo zampino di qualche società affiliata alla Lega delle cooperative. Chissà come mai.
In Italia funziona così. Porre questioni scomode o guardare in fondo alle cose non usa, in politica meno che altrove. Ovvio dunque che di fronte all’arrembaggio capitolino di galantuomini come
«er cecato» e «er maialotto», si pensi che la risposta adeguata sia una manciata di autosospensioni e dimissioni o lo scioglimento di una federazione di partito (quella del Pd romano: peraltro già ridotta
da tempo a un Ok Corral per politicanti affamati di quart’ordine): misure già tutte viste e riviste mille altre volte in mille occasioni analoghe. E di cui tutti, quindi,
sono in grado di apprezzare l’efficacia.